Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-10-2013) 13-02-2014, n. 7016

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma del 22.11.2012, che in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città del 3.11.2008, che aveva assolto l’imputato per non aver commesso il fatto dall’accusa di aver rapinato due prostitute e di aver violentato una delle due, ha condannato G.F. per la rapina e la violenza carnale, entrambe a danno della seconda prostituta, propone ricorso il difensore di G., chiedendo l’annullamento della sentenza e deducendo a motivo:

a) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), d) ed e) in relazione agli artt. 192 e 530 c.p.p. e art. 546 c.p.p., lett. e). Lamenta il ricorrente che l’affermazione di responsabilità che la Corte territoriale formula sulla base del riconoscimento effettuato dalla parte lesa, è frutto di supposizioni e contraddizioni. E’ invero contraddittorio affermare che nello stesso arco temporale, un soggetto possa avere facoltà interpretative ed espositive chiare e contemporaneamente lacunose o, quantomeno, imprecise; affermare l’assoluta certezza di un riconoscimento e nel contempo che la teste non ha perfetta conoscenza della lingua italiana; affermare che l’attendibilità della parte offesa è comprovata dalla descrizione di un singolare tatuaggio e poi che proprio tale circostanza sia quantomeno dubbia ed in palese contrasto con quanto descritto nella perizia disposta dal Giudice di prime cure.

b) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione agli artt. 192 e 546 c.p.p.. La Corte ha travisato l’esito dell’unica perizia in atti relativa al tatuaggio che ha l’imputato sul braccio e che viene descritto dalla persona offesa. Esso rappresenta una rosa nera mentre la Corte le attribuisce il colore rosso.

c) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), d) ed e) in relazione all’art. 99 c.p., comma 4, artt. 132 e 133 c.p. e art. 546 c.p.p., lett. e) perchè la Corte non ha fornito motivazione sulla commisurazione della pena.

Motivi della decisione

2. Il ricorso è inammissibile.

2.1 Nessuna contraddittorietà è oggettivamente riscontrabile nella motivazione della Corte di merito che ha ritenuto l’assoluta fondatezza del riconoscimento, perchè operato dalla vittima in percentuale pari al cento per cento e nell’immediatezza dei fatti, corroborata dal ricordo di una particolarità individualizzante, il tatuaggio di una rosa sull’avambraccio sinistro, e ne ha desunto la convinzione della responsabilità dell’imputato in antitesi con il giudizio del primo giudice che aveva ritenuto di assolvere, nonostante il riconoscimento, perchè la descrizione del tatuaggio era puntuale solo nell’indicazione dei colori e non nel disegno.

L’assetto motivazionale non è viziato ed il motivo di ricorso manifesta solo l’intento del ricorrente di ottenere una diversa valutazione della prova che non compete a questa Corte, esulando dai limiti del giudizio di legittimità.

2.2 Inammissibile è anche il secondo motivo di ricorso perchè il ricorrente afferma apoditticamente che la Corte avrebbe errato nell’indicare il colore della rosa tatuata, ma non contesta che la vittima lo abbia riconosciuto come quello che l’aggressore esibiva sull’avambraccio sinistro. Il motivo non ha pregio non solo perchè del tutto generico, espresso in modo assertivo e non documentato, sicchè questa Corte non avrebbe modo di verificare la pretesa discrasia ma soprattutto perchè, quand’anche la Corte avesse erroneamente indicato in motivazione un colore diverso, non viene indicato in che modo tale errore dovrebbe inficiare il giudizio di responsabilità.

2.3 Il terzo motivo è ugualmente manifestamente infondato perchè, diversamente da quanto afferma il ricorrente, la Corte ha espresso un motivato giudizio di pericolosità dell’imputato con il richiamo ai numerosi precedenti penali lontani nel tempo e pertanto non ostativi al riconoscimento delle attenuanti del rigore della pena.

3. Il ricorso, per i motivi che precedono deve essere dichiarato inammissibile: ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2014

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