Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 05-09-2012, n. 14913

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Potenza, in funzione di giudice del lavoro, accolse parzialmente la domanda di S.A. diretta al conseguimento dell’assegno ordinario di invalidità e, per l’effetto, condannò l’Inps a corrisponderglielo a decorrere dall’1/7/04.

A seguito di impugnazione dell’Inps la Corte d’appello di Potenza – sezione lavoro, con sentenza del 4/10 – 6/11/07, riformò la sentenza gravata e rigettò la domanda del S. dopo aver accertato, tramite rinnovo della consulenza medico-legale, l’insussistenza del requisito sanitario per il riconoscimento della prestazione oggetto di causa.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il S., il quale affida l’impugnazione a tre motivi di censura.

Resiste con controricorso l’Inps.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo il S. denunzia la violazione e falsa applicazione del disposto di cui alla L. n. 222 del 1984, art. 1, con riferimento a quanto previsto dall’art. 36 Cost. (art. 360 c.p.c., n. 3).

2. Col secondo motivo è, invece, dedotta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte (art. 360 c.p.c., n. 5).

I primi due motivi vengono prospettati congiuntamente dal ricorrente, il quale, a sostegno della denunzia dei suddetti vizi, lamenta che il consulente d’ufficio di secondo grado ha omesso di diagnosticare alcune significative patologie (spondiloartrosi cervico-lombare con discopatia C5-C6, L4-L5 e L5-S1, bronchite cronica, epatopatia cronica, gastrite cronica, emorroidi) influenzando, in tal modo, il giudizio della Corte di merito ed inducendola in errore sulla valutazione della ricorrenza del requisito sanitario necessario per la configurazione del diritto all’assegno ordinario di invalidità.

3. Col terzo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nonchè della contraddittoria motivazione sulla disposta condanna al pagamento delle spese processuali di primo e secondo grado.

Ritiene il ricorrente che la motivazione sulla regolazione delle spese di prime cure è contraddittoria laddove si afferma che "in difetto di idonea dichiarazione ex art. 152 disp. att. c.p.c………nessuna parte censura la quantificazione delle spese di primo grado che, pertanto, resta confermata". La ragione della denunziata contraddizione risiederebbe, secondo il ricorrente, sia nel fatto che egli non aveva interesse, in quanto vittorioso in primo grado, a contestare l’importo liquidatogli in sentenza, sia nella considerazione per la quale, prescindendosi dall’omessa dichiarazione di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c., ricorrevano giusti motivi, dovuti all’opinabilità dei giudizi espressi dai consulenti tecnici, per disporre la compensazione delle spese. In ogni caso, aggiunge il ricorrente, le spese liquidate per il primo grado eccedevano i minimi tariffari ed i diritti erano stati determinati in misura superiore alle spese del secondo grado.

Il ricorso è infondato.

Anzitutto, in merito ai primi due motivi di censura, si osserva che per quel che concerne la patologie accertate dal giudice d’appello per il tramite della consulenza d’ufficio e per quelle rispetto alle quali l’odierno ricorrente lamenta una insufficiente disamina, quali l’affezione osteo-articlare e quella interessante il tratto gastroesofageo con asserito interessamento epatico, si è, in realtà, in presenza di un mero dissenso diagnostico rispetto alle valutazioni operate dal perito d’ufficio e fatte proprie dalla Corte d’appello che, in quanto tale, non attiene ai vizi del processo logico, finendo pertradursi in una inammissibile richiesta di revisione del merito del convincimento dello stesso giudice non consentita nel giudizio di legittimità.

Invero, premesso che l’impugnazione è proposta anche per un presunto vizio motivazionale della sentenza, va ricordato che la valutazione espressa dal giudice di merito in ordine alla obbiettiva esistenza delle infermità, alla loro natura ed entità, nonchè alla loro dipendenza dall’attività lavorativa svolta costituisce tipico accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità quando è sorretto, come nella fattispecie, da motivazione immune da vizi logici e giuridici che consenta di identificare l’iter argomentativo posto a fondamento della decisione.

In effetti, allorquando il giudice di merito fondi, come nel caso in esame, la sua decisione sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, perchè i lamentati errori e lacune della consulenza determinino un vizio di motivazione della sentenza di merito, censurabile in sede di legittimità, è necessario che essi siano la conseguenza di errori dovuti alla documentata devianza dai canoni della scienza medica o di omissione degli accertamenti strumentali e diagnostici dai quali non si possa prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi.

Orbene, sotto questo specifico aspetto, non è sufficiente, per la sussistenza del vizio di motivazione, la mera prospettazione di una semplice difformità tra le valutazioni del CTU e quella della parte circa l’entità e l’incidenza del dato patologico, poichè in mancanza degli errori e delle omissioni sopra specificate le censure di difetto di motivazione costituiscono un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico e si traducono in una inammissibile richiesta di revisione del merito del convincimento del giudice (cfr. tra le tante Cass. n. 7341/2004).

Quanto alla parte della censura che pone in evidenza l’omessa considerazione di determinate patologie, si rileva che per alcune di esse, cioè quelle riguardanti l’apparato osteo-articolare, l’apparato gastroesofageo e quello epatico, si è in presenza, come spiegato in precedenza, di un mero dissenso diagnostico, inidoneo a scalfire la validità del giudizio peritale recepito in sentenza, mentre per altre, vale a dire la bronchite e le emorroidi, vi è un inconferente richiamo alle tabelle dell’invalidità civile di cui al D.M. 5 febbraio 1992, scevro da qualsiasi ragione di adeguamento dei parametri invocati all’oggetto specifico della diversa invalidità da valutare, posto che tali tabelle non attengono alla verifica del requisito previsto per il riconoscimento dell’assegno ordinario di invalidità di cui alla L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 1, vale a dire quello della riduzione della capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle attitudini dell’assicurato in modo permanente, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, a meno di un terzo.

Si è, infatti, statuito (Cass. Sez. Lav. n. 17812 del 24/11/2003) che "in materia di invalidità pensionabile, la L. n. 222 del 1984, ha adottato, come criterio di riferimento ai fini del conseguimento del diritto all’assegno ordinario di invalidità, non la riduzione della generica capacità lavorativa, alla stregua della L. 31 marzo 1971, n. 118, relativa ai mutilati ed invalidi civili, bensì la riduzione della capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle attitudini dell’assicurato. Ne consegue la inidoneità del parametro di valutazione dell’invalidità civile a valutare l’invalidità pensionabile neanche come guida di massima, a meno che nell’ambito di questa diversa valutazione non si dia espressa ragione dell’adeguamento del parametro all’oggetto specifico della diversa invalidità da valutare. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva negato il riconoscimento del diritto all’assegno di invalidità sulla base di una consulenza tecnica che aveva applicato le tabelle previste per l’invalidità civile dal D.M. 5 febbraio 1992, senza procedere al predetto adeguamento)." (In senso conforme v. anche Cass. Sez. Lav. n. 7760 del 3/4/2006).

Nè appare condivisibile la prospettazione delle patologie sganciata dal significato della loro incidenza funzionale sulla capacità lavorativa, atteso che "in sede di valutazione della capacità di lavoro, ai fini della sussistenza del diritto all’assegno ordinario di invalidità disciplinato dalla L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1, si deve tener conto del quadro morboso complessivo del soggetto assicurato e non delle singole manifestazioni morbose, considerate l’una indipendentemente dalle altre, nè può procedersi ad una somma aritmetica delle percentuali di invalidità relative a ciascuna delle infermità riscontrate, dovendosi invece compiere una valutazione complessiva delle stesse, con specifico riferimento alla loro incidenza sull’attività svolta in precedenza e su ogni altra che sia confacente, nel senso che potrebbe essere svolta dall’assicurato, per età, capacità ed esperienza, senza esporre ad ulteriore danno la propria salute". (Cass., sez. lav., 07-05-2002, n. 6500).

Infine, non può sfuggire che nella sentenza impugnata alcune patologie, rispetto alle quali l’odierno ricorrente lamenta l’omessa disamina, quali la bronchite cronica e l’epatopatia, sono state, invece, ritenute dalla Corte di merito emendabili o di scarsa efficacia invalidante, pur dopo la presa d’atto del contenuto delle note di replica alla consulenza d’ufficio, per cui anche sotto tale aspetto la decisione impugnata non merita la predetta censura.

E’, altresì, infondato il terzo motivo incentrato sulla lamentata contraddittorietà della statuizione di condanna alle spese di primo grado: invero, quest’ultima è rispettosa sia del principio della soccombenza, come emersa nei confronti del S., sia del precetto di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c., che nel testo vigente, seguito alle modifiche apportate dalla L. n. 326 dei 2003, richiede, nei giudizi promossi per il conseguimento di prestazioni previdenziali o assistenziali, apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione reddituale da parte dell’interessato, dichiarazione, questa, accertata come insussistente dalla Corte d’appello.

Inoltre, l’affermazione della Corte d’appello secondo la quale la quantificazione delle spese di primo grado rimane ferma in quanto non censurata dalle parti, affermazione non contraddetta dal tenore del dispositivo d’appello in cui si provvede alla loro esatta determinazione, non va intesa nel senso che sulla statuizione di prime cure si era formato un giudicato interno, bensì nel senso che la stessa fungeva da semplice parametro comparativo ai fini della loro liquidazione nel giudizio conseguente al gravame.

Infine, è da ritenere generica la doglianza inerente la presunta erroneità nella quantificazione delle spese di primo grado da parte dei giudici d’appello.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno poste a carico del medesimo nella misura liquidata come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2500,00 per onorario, oltre Euro 40,00 per esborsi, nonchè accessori ai sensi di legge.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2012

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