Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 10-10-2013) 03-02-2014, n. 5205

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza pronunciata il 9.1.2013 la corte di appello di Milano confermava la sentenza con cui il tribunale di Milano, in data 17.1.2009, aveva condannato M.G.A., imputato del reato di cui all’art. 624 c.p., art. 625 c.p., n. 2; art. 61 c.p., n. 2, L. n. 110 del 1975, art. 4 alla pena ritenuta di giustizia.

2. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso per Cassazione, personalmente, l’imputato, articolando tre motivi di impugnazione.

3. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di furto aggravato consumato, dovendosi, piuttosto, qualificare la condotta dell’imputato in termini di furto tentato, in quanto essendo stato, il M., tenuto sotto costante osservazione da parte del personale addetto alla sorveglianza durante tutta la permanenza nei locali in cui si è svolta l’azione delittuosa e nel corso dell’attuazione della suddetta condotta, non può affermarsi che egli si sia impossessato delle telecamera oggetto del furto per cui ha riportato condanna.

4. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento in suo favore delle circostanze attenuanti di cui all’art. 61 c.p., nn. 4 e 6, di cui, a suo avviso, ricorrono i presupposti, in quanto, da un lato per potere configurare un danno patrimoniale di speciale tenuità, occorre fare riferimento, a differenza di quanto affermato dalla corte territoriale, non al valore del bene sottratto (che, nel caso in esame, era pari a 320,00 Euro), ma alle condizioni economiche della persona offesa; dall’altro la telecamera è stata immediatamente riconsegnata alla persona offesa, annullando in tal modo ogni possibile danno patrimoniale.

5. Con il terzo motivo di ricorso, l’imputato lamenta sia la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla mancata concessione in suo favore del beneficio della sospensione condizionale della pena, illogicamente fondata dalla corte territoriale sull’esistenza a carico del M. di un precedente risalente a ben quindici anni prima, senza considerare che, in seguito, quest’ultimo non si è reso responsabile di nessun reato, sia, più in generale, l’inadeguatezza della motivazione della corte territoriale (anche in relazione alla entità della pena inflitta), che non ha indicato le prove poste alla base della sua decisione, nè le ragioni per cui ha disatteso le argomentazioni di segno opposto alla tesi accusatoria, prospettate dalla difesa.

4. Il ricorso non può essere accolto, essendo inammissibili, sotto diversi profili, i motivi che ne sono posti a fondamento.

5. Ed invero, con riferimento al primo ed al terzo motivo di impugnazione, va rilevato che non sono mai stati prospettati in sede di appello (come si evince anche dalla motivazione della sentenza impugnata), per cui essi sono inammissibili, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3.

Le censure articolate nella parte finale del terzo motivo di ricorso, peraltro, sono inammissibili anche per l’assoluta genericità delle medesime.

4. Inammissibile, perchè manifestamente infondato ed attinente al merito, appare, invece, il secondo motivo di ricorso. Ed invero, come da tempo affermato dalla giurisprudenza di legittimità, ai fini della concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, l’entità del danno deve essere valutata anzitutto con riferimento al criterio obiettivo del danno in sè, mentre quello subiettivo (riferimento alle condizioni economiche del soggetto passivo) ha valore sussidiario e viene in considerazione soltanto quando il primo, da solo, non appare decisivo o quando la perdita del bene, nonostante il modesto valore dello stesso, può rappresentare, in relazione alle condizioni particolarmente disagiate della persona offesa, un pregiudizio non trascurabile e quindi tale da escludere l’applicabilità dell’attenuante. L’indagine sulle condizioni economiche della persona offesa è pertanto irrilevante quando il criterio obiettivo induca a escludere la speciale tenuità del danno, dovendosi a tal fine tenere comunque conto che per la sussistenza dell’attenuante è in ogni caso necessario che il pregiudizio cagionato sia lievissimo (cfr. Cass., sez. V, 31/05/2011, n. 32097, D’A.; Cass., sez. 4, 21/04/2010, n. 31391, S.).

Correttamente, dunque, la corte territoriale ha escluso la sussistenza della menzionata circostanza attenuante, non potendosi considerare lievissimo il danno cagionato dal furto di una telecamera del valore commerciale di Euro 299,00, pari al prezzo di vendita.

Palese l’infondatezza anche della richiesta di ottenere il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p., in quanto, in considerazione della natura pacificamente soggettiva di tale circostanza attenuante (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 5, 07/01/1993, Becchetti), per la sua applicazione si richiede che la riparazione del danno, tanto nella forma specifica della restituzione,, quanto in quella del risarcimento, sia effettiva, integrale e volontaria (cfr. Cass., sez. 6, 09/11/2005, n. 46329, rv.

232837; Cass., sez. 5, 07/03/2012, n. 28896, R., rv. 254057), pertanto essa, come correttamente rilevato dalla corte territoriale, non è configurabile quando la restituzione della refurtiva non è il frutto di un’autonoma determinazione del soggetto agente, avvenga, come nel caso in esame, in virtù dell’intervento cogente delle forze dell’ordine o del personale addetto alla sicurezza di un supermercato 5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell’interesse del M. va, dunque, dichiarato inammissibile, con condanna di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento, nonchè, in favore della cassa delle ammende, di una somma a titolo di sanzione pecuniaria, che appare equo fissare in Euro 1000,00, tenuto conto della evidente inammissibilità del ricorso, facilmente evitabile da parte dello stesso ricorrente, che, quindi, non può ritenersi immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2014

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