Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 05-09-2012, n. 14908

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Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Catania ha confermato la sentenza del Tribunale di Modica con la quale P.B. era stato condannato al pagamento in favore di T.C. della somma di Euro 147.723,32, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, a titolo di utili dell’impresa familiare spettanti alla T. per il periodo dal 1984 al 1998 in relazione all’attività da essa prestata nella farmacia di cui era titolare il P..

A tali conclusioni la Corte territoriale è pervenuta osservando che l’esistenza dell’impresa familiare doveva ritenersi provata sia in base al contenuto delle scritture private prodotte dalla T. sia in base alle deposizioni testimoniali, dalle quali era risultato che la stessa aveva fattivamente collaborato all’attività della farmacia, svolgendo veri e propri turni di lavoro, nonchè compiti esterni, comunque correlati al corretto andamento dell’attività dell’impresa familiare. Ha inoltre osservato che il diritto di partecipazione agli utili prescinde dalla prova di un incremento della produttività dell’impresa, che è invece necessaria per quanto riguarda la partecipazione ai beni acquistati con gli utili e la partecipazione agli incrementi dell’azienda.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione P.B., rappresentato dalla amministratrice di sostegno, affidandosi a due motivi di ricorso. L’intimata non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 230 bis c.c., nonchè vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta costituzione dell’impresa familiare, riproponendo la tesi secondo cui le scritture private valorizzate dai giudici di merito ai fini della prova della costituzione dell’impresa familiare erano state, in realtà, formate ai soli fini fiscali e che anche la prova testimoniale non aveva fornito elementi dai quali potesse desumersi lo svolgimento, da parte della T., di un’attività di lavoro continuativa, e cioè regolare e costante e non saltuaria, quale associata nell’impresa familiare.

2,- Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 230 bis c.c., nonchè vizio di motivazione, in ordine al riconoscimento del diritto agli utili in favore della T., contestando l’affermazione fatta dalla Corte territoriale secondo cui l’insorgenza del diritto agli utili prescinderebbe dalla prova di un accrescimento della produttività dell’azienda procurato dall’apporto dell’attività del partecipante.

3.- Il primo motivo è infondato. Questa Corte ha già precisato (cfr. ex plurimis Cass. n. 9683/2003, Cass. n. 21966/2007) che in tema di impresa familiare (art. 230 bis c.c.), la predeterminazione, ai sensi della L. n. 576 del 1975, art. 9 (integrativo del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 5) e nella forma documentale prescritta, delle quote di partecipazione agli utili dell’impresa familiare, sia essa oggetto di una mera dichiarazione di verità (come è sufficiente ai fini fiscali) o di un negozio giuridico (non incompatibile con la configurabilità dell’impresa familiare), può risultare idonea, in difetto di prova contraria da parte del familiare imprenditore, ad assolvere mediante presunzioni l’onere – a carico del partecipante che agisca per ottenere la propria quota di utili – della dimostrazione sia della fattispecie costitutiva dell’impresa stessa che dell’entità della propria quota di partecipazione (in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato) agli utili dell’impresa. Ed ha chiarito che, con riferimento alla disciplina dell’impresa familiare, ove la ripartizione degli utili sia stata predeterminata tra le parti con atto scritto, come richiesto dalla normativa fiscale in materia (D.L. 19 dicembre 1984, n. 853, art. 3, convertito, con modificazioni, nella L. 17 febbraio 1985, n. 17), il giudice non può disattendere il valore probatorio di tale scrittura, accertando l’insussistenza dell’impresa familiare, senza motivare adeguatamente sul carattere simulato dell’atto stesso (cfr. Cass. n. 9897/2003, Cass. n. 7655/98).

4.- Non si è discostata da tali principi la Corte territoriale con l’affermazione che, nel caso in esame, a fronte della produzione in giudizio di scritture private dalle quali emergeva l’inequivoca volontà di costituire l’impresa familiare con predeterminazione delle quote di partecipazione agli utili della stessa impresa, era onere dell’appellante provare l’insussistenza di tale impresa, dimostrando la simulazione del rapporto; laddove, diversamente da quanto allegato dal P., l’espletata prova testimoniale aveva dato modo di verificare che la T. aveva collaborato fattivamente all’attività della farmacia, svolgendo turni di lavoro pomeridiani e di reperibilità, anche notturna, ed occupandosi della consegna dei farmaci ai clienti, delle consegne dei prodotti farmaceutici da parte delle ditte fornitrici e di compiti da espletare all’esterno della farmacia, come quello di recarsi mensilmente presso la USL competente per il rendiconto periodico.

5.- Le contrarie affermazioni del ricorrente, secondo cui nella motivazione della sentenza impugnata non sarebbero stati evidenziati elementi tali da individuare con certezza i presupposti voluti dalla legge per la costituzione dell’impresa familiare, si risolvono, in realtà, nella contestazione diretta – inammissibile in questa sede – del giudizio di merito, giudizio che risulta motivato in modo sufficiente e logico con riferimento, come sopra accennato, all’esistenza di atti scritti con i quali era stata costituita l’impresa familiare ed alla mancata dimostrazione, da parte dell’appellante, che gli accordi che vi avevano dato origine erano rimasti poi ineseguiti e che era mancata in concreto quella effettiva collaborazione che costituisce elemento essenziale dell’impresa familiare.

Il primo motivo di ricorso deve essere pertanto rigettato.

6.- Anche il secondo motivo è infondato perchè, nella fattispecie, la misura della partecipazione agli utili dell’impresa era stata quantificata dalle parti nella quota di partecipazione indicata nelle scritture private, alle quali si è fatto cenno, e perchè l’esistenza degli utili è stata concretamente accertata mediante consulenza tecnica d’ufficio i cui risultati non sono stati minimamente contestati dal ricorrente. Al riguardo, va rimarcato che, secondo Cass. n. 9683/2003, già citata ed alla quale ha fatto riferimento anche la Corte di merito, la predeterminazione nella forma documentale prescritta dalla legge della quota di partecipazione agli utili dell’impresa familiare può risultare idonea, in difetto di prova contraria, ad assolvere mediante presunzioni l’onere della dimostrazione sia della fattispecie costituiva dell’impresa stessa che "dell’entità della propria quota di partecipazione (in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato) agli utili dell’impresa" (nello stesso senso, cfr.

anche Cass. n. 9897/2003 cit., nonchè Cass. n. 7655/98).

7.- Alla luce dei principi di diritto enunciati, la sentenza impugnata – che ha motivatamente accertato l’entità della quota di partecipazione agli utili dell’impresa familiare spettante alla T. in proporzione alla qualità e quantità del lavoro prestato – non merita le censure che le sono state mosse con il secondo motivo, anche sotto il profilo del vizio di motivazione.

8.- In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con la conferma della sentenza impugnata, dovendosi ritenere assorbite in quanto sinora detto tutte le censure non espressamente esaminate.

Considerato che l’intimata non ha svolto alcuna attività difensiva, non deve provvedersi in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 3 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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