Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 10-10-2013) 19-02-2014, n. 7992

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1- C.L. propone ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Reggio Calabria, del 4 novembre 2011, che ha respinto la domanda, dallo stesso avanzata, di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta per 91 giorni in conseguenza dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Perugia, successivamente confermata dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria, territorialmente competente, nell’ambito di procedimento penale che l’ha visto indagato, in concorso con altri, ex art. 416 bis c.p.; procedimento definito con decreto di archiviazione emesso, su richiesta del PM, dallo stesso Gip reggino.

La corte d’appello ha rigettato l’istanza, avendo ritenuto che il richiedente, con il suo comportamento gravemente colposo, aveva contribuito a dar causa al provvedimento restrittivo.

2- Avverso tale decisione viene, dunque, proposto ricorso per cassazione, ove si deducono i vizi di violazione di legge e di motivazione del provvedimento impugnato, con riguardo all’affermata sussistenza del presupposto impeditivo al riconoscimento del diritto alla riparazione, cioè di una condotta gravemente colposa del richiedente.

3 – L’Avvocatura Generale dello Stato, ritualmente costituitasi in giudizio nell’interesse del Ministero dell’Economia, chiede dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi il ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

1 – Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di riparazione per ingiusta detenzione al giudice del merito spetta, anzitutto, di verificare se chi l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave. A tal fine, egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita della libertà, al fine di stabilire se tale condotta abbia determinato, ovvero anche solo contribuito a determinare, la formazione di un quadro indiziario che ha indotto all’adozione o alla conferma del provvedimento restrittivo. Tale condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, deve manifestarsi attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine di stabilire, con valutazione "ex ante", non se essi abbiano rilevanza penale, ma solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione del provvedimento di custodia cautelare. Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extra processuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (auto incolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione. Nulla vieta al giudice della riparazione di prendere in considerazione gli stessi comportamenti oggetto dell’esame del giudice penale, sempre che la valutazione di essi sia eseguita dal primo non rapportandosi ai canoni di giudizio del processo penale, bensì a quelli propri del procedimento riparatorio, che è diretto non ad accertare responsabilità penali, bensì solo a verificare se talune condotte abbiano quantomeno concorso a determinare l’adozione del provvedimento restrittivo.

2 – Orbene, nel caso di specie la corte distrettuale si è attenuta a tali principi, avendo ritenuto, sulla base di quanto emerso in sede di indagini, con motivazione adeguata e coerente sotto il profilo logico e nel rispetto della normativa di riferimento, che la condotta del richiedente avesse sostanzialmente contribuito ad ingenerare, sia pur in presenza di errore dell’autorità inquirente, la rappresentazione di una condotta illecita dalla quale è scaturita, con rapporto di causa-effetto, la detenzione ingiustamente sofferta.

I giudici della riparazione, richiamando circostanze emerse nella sede di cognizione, hanno legittimamente ritenuto:

che i frequenti contatti ed i rapporti intrattenuti dal C. con taluni soggetti ritenuti intranei ad una temuta consorteria di stampo mafioso, interessati alla progettazione ed alla realizzazione di opere che alcune società, facenti capo a taluno di tali personaggi, avrebbero dovuto realizzare in Calabria con il decisivo contributo dell’odierno ricorrente, che aveva assunto il ruolo di "tecnico- progettista";

la consapevolezza dello stesso C., tratta dai contenuti di talune conversazioni intercettate, della caratura criminale dei suoi interlocutori e dei discutibili sistemi dagli stessi utilizzati per portare positivamente a compimento gli affari intrapresi;

– i rapporti di amicizia che lo legavano a personaggi di spicco inseriti in talune cosche della fascia ionica della provincia reggina – rapporti vantati dallo stesso C. nel corso di una delle conversazioni intercettate -;

erano l’espressione di una condotta connotata da colpa grave, che aveva quantomeno contribuito alla formazione del significativo quadro indiziario che aveva determinato l’adozione del provvedimento restrittivo.

Il sindacato del giudice di legittimità sul provvedimento che rigetta o accoglie la richiesta di riparazione è, d’altra parte, limitato alla correttezza del procedimento logico-giuridico attraverso cui il giudice di merito è pervenuto alla decisione;

mentre resta di esclusiva pertinenza di quest’ultimo la valutazione dell’esistenza e dell’incidenza della colpa o dell’esistenza del dolo. Anche in ragione di ciò, l’ordinanza in esame non merita di essere censurata, essendo la decisione impugnata del tutto coerente rispetto alle circostanze emerse in sede processuale, correttamente valutate dalla corte territoriale e perfettamente in linea con i principi di diritto affermati da questa Corte in tema di riparazione.

3 – Il ricorso deve essere, quindi, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore del ministero resistente, che complessivamente si liquidano in Euro 750,00.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero dell’Economia per questo giudizio di cassazione, che liquida in Euro 750,00.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2014

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