Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 10-10-2013) 03-02-2014, n. 5206

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza pronunciata il 6.5.2013 la corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Cosenza, in sede di giudizio abbreviato, in data 16.1.2013, aveva condannato F.I., imputato dei reati di cui agli artt. 94 e 612 bis c.p. (capo A) e 582, 585, c.p. (capo B), alla pena ritenuta di giustizia.

2. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del suo difensore di fiducia, articolando plurimi motivi di impugnazione.

3. In particolare il ricorrente lamenta: 1) violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 612 bis c.p., in quanto nella condotta del F. sono in realtà ravvisabili due differenti tipologie di reato, oggetto di autonome denunce da parte delle persone offese, da unificare sotto il vincolo della continuazione, per cui, non avendo l’imputato assunto la posizione di "molestatore abituale", egli non può ritenersi responsabile del delitto in questione; 2) violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la corte territoriale ritenuto acriticamente che l’ammonimento da parte della polizia giudiziaria non è necessario ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 612 bis c.p., laddove se il F. fosse stato convocato dai CC. di (OMISSIS), che da tempo lo conoscevano, egli avrebbe potuto essere "indotto a più miti consigli" 3) vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed alla determinazione della entità della pena inflitta.

4. Il ricorso non può essere accolto.

5. Ed invero, con riferimento al primo motivo di impugnazione (di cui, peraltro, non può non rilevarsi la genericità), va rilevato che, come evidenziato dal dominante e condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, il delitto di cui all’art. 612 bis c.p., introdotto dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, art. 7, convertito nella L. 23 aprile 2009, n. 38, è configurabile quando, come previsto dalla menzionata disposizione normativa, il comportamento minaccioso o molesto di taluno, posto in essere con condotte reiterate, abbia cagionato nella vittima o un grave e perdurante stato di turbamento emotivo ovvero abbia ingenerato un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona alla medesima legata da relazione affettiva ovvero ancora abbia costretto la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita, rientrando nella nozione di "reiterazione", quale elemento costitutivo del suddetto reato, anche due sole condotte di minaccia o di molestia (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 5^, 27/11/2012, n. 20993, F., rv. 255436; Cass., sez. 5^, 09/05/2012, n. 24135, G.). Trattasi, in tutta evidenza, di un reato abituale di evento (cfr. Cass., sez. 5^, 27/11/2012, n. 20993, F., Cass., sez. 1^, 8.2.2011, n. 9117, rv.

249617), per la cui consumazione, dunque, sono necessari, da un lato la realizzazione di una pluralità di condotte, che, singolarmente considerate, possono anche non costituire già reato; dall’altro il verificarsi di uno dei tre eventi indicati, in via alternativa, dalla norma incriminatrice come conseguenza della reiterazione degli atti da essa previsti, in quanto, nella costruzione della fattispecie, il legislatore ha indissolubilmente legato, in termini di rapporto causale, l’insorgenza di uno degli stati pregiudizievoli della libertà morale della persona offesa in precedenza elencati, alla reiterazione delle condotte di minaccia o di molestia, per cui ove tale insorgenza fosse determinata da un solo atto, pur significativo, si esulerebbe dall’ambito di operatività dell’art. 612 bis c.p..

Ne consegue che, una volta perfezionatasi in concreto la fattispecie tipica, costituita dalla reiterazione delle condotte moleste e dal verificarsi di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma, dopo l’entrata in vigore del citato D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, art. 7, convertito nella L. 23 aprile 2009, n. 38, come nel caso in esame, l’unica disciplina applicabile deve individuarsi in quella contenuta nell’art. 612 bis c.p. (cfr. Cass., sez. 5^, 28.5.2013, Bichicchi).

A tali principi si è puntualmente attenuta la corte territoriale, che, con motivazione approfondita ed immune da vizi, ha evidenziato come le persone offese R.M. e N.M., sulla cui credibilità soggettiva ed attendibilità intrinseca del loro narrato nessuna doglianza è stata prospettata dal ricorrente, hanno riferito di un pluralità di episodi intimidatori posti in essere con continuità ed in momenti diversi in loro danno dall’imputato (consistenti in reiterate minacce, appostamenti presso le rispettive abitazioni et similia), che hanno determinato in essi uno stato di ansia e di preoccupazione, in uno con il mutamento delle proprie abitudini di vita e lavorative, eventi puntualmente descritti dal giudice di secondo grado, che, ad ulteriore conforto delle dichiarazioni accusatorie delle persone offese, ha utilizzato anche il contenuto delle sommarie informazioni rese in qualità di persone informate sui fatti da G.G. e da N.M. (cfr. pp. 3-4 dell’impugnata sentenza).

5.1 Del pari privo di fondamento è il motivo di impugnazione di cui al n. 2), in quanto risulta completamente estraneo alla fattispecie legale prevista dall’art. 612 bis c.p., l’istituto del decreto di ammonimento emesso dal questore, ai sensi del D.L. n. 11 del 2009, art. 8, in tema di "stalking", che appartiene non alla sfera del diritto penale, ma a quella del diritto amministrativo.

Come è stato chiarito, infatti, la fattispecie dell’art. 8, comprende non solo azioni rivolte direttamente e fisicamente contro la vittima della persecuzione, ma anche atti che si riflettono indirettamente sulla vittima provocandole un perdurante e grave stato di ansia o di paura, o costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita. Solo in questo senso, dunque, può parlarsi di un collegamento tra l’istituto dell’ammonimento e il reato di atti persecutori: la fattispecie amministrativa e quella penale riguardano i medesimi comportamenti ma è diverso l’onere probatorio, in quanto per l’ammonimento, avendo finalità cautelare di natura amministrativa, sono sufficienti indizi coerenti.

5.2 Infondato appare anche il terzo motivo di ricorso. La corte territoriale, infatti, secondo un percorso argomentativo assolutamente coerente ed esaustivo, ha sottolineato, da un lato come la pena finale di anni uno di reclusione inflitta al F., debba considerarsi proporzionata alla "entità dei fatti, indubitabilmente gravi ed allarmanti, alla intensità del dolo, alla personalità dell’imputato", su cui gravano "plurimi precedenti penali, anche specifici", muovendosi, in tal modo, nel perimetro normativo tracciato dall’art. 133, c.p.; dall’altro come costituisca ostacolo al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche l’esistenza dei menzionati precedenti penali, sintomatici di una evidente capacità a delinquere del reo.

Ed invero, in tema di circostanze attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita, essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda.

In questa prospettiva, anche uno solo degli elementi indicati nell’art. 133 c.p., attinente alla personalità del colpevole o alla entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso, può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti generiche, derivandone così che, esemplificando, queste ben possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato (cfr., ex plurimis, Cass., sez. IV, 28/05/2013, n. 24172, H.).

5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell’interesse del F.M. va, dunque, rigettato, con condanna di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2014

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