Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 06-09-2012, n. 14985

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso alla Corte d’appello di Napoli, S.M. proponeva domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio in materia pensionistica dinanzi alla Corte dei Conti instaurato nel marzo 1973 e definito con sentenza di rigetto nel luglio 2008. La Corte d’appello, con il decreto indicato in epigrafe, ha rigettato la domanda, ritenendo di poter escludere nella specie il pregiudizio non patrimoniale normalmente conseguente al protrarsi del giudizio oltre la durata ragionevole, sulla scorta di alcune circostanze particolari, individuate nella omessa presentazione di istanze sollecitatorie e nella presumibile consapevolezza circa la infondatezza della pretesa azionata in quel giudizio amministrativo, in quanto contrastante con le risultanze degli accertamenti medici eseguiti dalla Amministrazione.

2. Avverso tale decreto lo S. ha proposto ricorso a questa Corte affidato a quattro motivi, cui resiste l’Amministrazione con controricorso.

3. Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

4. Il ricorrente censura, rispettivamente sotto il profilo della violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 175 c.p.c. e L. n. 89 del 2001, art. 2 e del vizio di motivazione, la valutazione in ordine alla sussistenza nella specie di circostanze idonee ad escludere la presunzione di sofferenza e disagio per la protrazione del processo oltre il limite di durata ragionevole. Deduce che la Amministrazione resistente non aveva contestato tale insussistenza; che è il giudice a dirigere il processo e la parte non può essere onerata di darvi impulso con istanze diverse da quelle prescritte per legge; che i pareri medici non vincolano nè l’Amministrazione nè il Giudice, e d’altra parte il giudizio in materia pensionistica non contemplava, all’epoca, un onere della prova a carico del ricorrente.

5. Tali doglianze, da esaminare congiuntamente attesa la stretta connessione, sono fondate nel loro nucleo essenziale. Se invero privo di fondamento deve ritenersi l’assunto secondo cui la Corte di merito avrebbe violato i limiti della cognizione ad essa attribuita (la valutazione in ordine alla eventuale ricorrenza nel caso in esame di circostanze particolari dalle quali evincere la insussistenza del pregiudizio non patrimoniale normalmente conseguente alla durata irragionevole del giudizio presupposto rientra nel giudizio relativo alla domanda di equa riparazione, da compiersi sulla base delle risultanze in atti senza necessità di una specifica eccezione di parte), inidonei, di per sè stessi, a giustificare il rigetto della domanda di equa riparazione del pregiudizio non patrimoniale devono ritenersi, alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. ex multis Cass. n. 12494/11; 9938/10;

9337/08; n. 15064/06; n. 19204/05; n. 3410/03), gli elementi indicati nel provvedimento in esame. La sofferenza morale per l’eccessivo protrarsi del processo, quale conseguenza normale di tale irragionevole durata, non può, senza incorrere in contraddizione, essere disconosciuta alla parte la cui pretesa giudiziale viene respinta (o in generale che subisce un esito sfavorevole del giudizio), salvi i casi nei quali questa abbia posto in essere un vero e proprio abuso del processo, configurabile allorquando risulti che abbia promosso una lite temeraria o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire, con tattiche processuali di varia natura, il perfezionamento della fattispecie di cui alla L. n. 89 del 2001. La ricorrenza nel caso in esame di una siffatta fattispecie di abuso non risulta neppure specificamente evidenziata nel decreto impugnato, nè tantomeno ne risultano indicati gli elementi di riscontro, che non possono consistere per l’appunto nella mera probabilità di esito negativo della domanda giudiziale, o nella mancanza di istanze sollecitatorie, che peraltro – per consolidato orientamento di questa Suprema Corte a seguito della nota S.U. n. 28507/05 – può assumere rilevanza solo ai fini dell’apprezzamento della entità del lamentato pregiudizio non patrimoniale, non già per escluderlo (cfr. fra molte: n. 28428/08; n. 25518/10).

L’accoglimento del ricorso segue dunque di necessità.

6. Il provvedimento impugnato è pertanto cassato, e, non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito a norma dell’art. 384 c.p.c..

7. Considerato che il processo presupposto si è protratto complessivamente per circa trentacinque anni sino alla sua definizione, va osservato come la Corte E.D.U. (le cui pronunce costituiscono come noto un fondamentale punto di riferimento per il giudice nazionale nella interpretazione delle disposizioni della C.E.D.U.) in numerosi giudizi di lunga durata davanti alle giurisdizioni amministrative nei quali gli interessati – come nella specie – non risultavano aver sollecitato la trattazione e/o definizione del processo mostrando di avervi scarso interesse, ha liquidato un indennizzo forfetario per l’intera durata del giudizio che, suddiviso per il numero di anni, ha oscillato tra gli importi di Euro 350,00 e quello di Euro 550,00 per anno (cfr. procedimenti 675/03; 688/03 e 691/03; 11965/03), pur se in qualche caso non è mancata una liquidazione superiore. Alla luce di tali orientamenti della Corte di Strasburgo, dettati in casi analoghi, ritiene il collegio che l’importo complessivo dell’indennizzo debba essere fissato, in relazione ad un giudizio durato circa trentacinque anni, in modo da non scendere al di sotto della soglia di Euro 17.500. Il rispetto dell’obiettivo di assicurare un serio ristoro alla violazione in esame, alla stregua dei principi elaborati in sede europea, impone dunque di liquidare in tale misura la riparazione dovuta alla ricorrente.

8. A tale somma debbono aggiungersi gli interessi legali dalla domanda e le spese del doppio grado, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Economia e Finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 17.500,00 oltre gli interessi legali dalla domanda e le spese, che liquida, quanto al grado di merito, in complessivi Euro 1140,00 – di cui Euro 490 per onorari e Euro 600 per diritti – e quanto al grado di legittimità in Euro 865,00 per onorari e Euro 100,00 per esborsi, oltre – per entrambi i gradi – alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta – 1, della Corte di Cassazione, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2012

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