Corte di Cassazione – Sentenza n. 12524 del 2011 Divisione ereditaria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La controversia ha avuto per oggetto la divisione del compendio ereditario relitto da B.S., il quale aveva lasciato all’attore e odierno ricorrente M. la quota di legittima e agli altri due figli tutto il restante patrimonio.
M.S. agiva nel luglio 1983 chiedendo la liquidazione in danaro di quanto di sua spettanza, indicato, in sede di conclusioni assunte a fine 1996, in 1.741 milioni di lire.
I fratelli resistevano indicando in 543 milioni di lire il residuo credito dell’attore.
Il tribunale di Arezzo determinava l’importo in lire 1.028.857.000, con interessi sulla somma rivalutata, anno per anno, secondo gli indici Istat del costo della vita, dal 31 dicembre 1996 alla data della sentenza.
La Corte d’appello di Firenze con sentenza 28 giugno 2004, per quanto qui ancora interessa, definiva in 756.000 Euro il valore attuale della quota dell’attore e – effettuate a tutti gli eredi assegnazioni di beni immobili (a S.Z. e S.B. in coassegnazione terreni agricoli con fabbricato rurale e l’azienda di legnami; a M. fabbricati sempre siti in (…) – condannava i convenuti al pagamento in favore di S.M. di un conguaglio di 303.460,47 Euro, oltre interessi legali dalla data della sentenza al saldo. M.S. il 29 luglio 2005 ha notificato ricorso per cassazione con unico complesso motivo.
I fratelli intimati hanno resistito con controricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

Va premesso che la sentenza impugnata ha ricompresso tra i cespiti oggetto di divisione l’azienda (gestita dai convenuti) e i frutti civili di essa valutati fino alla data della decisione (v. pag. 8), senza che su questo assunto vi sia stata impugnazione. Resta quindi indifferente ogni aspetto relativo alla formazione della massa ereditaria (v. Cass. 1366/75; 4355/83; 3195/97; 13291/99).
Il ricorso, che denuncia genericamente violazione di legge e vizio di motivazione, verte sul valore attribuito al “bene ereditario rappresentato dai frutti civili dell’azienda del de cuius”, determinato alla data della deliberazione in camera di consiglio della decisione di appello, 10 febbraio 2004.
M.S. sostiene (”ancora una volta”) che per i frutti civili dell’azienda il criterio scelto per il computo non equipara al valore originario il valore accertato all’epoca della consulenza.
All’epoca era stato chiesto al consulente di determinare quale era il frutto civile dell’azienda, affinché un sesto di tale importo, corrispondente alla quota ereditaria spettante al ricorrente, fosse a lui attribuito quale frutto di cui doveva beneficiare fino al sopravvenire della divisione.
Sostiene che il frutto doveva essere costante nel tempo; che nel 1982 era stato determinato in 149.915.381 lire; che questo valore annualmente doveva essere aggiornato; che, non avendolo egli incassato, doveva essere rivalutato ulteriormente e maggiorato degli interessi legali dalla data di maturazione sino al soddisfo.
La Corte d’appello ha disatteso questa pretesa.
Ha opportunamente osservato che il criterio proposto dal ricorrente comporterebbe una indebita locupletazione.
Il ricorrente se ne duole, deducendo che l’importo del frutto civile determinato nel 1984 corrispondeva all’epoca all’8,5% (circa) del valore dell’azienda e che, dopo la rivalutazione, il frutto civile del 2004 corrisponderebbe ad un valore pari al 2,5% del valore dell’azienda.
Vorrebbe quindi (ricorso pag. 6): 1) che, determinato il valore annuale dell’azienda, si computasse di anno in anno l’8,446 di questo valore quale frutto civile; 2) che lo si rivalutasse sulla scorta degli indici istat fino al 2004; 3) che sull’importo sub 1), antecedente alla rivalutazione, si calcolassero gli interessi legali a favore del ricorrente.
La pretesa è priva di qualsiasi fondamento.
M.S. si giova, come detto in premessa, di una incontestata determinazione iniziale del frutto civile alla data di apertura della successione e dell’accettazione (di controparte) di tenere questo elemento patrimoniale come a lui spettante anche negli anni successivi, a prescindere sia dalla circostanza che è rimasto estraneo alla conduzione dell’azienda dopo la morte del padre, sia dalla eventualità che la redditività effettiva negli anni successivi sia stata inferiore o addirittura negativa.
Nonostante questo doppio vantaggio (disporre di un cespite aggiuntivo e sfuggire al rischio di impresa), si ostina a chiedere: una liquidazione di questa voce aggiuntiva dell’asse ereditario agganciata a un fattore scelto ex post come quello più conveniente (il valore crescente del compendio dei beni aziendali); la ulteriore rivalutazione di questo valore che già in tesi è aggiornato perché agganciato a una dinamica temporale e la liquidazione degli interessi.
È evidente che si darebbe luogo in tal modo a quella indebita locupletazione individuata dalla Corte territoriale. Il valore dei frutti civili dell’azienda al 1984 è stato infatti individuato sulla base del rendimento della gestione in quell’anno (ricorso pag. 4 ultima riga) – indipendentemente quindi dal valore commerciale del compendio aziendale (ora invocato quale parametro di riferimento) ed è stato consensualmente assunto quale bene da attribuire al ricorrente anche negli anni successivi. Una volta stabilito il valore di questo anomalo cespite per l’anno di partenza, essendo il ricorrente indifferente all’andamento aziendale posteriore, per gli anni successivi non poteva che essergli attribuito (una volta che i fratelli ciò avevano accettato, come dimostra la mancata impugnazione e considerato che il versamento a suo favore non è avvenuto anno per anno) questo stesso valore con l’aggiunta della rivalutazione monetaria, in modo da mantenere costante il valore del beneficio fino al tempo del pagamento.
Questa è stata la corretta attribuzione statuita dalla corte d’appello, che ha computato “L. 149.915.381 annue”, con “valori rivalutati al mese di ottobre 2002″.
Nulla di più poteva legittimamente pretendere il ricorrente, che vorrebbe invece una forma inammissibile di rivalutazione: la prima agganciata al valore aziendale; la seconda all’indice istat a partire dal singolo anno; la terza costituita dagli interessi legali sulle somme anno per anno spettanti sin dalla maturazione di esse.
Anche quest’ultima richiesta è da disattendere. L’azienda è stata considerata dalle parti e dai giudici di merito alla stregua di un cespite indivisibile, fino alla definitiva attribuzione dell’azienda stessa.
I frutti civili di essa sono stati computati allo stesso modo, inserendoli previa rivalutazione nel coacervo ereditario (sentenza pag, 8), con criterio accettato dalle parti e non oggetto di impugnazione.
Quanto agli interessi sulle somme spettanti al ricorrente a titolo di conguaglio, tale diritto sussiste solo dalla data della sentenza, cioè dal momento in cui l’assegnatario del bene indivisibile è tenuto al versamento (Cass. 12702/07), residuando per il periodo precedente il diritto “pro quota” di tutti i condividenti alle rendite del bene. Ma tali rendite in primo luogo perché inserite nel coacervo, ma anche perché già conteggiate quali frutti civili rivalutati, sono insuscettibili di produrre, a loro volta, altri frutti naturali o civili (Cass. 5606/01; 2453/76).
Mette conto ricordare che la domanda relativa ai frutti non ha natura risarcitoria (Cass. n. 83/82) e che quindi il relativo credito, una volta rivalutato integralmente, non è produttivo di interessi se non dalla data della liquidazione (Cass. 8078/07; 14975/06, – 21640/05, -5988/00).
Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 5.000 per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.
Depositata in Cancelleria il 08.06.20111

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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