Cass. civ. Sez. II, Sent., 05-09-2012, n. 14917

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Svolgimento del processo

R.G. conveniva in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Perugia, C.A. e C.M.L. e, premesso che, con sentenza del Tribunale di Terni passata in giudicato il 19 ottobre 1999, era stato dichiarato figlio naturale di C.G., deceduto l'(OMISSIS); che doveva ritenersi l’unico erede legittimo di quest’ultimo, deceduto senza lasciare altri discendenti, e che invece la sua eredità era stata devoluta secondo legge ai due fratelli A. e M.L. e alla madre del de cuius, Ca.Ne.; che, a seguito del decesso di quest’ultima, avvenuto il (OMISSIS), egli doveva ritenersi per rappresentazione del proprio padre erede legittimo di costei unitamente con gli altri figli della medesima, per la rispettiva quota di un terzo, e che invece anche l’eredità di quest’ultima era stata devoluta secondo legge per l’intero a C.A. e M.L.; chiedeva che venisse dichiarata la sua qualità di erede universale di C.G.; che ai convenuti fosse ordinato di restituirgli tutti i beni costituenti l’eredità di C.G. e, previa eventuale divisione, la quota ad esso attore spettante su tutti i beni costituenti l’eredità di Ca.

N., ovvero di recuperarli a proprie spese o, in difetto, a corrispondergli il valore attuale, oltre al risarcimento dei danni.

I convenuti A. e C.M.L. si costituivano eccependo l’intervenuta prescrizione decennale del diritto dell’attore di accettare l’eredità e l’intervenuta usucapione dei beni ereditari, della quale chiedevano l’accertamento, avendo essi posseduto animo domini per oltre un ventennio i beni immobili di entrambe le eredità e per oltre un decennio i beni mobili. In subordine, eccepivano che il loro possesso avrebbe dovuto essere considerato di buona fede, avendo essi ignorato del tutto, sino all’instaurazione del giudizio per il riconoscimento di paternità naturale, le vicende private del fratello G., con la conseguenza che in relazione alle alienazioni dei beni ereditari essi avrebbero dovuto essere condannati alla restituzione non del loro valore, ma del prezzo riscosso, previo, peraltro, riconoscimento del loro diritto ai rimborsi per le spese, i miglioramenti e le addizioni che avessero provato.

Con sentenza depositata il 26 giugno 2003, l’adito Tribunale riconosceva all’attore la qualità di erede di C.G.;

rigettava le domande di condanna dei convenuti alla restituzione dei beni ereditari, dichiarando che i convenuti ne avevano acquistato la proprietà per intervenuta usucapione, trattandosi di beni ancora nella disponibilità dei convenuti stessi o venduti dopo il ventennio dall’acquisto del possesso; rigettava invece la domanda di usucapione proposta dai convenuti per beni specificamente indicati, dai medesimi venduti prima che fosse maturato il ventennio dall’inizio del possesso, accogliendo rispetto a tali beni la domanda dell’attore di condanna alla restituzione in suo favore, trattandosi di possesso di buona fede, del prezzo ricevuto per l’importo complessivo di Euro 19.371,25 oltre interessi legali dalla domanda; compensava interamente tra le parti le spese di lite.

Avverso questa sentenza proponeva appello C.R. G.; resistevano gli appellati, i quali proponevano altresì appello incidentale.

La Corte d’appello di Perugia, con sentenza non definitiva depositata l’8 agosto 2006, ha confermato l’acquisto da parte dell’attore della qualità di erede universale di C.G. e di erede per la quota di un terzo della madre di quest’ultimo, Ca.Ne.;

ha rigettato la domanda di usucapione proposta in via riconvenzionale dai convenuti; ha dichiarato l’attore titolare, quale erede universale di C.G., dei beni specificamente indicati, condannando i convenuti alla restituzione degli stessi; ha dichiarato che l’appellante, quale erede per la quota di un terzo di Ca.Ne., era titolare per la detta quota, in comunione con i convenuti, di beni specificamente indicati, disponendo con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio per la divisione dei detti beni; ha condannato i convenuti al pagamento in favore dell’attore delle somme meglio specificate in dispositivo, in relazione ai singoli beni ereditari facenti parte dell’eredità di C. G. oggetto di alienazione nonchè ai beni, del pari alienati, facenti parte dell’eredità di Ca.Ne. (nella misura di un terzo); ha condannato i convenuti al pagamento di altre somme, con rivalutazione monetaria secondo indici ISTAT e interessi legali sulla somma capitale annualmente rivalutata, con decorrenza dall’alienazione, in relazione ad un bene ereditario facente parte della eredità del C. e agli altri beni, tutti specificamente indicati, facenti parte dell’eredità di Ca.

N., oggetto di alienazione; ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dall’attore, rimettendo la statuizione sulle spese alla sentenza definitiva.

La Corte d’appello ha innanzitutto rilevato che l’attore aveva proposto un’azione di petizione di eredità ex art. 533 cod. civ. e, per l’eventualità che i convenuti avessero già alienato i beni ereditari, aveva chiesto la condanna dei medesimi convenuti al recupero di detti beni a loro spese o, in difetto, a corrisponderne il valore attuale oltre al risarcimento dei danni. Ha quindi rilevato che la ipotesi della alienazione dei beni eredi tari da parte del possessore non in buona fede non trova diretta disciplina negli artt. da 533 a 535 cod. civ., avendo l’art. 535, comma 2, ad oggetto soltanto la alienazione in buona fede dei beni ereditar da parte del possessore, prevedendosi a suo carico l’obbligo di restituire il prezzo o il corrispettivo ricevuto. Per l’ipotesi della alienazione in mala fede, non specificamente disciplinata da alcuna disposizione, la Corte d’appello ha ritenuto che il possessore dovesse corrispondere non solo il prezzo, ma il valore del bene alienato, salvo il risarcimento del danno, giustificandosi tale conclusione o con l’art. 948 cod. civ. o con l’applicazione analogica dell’art. 2038 cod. civ. (in tema di alienazione della cosa ricevuta indebitamente).

La Corte d’appello ha poi rigettato l’eccezione, riproposta dagli appellati con appello incidentale, di prescrizione decennale dell’azione di petizione di eredità, osservando che l’appellante aveva potuto esercitare il diritto azionato solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza che ne aveva riconosciuto lo status di figlio naturale del de cuius. Ha invece ritenuto inammissibile, perchè nuova, l’eccezione di prescrizione decennale del diritto ad ottenere il valore o il prezzo dei beni alienati.

La Corte territoriale ha quindi rilevato che sul riconoscimento all’attore, da parte del Tribunale, della qualità di erede universale di C.G. e, per rappresentazione e per la quota di un terzo, di Ca.Ne., non avendo detti accertamenti formato oggetto di impugnazione, doveva ritenersi intervenuto il giudicato, con conseguente accertamento dell’avvenuto acquisto, da parte dell’attore, per l’intero o pro quota, della titolarità dei beni ereditari, ancorchè trattavasi di accertamento rilevante per i soli beni ancora nella disponibilità dei convenuti.

Con riferimento alla domanda di usucapione dei convenuti, accolta dalla sentenza di primo grado e oggetto di impugnazione da parte di C.R., la Corte d’appello ha ritenuto che in favore degli appellati non fosse configurabile un possesso utile all’usucapione, atteso che il proprietario dei beni, e cioè l’appellante, non avrebbe in alcun modo potuto interrompere il possesso prima del riconoscimento del suo status di figlio naturale.

Il giudice di appello ha fatto così applicazione del principio secondo cui non può aversi inizio del possesso ad usucapionem finchè il proprietario non possa far valere il suo diritto per interrompere il possesso.

Al rigetto della domanda di usucapione sono poi seguite le statuizioni prima riportate in ordine ai vari gruppi di beni, e cioè di restituzione dei beni ancora in possesso dei convenuti, e del prezzo conseguito dalle alienazioni dei beni inizialmente posseduti in buona fede ed effettuate in buona fede, nonchè del valore dei beni ereditari alienati in mala fede, assumendosi a discrimine la data di passaggio in giudicato della sentenza di riconoscimento dello status di figlio naturale. Con la precisazione che la domanda di restituzione del prezzo con costituiva domanda nuova, ai fini dell’art. 345 cod. proc. civ., dovendosi la stessa ritenere inclusa in quella di rimborso del valore, pacificamente proposta in primo grado.

Per la cassazione di questa sentenza hanno proposto ricorso C.M.L. e B.M.E., quest’ultima quale erede di C.A., sulla base di tre motivi; ha resistito, con controricorso, C.R.G., il quale ha altresì proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Deve essere preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi in quanto aventi ad oggetto la medesima sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).

2. Con il primo motivo le ricorrenti principali sostengono che la imprescrittibilità dell’azione di petizione ereditaria, stabilita dall’art. 533 cod. civ., troverebbe il proprio bilanciamento nella contestuale previsione di salvezza degli effetti dell’usucapione rispetto ai singoli beni oggetto della domanda.

La Corte d’appello, affermano le ricorrenti, nel rilevare che l’art. 533 cod. civ. richiama le norme sull’usucapione, tra le quali vi è quella di cui all’art. 1165 cod. civ., che a sua volta renderebbe applicabile la norma di cui all’art. 2935 cod. civ., e nel concludere che l’usucapione non avrebbe preso a decorrere in quanto il figlio naturale non poteva far valere il proprio diritto ereditario prima del riconoscimento del suo status, ha ritenuto che la fattispecie dell’usucapione dovesse essere integrata con un elemento negativo – affermando l’utilità del possesso solo se il titolare del bene usucapibile sia in grado di difendere giudizialmente il duo diritto sul bene posseduto dal terzo -, e introducendo in tal modo nella disciplina dell’usucapione una fattispecie impeditiva, predicandone poi la diretta applicabilità all’azione ex art. 533 cod. civ..

Simile operazione ermeneutica, sostengono le ricorrenti, non può essere condivisa perchè gli artt. 2934 e ss. cod. civ. descrivono i fatti costitutivi di una fattispecie estintiva, mentre l’art. 1158 cod. civ. individua come unico fatto costitutivo di una fattispecie acquisitiva il possesso ultraventennale dotato di talune caratteristiche, tutte inerenti alle modalità di esercizio del possesso. In tal modo la Corte d’appello non avrebbe proceduto ad un’applicazione diretta ma ad un adattamento manipolativo dell’art. 2935 cod. civ., pur se le norme sulla prescrizione sono richiamate dall’art. 1165 cod. civ. in quanto applicabili.

2.1. In subordine, le ricorrenti rilevano che quand’anche volesse sostenersi l’applicabilità dell’art. 2935 cod. civ. al caso di specie, ciò nondimeno la conclusione non potrebbe essere quella affermata dalla Corte d’appello, atteso che doveva escludersi che l’erede non fosse in grado di esercitare l’azione prima del riconoscimento della sua qualità di figlio naturale. Il riconoscimento di detto status, invero, non sarebbe costitutivo del fritto ad agire ex art. 533 cod. civ., sicchè una simile azione introdotta prima del riconoscimento non potrebbe essere rigettata o dichiarata inammissibile, ma dovrebbe essere sospesa in attesa dell’accertamento pregiudiziale sullo status. L’erede, quindi, ben avrebbe potuto far valere i suoi diritti prima del riconoscimento dello status di figlio naturale e in previsione di tale riconoscimento; e se del suo stato avesse avuto notizia solo dopo molto tempo dalla nascita, tale circostanza avrebbe concretato un ostacolo di fatto, irrilevante ai sensi dell’art. 2935 cod. civ..

2.2. A conclusione del motivo le ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto: "a) se l’art. 2935 c.c. sia o non direttamente applicabile all’usucapione e, di conseguenza, se l’azione di restituzione di singoli beni collegata alla petizione di eredità sia o non impedita dalla asserita impossibilità di esercitare il relativo diritto; b) più in particolare, se il figlio naturale sia o non sia legalmente in condizione di tutelare il suo diritto alla restituzione dei singoli beni eredi tari prima del riconoscimento del suo stato di figlio naturale. Di conseguenza e in base alla ritenuta inapplicabilità all’usucapione dell’art. 2935 c.c. e, comunque, alla inesistenza nel caso in esame di una impossibilità legale di tutelare il diritto alla restituzione dei beni ereditare prima del riconoscimento dello stato di figlio naturale, si denuncia violazione degli artt. 533, 1158, 1169 e 2935 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3".

3. Con il secondo motivo le ricorrenti principali sostengono che la Corte d’appello avrebbe errato anche nell’individuare gli effetti del rigetto della eccezione di usucapione. La Corte d’appello, si osserva, ha distinto tra beni ereditari ancora in possesso degli eredi apparenti e beni di cui essi avevano disposto, distinguendo, in relazione a questi ultimi, i beni di cui avevano disposto prima del passaggio in giudicato della sentenza sullo status e beni di cui avevano disposto successivamente. In tal modo, la data del passaggio in giudicato della citata sentenza è stata assunta quale discrimine tra possesso di buona fede e possesso di mala fede da parte degli eredi apparenti. Con riferimento all’ipotizzato possesso di mala fede, le ricorrenti sostengono che la Corte d’appello avrebbe errato nel non ritenere fondata la censura di extrapetizione formulata riguardo alla sentenza di primo grado, atteso che l’attore, nel proporre l’azione ex art. 533 cod. civ., aveva dato per scontato che l’azione di petizione di eredità obblighi l’erede apparente a restituire i beni o, quando non possa farlo perchè un terzo li ha acquistati in buona fede, a restituire l’equivalente; ma non aveva affatto proposto una domanda, di tipo personale, ex art. 535 cod. civ.. La Corte avrebbe dunque errato nel ritenere che nella domanda proposta dall’attore per ottenere il valore attuale dei beni fosse inclusa anche quella, di natura personale, di cui all’art. 535 c.c., comma 2, e art. 2038 c.c., comma 2.

3.1. A conclusione del motivo, le ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto: "se l’azione per ottenere il valore o il prezzo dei beni ereditari alienati dal possessore in mala o buona fede sia azione distinta e diversa dallàazione di petizione di eredità e, pertanto, se sia il giudice di merito incorso in vizio di ultra o extra petizione nel momento in cui l’ha ritenuta inclusa nell’azione di petizione di eredità promossa ai sensi dell’art. 533 c.c.. Si denuncia violazione dell’art. 533 c.p.c., art. 535 c.p.c., comma 2, art. 2034, comma 2, e art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4".

4. Con il terzo motivo le ricorrenti principali sostengono che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che l’originaria condizione di buona fede nel possesso sia venuta meno a far tempo dal passaggio in giudicato della sentenza di dichiarazione della paternità naturale. Rilevato che, a norma dell’art. 1147 cod. civ., è possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l’altrui diritto, le ricorrenti affermano che un obbligo di restituzione avrebbe potuto essere configurato solo a seguito dell’accettazione dell’eredità da parte del figlio naturale; evenienza, questa, che nel caso di specie si era verificata solo con la proposizione dell’azione di petizione ereditaria.

4.1. Le ricorrenti formulano quindi il seguente quesito di diritto:

"se l’erede apparente, in possesso in buona fede dei beni ereditari, divenga possessore di mala fede soltanto nel momento in cui l’erede legittimo accetti l’eredità e chieda la restituzione dei beni, oppure in epoca precedente e allorquando per quest’ultimo vi sia il riconoscimento della qualità di figlio naturale. Si denuncia, pertanto, la violazione degli artt. 533, 535 e 2034 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3".

5. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, il resistente si duole del fatto che la Corte d’appello non abbia preso atto di tutte le domande che egli aveva proposto e sia incorsa quindi in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.. La censura si riferisce in particolare alla domanda di restituzione degli immobili alienati in mala fede dagli eredi apparenti successivamente alla trascrizione della domanda di riconoscimento di paternità naturale.

5.1. A conclusione del motivo, il ricorrente incidentale formula i seguenti quesiti di diritto: "1) se il giudice di appello debba individuare il contenuto e la portata dei motivi di impugnazione e delle conseguenti domande esclusivamente dalla indicazione letterale delle conclusioni riassunte nella parte finale dell’atto di appello ovvero debba trarle dalla integrale lettura della citazione introduttiva nonchè del testo complessivo dell’appello stesso e delle conclusioni rese nell’apposita udienza in appello – senza alcuna avversa contestazione – e quindi dal contenuto sostanziale della pretesa fatta valere. 2) se il giudice di appello abbia nella fattispecie omesso di pronunciare sulla domanda di restituzione dei beni immobili alienati, in mala fede, da parte degli eredi apparenti, e provenienti dalle successioni di C.G. e C. N.".

6. Il primo motivo del ricorso principale è infondato con riferimento ad entrambe le sue articolazioni.

6.1. Quanto alla possibilità che il possesso possa essere utile al fine di usucapire il bene, la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione del principio, affermato da questa Corte, che il Collegio condivide ed al quale intende dare continuità, secondo cui "in relazione a successioni apertesi prima dell’entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia, a colui che, avendo visto accogliere la domanda di dichiarazione della paternità naturale nei confronti del de cuius, faccia valere i diritti successori riconosciutigli dalla L. 19 maggio 1975, n. 151, art. 230, l’erede non può opporre di avere usucapito i beni ereditari nel periodo precedente all’esperimento dell’azione anzidetta, in quanto, non comportando questa il venir meno del titolo di acquisto dei beni da parte dell’erede, ma determinando solo una riduzione quantitativa del suo acquisto, non è configurabile un possesso ad usucapionem di quei beni di cui l’erede è proprietario" (Cass. n. 11024 del 1991; Cass. n. 2424 del 2011).

Nella prima delle sentenze citate, si è precisato che "il possesso ad usucapionem, come strumento per l’acquisto della proprietà, ha come suo tipico contrappeso la possibilità di interruzione da parte del vero proprietario. Non è giuridicamente configurabile un possesso ad usucapionem che non possa in qual-siasi momento essere interrotto".

Il Collegio ritiene che questa affermazione si attagli compiutamente alla fattispecie oggetto del presente giudizio e che quindi correttamente la Corte d’appello abbia fatto applicazione, con riferimento alla prescrizione acquisitiva, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 1165 cod. civ. alle norme sulla prescrizione, della disciplina di cui all’art. 2935 cod. civ., a tenore della quale "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui può essere fatta valere".

6.2. Sono infondate anche le censure svolte dalle ricorrenti principali in via subordinata, là dove hanno sostenuto che il figlio naturale avrebbe ben potuto agire in petizione ereditaria prima ancora del passaggio in giudicato del suo status.

In proposito, è sufficiente richiamare quanto affermato da Cass. n. 2326 del 1990: "per i figli naturali, il termine di prescrizione del diritto di accettare l’eredità del loro genitore, ai sensi dell’art. 480 cod. civ. – secondo i principi fissati, dalla Corte costituzionale con la sentenza "interpretativa di rigetto" n. 191 del 1983 – decorre dal passaggio in giudicato della sentenza di accertamento del loro status, trovandosi essi fino a tale accertamento nella impossibilità giuridica, e non di mero fatto, di accettare l’eredità" (in senso conforme, Cass. 10333 del 1993).

Nella motivazione di tale sentenza, si è rilevato che l’ordinamento giuridico colloca il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale della paternità in un momento che precede l’esercizio delle posizioni giuridiche soggettive derivanti dall’apertura della successione, attribuendo al riconoscimento e alla sentenza dichiarativa il valore di elemento costitutivo necessario della complessa fattispecie acquisitiva dell’eredità e non già di semplice presupposto di fatto del diritto potestativo di accettazione e di petizione ereditaria, come tale inidoneo ad impedire il decorso della prescrizione ex art. 480 cod. civ.. In proposito, si è osservato come tale conclusione trovi precisa conferma nelle disposizioni dell’art. 573 cod. civ., secondo cui la successione dei figli naturali si apre quando la filiazione è stata riconosciuta o dichiarata giudizialmente, e dell’art. 715 c.c., comma 2, che considera impedimento alla divisione ereditaria la pendenza di un giudizio sulla legittimità o sulla filiazione naturale di colui che, in caso di esito favorevole del giudizio, sarebbe chiamato a succedere.

Si è quindi ricordato che anche nell’ormai costante indirizzo interpretativo di questa Corte il termine decennale di prescrizione ex art. 480 citato decorre, per il figlio naturale, soltanto dalla data della dichiarazione giudiziale, se successiva all’apertura della successione e non già da quest’ultima, poichè, pur retroagendo gli effetti della dichiarazione giudiziale fino al momento della apertura della successione, il figlio naturale versa nella impossibilità, giuridica e non di mero fatto, di accettare l’eredità del genitore fino a quando tale dichiarazione non sia pronunciata (Cass. n. 5075 del 1987; Cass. n. 1648 del 1986; Cass. n. 3709 del 1984; Cass. n. 191 del 1983).

A fronte di un tale consolidato orientamento, l’assunto delle ricorrenti, secondo cui prima del riconoscimento il figlio naturale avrebbe potuto proporre azione di petizione ereditaria invocando la sospensione di tale giudizio per pregiudizialità dell’accertamento sullo status appare, non può essere condiviso.

7. Il secondo motivo del ricorso principale è infondato.

La Corte d’appello ha ritenuto che, nell’ampia formulazione della domanda di petizione ereditaria proposta dall’attore (ordinare ai convenuti di restituirgli tutti i beni costituenti l’eredità di C.G. e, previa eventuale divisione, la quota ad esso attore spettante su tutti i beni costituenti l’eredità di Ca.

N. – beni indicati in citazione (immobili e denaro) o comunque pervenuti ai convenuti dai de cuius – ovvero, a recuperarli a proprie spese o, in difetto, a corrispondere all’attore il valore attuale, oltre il risarcimento dei danni), fosse inclusa anche la domanda – costituente un minus rispetto a quella proposta – volta ad ottenere la restituzione del prezzo di tutti quei beni oggetto di alienazioni fatte in buona fede.

Così argomentando, la Corte d’appello si è uniformata al principio secondo cui "il giudice di merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, sì come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia in relazione alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale. In particolare il giudice non può prescindere dal considerare che anche un’istanza non espressa può ritenersi implicitamente formulata se in rapporto di connessione con il petitum e la causa petendi" (Cass. n. 22665 del 2004; Cass. n. 3012 del 2010;

Cass. n. 19630 del 2011).

Peraltro, che quella ritenuta dalla Corte d’appello fosse la reale portata della domanda proposta lo si desume anche dalla ulteriore circostanza che il giudice di primo grado, pur accogliendo la domanda riconvenzionale di usucapione dei convenuti per quei beni alienati dopo il possesso ventennale, ha accolto la domanda dell’attore, formulata in relazione a tali beni, di pagamento del loro valore, ai sensi dell’art. 535 c.c., comma 2, nei limiti del prezzo dell’alienazione, ritenendo essersi trattato di alienazioni in buona fede di beni posseduti in buona fede. Con l’appello incidentale i convenuti, secondo quanto si desume dalla sentenza impugnata, hanno eccepito la prescrizione del diritto al prezzo delle alienazioni effettuate dai possessori di buona fede prima della maturazione dell’usucapione; e tale eccezione è stata dichiarata inammissibile dalla Corte d’appello perchè proposta solo con l’appello incidentale. Orbene, la possibilità che nella domanda inizialmente proposta dall’attore fosse ricompresa anche quella avente ad oggetto il prezzo con riferimento alle alienazioni effettuate in buona fede era stata riconosciuta dal Tribunale, sicchè le appellate non potevano limitarsi ad eccepire la prescrizione del diritto, ma, ove avessero inteso far affermare al giudice di appello la estraneità di quella pretesa alla domanda di petizione ereditaria proposta, avrebbero dovuto formulare impugnazione incidentale ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ..

8. Il terzo motivo del ricorso principale è fondato.

La Corte d’appello ha affermato che il discrimine tra la posizione soggettiva di buona fede e di mala fede delle ricorrenti dovesse essere individuato nel passaggio in giudicato della sentenza di riconoscimento dello status di filiazione naturale.

Come esattamente rilevato dai ricorrenti, il principio della presunzione di buona fede di cui all’art. 1147 cod. civ. ha portata generale e non limitata all’istituto del possesso in relazione al quale è enunciato (Cass. n. 5901 del 2010) e il possessore di buona fede è tenuto alla restituzione dei frutti a far tempo dalla domanda giudiziale con la quale il titolare del diritto ha chiesto la restituzione della cosa. Ne consegue che, non essendo contestato che gli originari convenuti fossero in buona fede al momento di apertura di entrambe le successioni, il mutamento della loro condizione soggettiva da buona fede a mala fede non poteva essere riferito ad una evenienza esterna alla sfera soggettiva dei convenuti, richiedendosi invece una manifestazione di volontà del titolare del diritto volta ad ottenere la restituzione dei beni; manifestazione che, nella specie, si è avuta solo con la proposizione dell’azione di petizione ereditaria.

In tal senso, deve ricordarsi Cass. n. 32 81 del 1981, che ha affermato il seguente principio: "Nel caso di indebita ricezione di una cosa, l’alienazione del bene ricevuto in buona fede effettuata dopo la conoscenza dell’obbligo di restituirlo è giuridicamente equiparata all’alienazione della cosa ricevuta in mala fede, con la conseguenza che in entrambi i casi l’alienante è obbligato a restituire non il corrispettivo della alienazione – come nell’ipotesi di alienazione di cose, ricevute in buona fede, effettuata prima di conoscere l’obbligo della restituzione – bensì il valore del bene alienato, fatto sempre salvo, peraltro, nonostante trattisi di debito di valore, il divieto per il giudice del merito – al momento della decisione (anche di appello) – di liquidarne l’importo in una cifra superiore a quella espressamente domandata; nè la richiesta della differenza tra lo importo indicato dall’attore e il maggior valore del bene può ritenersi compresa nella domanda degli interessi, giacche questi, spettando sul valore da attribuire, non ne costituiscono una componente, ma si aggiungono ad esso".

Il terzo motivo deve essere quindi accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata sul punto.

9- Il ricorso incidentale è infondato.

La Corte d’appello, contrariamente a quanto ipotizzato dal ricorrente incidentale, lungi dall’incorrere nel denunciato vizio di omessa pronuncia, ha espressamente affermato (pag. 26 della sentenza impugnata): "si noti che quanto alle vendite di beni ereditari effettuate, in mala fede, in epoca addirittura successiva all’introduzione del presente giudizio, l’attore chiede ai convenuti il rimborso del valore, rimanendo così assorbita la questione dell’opponibilità della sua qualità di erede al terzo acquirente ex art. 534 c.c., commi 2 e 3: questione rilevante solo se l’attore avesse agito contro il terzo acquirente".

Del resto, dalle conclusioni riportate nella sentenza impugnata emerge chiaramente che l’odierno ricorrente incidentale, allora appellante, aveva chiesto, con riferimento ai beni della eredità C. alienati in mala fede "il rimborso delle seguenti somme per il valore dei beni alienati dopo il 1995, in mala fede con rivalutazione monetaria ed interessi, oltre ai danni da valutare anche equitativamente", e con riferimento ai beni della eredità Ca. "il rimborso delle seguenti somme rappresentanti 1/3 del valore dei beni alienati dai convenuti dopo il 1995, in mala fede, con rivalutazione monetaria ed interessi, oltre ai danni da valutare anche equitativamente"; la domanda di condanna degli appellati al recupero dei beni presso i terzi, nelle conclusioni rassegnate nel giudizio di appello e riportate nella sentenza impugnata, non è stata proposta.

Il motivo del ricorso incidentale che lamenta l’omessa pronuncia su tale domanda è quindi infondato.

10. In conclusione, rigettati il primo e il secondo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale, ed accolto il terzo motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia, la quale procederà a nuovo esame della domanda di restituzione proposta dall’appellante adeguandosi al seguente principio di diritto: "Poichè il principio della presunzione di buona fede di cui all’art. 1147 cod. civ. ha portata generale e non limitata all’istituto del possesso in relazione al quale è enunciato e poichè il possessore di buona fede è tenuto alla restituzione dei frutti a far tempo dalla domanda giudiziale con la quale il titolare del diritto ha chiesto la restituzione della cosa, il mutamento della condizione del possessore da buona fede a mala fede presuppone la proposizione nei suoi confronti di una domanda volta ad ottenere la restituzione del bene posseduto; ne consegue che, con riferimento ad azione di petizione ereditaria proposta da figlio naturale successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di riconoscimento del proprio status, gli eredi che erano stati immessi nel possesso dei beni ereditari in buona fede permangono nella condizione di buona fede sino al momento della notificazione della domanda di restituzione dei beni ereditari".

Al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e il secondo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale; accoglie il terzo motivo del ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Corte d’appello di Perugia.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 16 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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