Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 10-10-2013) 03-02-2014, n. 5202

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza pronunciata il 10.10.2012 la corte di appello di Trieste confermava la sentenza con cui il tribunale di Trieste, in data 18.9.2009 aveva condannato C.A. e M. M., imputati del reato di cui agli artt. 110, 56 e 624 c.p., art. 625 c.p., nn. 4 e 7, art. 61 c.p., n. 5, alle pene ritenute di giustizia.

2. Avverso la sentenza della corte territoriale hanno proposto autonomi ricorsi per Cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, entrambi gli imputati, articolando distinti motivi di impugnazione.

3. Il C., in particolare, lamenta esclusivamente l’omessa motivazione della sentenza impugnata in riferimento al mancato proscioglimento dell’imputato ex art. 129 c.p.p..

4. Si tratta di un motivo di ricorso manifestamente inammissibile, per assoluta genericità.

Come è noto, infatti, una delle cause di inammissibilità del ricorso per Cassazione va individuata nella genericità dei motivi di ricorso in violazione dell’art. 581 c.p.p., lett. c), che nel dettare, in generale, quindi anche per il ricorso in Cassazione, le regole cui bisogna attenersi nel proporre l’impugnazione, stabilisce che nel relativo atto scritto debbano essere enunciati, tra gli altri, "i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta";

violazione che, ai sensi dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), determina l’inammissibilità dell’impugnazione stessa (cfr. Cass., sez. 6, 30.10.2008, n. 47414, Arruzzoli e altri, rv. 242129; Cass., sez. 6, 21.12.2000, n. 8596, Rappo e altro, rv. 219087).

Ne consegue che il ricorso proposto nell’interesse del C. va dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento, nonchè in favore della cassa delle ammende di una somma a titolo di sanzione pecuniaria, che appare equo fissare in Euro 1000,00, tenuto conto della evidente inammissibilità del ricorso, facilmente evitabile, attraverso la conoscenza di orientamenti consolidati da tempo nella giurisprudenza di legittimità, dal difensore del ricorrente, che, quindi, non può ritenersi immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr.

Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).

5. Il M., dal suo canto, deduce quattro motivi di impugnazione.

6. Con il primo egli lamenta violazione di legge in relazione all’art. 106 c.p.p., in quanto entrambi gli imputati sono stati difesi, in relazione al giudizio di primo grado, nonchè alla redazione ed alla presentazione dell’atto di appello, dal medesimo difensore d’ufficio, nonostante le loro posizioni fossero incompatibili, in quanto la tesi difensiva del M. (il quale si è limitato a sedere sul sedile del passeggero del furgone oggetto del tentativo di furto, sostenendo di essere stato talmente ubriaco da assopirsi immediatamente all’interno del veicolo, rimanendo pertanto all’oscuro delle intenzioni criminose del coimputato, che, invece, postosi alla guida del mezzo, aveva tentato di accenderne il motore, dandosi alla fuga, una volta sorpreso dal proprietario), era chiaramente pregiudizievole per la posizione del C., per cui il tribunale avrebbe dovuto porvi rimedio, ai sensi dell’art. 106 c.p.p..

7. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la mancanza, la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, non avendo la corte territoriale indicato in che cosa sia consistito l’apporto causale del M. alla condotta del C., omettendo, peraltro, di considerare che lo stato di ebbrezza alcolica in cui pacificamente versava l’imputato ed il suo comportamento immediatamente successivo ai fatti (il M., infatti, non si era dato alla fuga, rimanendo seduto al suo posto, all’interno del furgone), rendono del tutto credibile la versione alternativa dei fatti fornita dal M. stesso, secondo il quale egli sarebbe salito senza alcuna volontà illecita a bordo del furgone, dove si era assopito.

8. Con il terzo ed il quarto motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la mancanza, la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, in relazione al mancato riconoscimento in favore del M. delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62 c.p., n. 4, e art. 114 c.p., di cui, ad avviso del ricorrente, come indicato nell’atto di appello, ricorrono i presupposti, posto che, da un lato il furgone non era stato in alcun modo danneggiato, nè mai sottratto alla disponibilità del proprietario, dall’altro il ruolo del M. nella commissione del reato era stato marginale ed assolutamente trascurabile sotto il profilo della efficienza causale.

4. Il ricorso del M. non può essere accolto.

5. Infondato appare il primo motivo di ricorso.

Ed invero, come affermato da un condivisibile orientamento, prevalente nella giurisprudenza di legittimità, in tema di incompatibilità del difensore, anche quando il giudice, dopo aver rilevato l’incompatibilità, non provveda ad indicarla esponendone i motivi, e non fissi un termine per rimuoverla ma proceda direttamente alla sostituzione del difensore incompatibile con uno di ufficio, non ricorre la nullità di cui all’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), se il diritto di difesa dell’imputato non risulti aver subito alcun concreto pregiudizio (cfr. Cass., sez. 1, 11.7.2011, n. 30472, B., rv. 251483; Cass., sez. 6, 2.11.1998, n. 1472, A., rv. 213443).

Se ne deduce, pertanto, che, in presenza di una causa di incompatibilità tra le posizioni di più imputati, che non consentono ad uno stesso difensore di assumerne il patrocinio, il mancato rispetto della sequenza procedimentale prevista dall’art. 106 c.p.p., commi 2 e 3, che il giudice deve seguire per rimuovere la suddetta causa e porvi rimedio con le necessarie sostituzioni, integra la nullità di cui all’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), solo nel caso in cui si sia in concreto verificato un pregiudizio per uno degli imputati.

Il che, nel caso in esame, non risulta essere avvenuto, in quanto, da un lato il M. ha avuto la possibilità di difendersi adeguatamente, dall’altro non risulta affatto che il C. si sia difeso accusando il coimputato.

Proprio quest’ultimo particolare, piuttosto, esclude in radice la fondatezza dell’assunto difensivo, posto che, come affermato da tempo dalla giurisprudenza di legittimità, non è sufficiente a integrare l’incompatibilità del difensore la diversità di posizioni giuridiche o di linee di difesa tra più imputati, ma occorre che la versione difensiva di uno di essi sia assolutamente inconciliabile con la versione fornita dagli altri assistiti, così da determinare un contrasto radicale e insuperabile, tale da rendere impossibile, per il difensore, sostenere tesi logicamente inconciliabili tra loro (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 1, 07/10/2009, n. 41305, G. e altro, rv. 245038).

6. Inammissibile deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, in quanto con esso il ricorrente espone censure che si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità tali da evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di Cassazione (cfr. Cass., sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv.

235507; Cass., sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, rv. 235510;

Cass., sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, rv. 235508).

Ed invero non può non rilevarsi come il controllo del giudice di legittimità, pur dopo la novella dell’art. 606, ce.p.p., ad opera della L. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi atti del processo, e di una correlata pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente unitaria e globale, che attiene alla reale esistenza della motivazione ed alla resistenza logica del ragionamento del giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Cass., sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Bosco, rv. 234148).

La corte territoriale, peraltro, con motivazione approfondita e immune da vizi, ha evidenziato come i due imputati abbiano agito insieme, penetrando nel furgone, lasciato temporaneamente incustodito, con le portiere aperte e le chiavi inserite nel quadro dei comandi, condotta questa logicamente sintomatica della comune volontà di impadronirsi del veicolo, immediatamente concretizzatasi nella accensione del motore e nel tentativo di spostamento del mezzo da parte del C., poi frustrata dalla pronta reazione della persona offesa e delle forze dell’ordine.

Correttamente, dunque, la corte territoriale ha affermato la responsabilità del M. a titolo di concorso morale nell’azione criminosa materialmente posta in essere dal solo C., apparendo conforme ai più elementari criteri logici ritenere inverosimile, come osservato dal giudice di secondo grado, che il M. "si sia abusivamente e rischiosamente introdotto all’interno di un veicolo altrui, con la mera intenzione di dormire, risultando tale prospettazione incompatibile con la repentinità della manovra di accensione posta in essere dal coimputato".

7. Infondato appare il terzo motivo di ricorso.

Ed invero va rammentato che il silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame non rileva qualora questa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata perchè non è necessario che il giudice confuti esplicitamente la specifica tesi difensiva disattesa, ma è sufficiente che evidenzi nella sentenza una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa (cfr. Cass., sez. 2, 12/02/2009, n. 8619).

Orbene la corte territoriale, nel confermare l’impostazione della sentenza di primo grado anche sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, ha ritenuto non configurabile la circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, invocata dalla difesa, ritenendo superfluo soffermarsi sul punto, alla luce della evidente considerazione che la sottrazione di un furgone funzionante non può essere considerata tale da integrare un danno patrimoniale di speciale tenuità, cioè di consistenza economica minima, se non proprio trascurabile (cfr. Cass., sez. 2, 11.10.1985, n. 263, I. rv.

171562).

Nè può assumere rilievo in senso contrario, la circostanza che il furgone non sia stato sottratto alla disponibilità del proprietario.

Appare evidente, infatti, che nel momento in cui si afferma il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui nei reati contro il patrimonio, la circostanza attenuante comune del danno di speciale tenuità è applicabile quando sia possibile desumere con certezza, dalle modalità del fatto e in base ad un preciso giudizio ipotetico che, se il reato fosse stato riportato al compimento, il danno patrimoniale per la persona offesa sarebbe stato di rilevanza minima (cfr. Cass., sez. un., 28/03/2013, n. 28243, Z. S., rv. 255528), è alla natura del bene cui si rivolge l’azione criminosa ed al suo valore che occorre fare riferimento per verificare la sussistenza o meno della menzionata circostanza attenuante.

8. Anche l’ultimo motivo di ricorso deve ritenersi infondato, in quanto, come affermato dal prevalente e condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di concorso di persone nel reato, ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione, non è sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell’iter" criminoso (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 2, 18/12/2012, n. 835, M. e altro, rv. 254051).

Tale non può giudicarsi la condotta del M., in quanto, come evidenziato dalla corte territoriale con motivazione logicamente coerente, il "contributo causale fornito dai due imputati appare del tutto assimilabile ed omogeneo", avendo, anzi, il suddetto M., con la sua presenza attiva, condiviso e rafforzato il proposito criminoso del C..

7. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell’interesse del M. va, dunque, rigettato, con condanna di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso di C.A. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Rigetta il ricorso di M.M. che condanna al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2014

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