Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 06-09-2012, n. 14984

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con ricorso alla Corte d’appello di Napoli, D.P. proponeva domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, per violazione dell’art. 6 della xxx a causa della irragionevole durata del giudizio dinanzi al T.A.R. Campania instaurato nel luglio 1999 ed ancora pendente nel luglio 2008. La Corte d’appello, con il decreto indicato in epigrafe, ha rigettato la domanda di equa riparazione, ritenendo di poter escludere nella specie il pregiudizio non patrimoniale normalmente conseguente al protrarsi del giudizio oltre la durata ragionevole, sulla scorta delle circostanze costituite dalla omessa presentazione di istanza di prelievo e dalla contrarietà all’orientamento giurisprudenziale consolidato della pretesa azionata.
2. Avverso tale decreto il D. ha proposto ricorso a questa Corte affidato a due motivi, cui resiste l’Amministrazione con controricorso.
3. Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.
4. Il ricorrente censura, sotto i profili del vizio di motivazione e della violazione di norme di diritto (artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c.), la statuizione in ordine alla sussistenza nella specie di circostanze idonee ad escludere la presunzione di sofferenza e disagio per la protrazione del processo oltre il limite di durata ragionevole, deducendo, da un lato, l’insufficienza e la genericità del riferimento ad un orientamento giurisprudenziale contrario alla pretesa azionata nel giudizio presupposto e la irrilevanza della mancata proposizione di istanze sollecitatorie, dall’altro la carenza di un’eccezione sollevata al riguardo dalla Amministrazione, che peraltro neppure avrebbe assolto all’onere della prova sul punto.
5. Tali doglianze, da esaminare congiuntamente attesa la connessione, sono fondate nel loro nucleo essenziale. Inidonei, di per sè stessi, a giustificare il rigetto della domanda di equa riparazione del pregiudizio non patrimoniale devono ritenersi, alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. ex multis Cass. n. 12494/11; 9938/10; 9337/08; n. 15064/06; n. 19204/05; n. 3410/03), gli elementi indicati nel provvedimento in esame. La sofferenza morale per l’eccessivo protrarsi del processo, quale conseguenza normale di tale irragionevole durata, non può, senza incorrere in contraddizione, essere disconosciuta alla parte la cui pretesa giudiziale appaia priva di fondamento, salvi i casi nei quali questa abbia posto in essere un vero e proprio abuso del processo, configurabile allorquando risulti che abbia promosso una lite temeraria o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire, con tattiche processuali di varia natura, il perfezionamento della fattispecie di cui alla L. n. 89 del 2001. La ricorrenza nel caso in esame di una siffatta fattispecie di abuso non risulta neppure specificamente evidenziata nel decreto impugnato, nè tantomeno ne risultano indicati gli elementi di riscontro, che non possono per l’appunto consistere nella mera infondatezza della domanda, e neppure nella mancata proposizione di istanze sollecitatorie, che – per consolidato orientamento di questa Suprema Corte a seguito della nota S.U. n. 28507/05 – può assumere rilevanza solo ai fini dell’apprezzamento della entità del lamentato pregiudizio non patrimoniale, non già per escluderlo (cfr. fra molte: n. 28428/08;
n. 25518/10) atteso che la presenza di strumenti sollecitatori non sospende nè differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda, nè trasferisce sul ricorrente la responsabilità per il superamento del termine ragionevole di definizione. L’accoglimento del ricorso segue dunque di necessità.
6. Il provvedimento impugnato è pertanto cassato, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito a norma dell’art. 384 c.p.c..
7. A tal fine, deve farsi applicazione della giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840), a mente della quale l’importo A dell’indennizzo può essere di Euro 750,00 per anno per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole, in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento, mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere richiamato il parametro di Euro 1.000 per ciascun anno di ritardo.
Pertanto, l’Amministrazione intimata deve essere condannata al pagamento di Euro 5.250,00 a titolo di equo indennizzo per il periodo di circa sei anni di irragionevole durata, quale risulta sottraendo dalla durata complessiva di anni nove quella, da ritenersi ragionevole, di anni tre. Su tale somma sono dovuti gli interessi legali dalla data della domanda, in conformità ai parametri ormai consolidati ai quali questa Corte si attiene nell’operare siffatte liquidazioni.
8. Le spese di entrambi i gradi – liquidate come da dispositivo – seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Economia e Finanze al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 5.250,00 oltre gli interessi legali dalla domanda e le spese, che liquida, quanto al grado di merito, in complessivi Euro 873,00 – di cui Euro 445,00 per onorari e Euro 378,00 per diritti – oltre spese generali ed accessori di legge, in favore dell’avv. Paolo Varriale dichiaratosi antistatario; e, quanto al grado di legittimità, in Euro 565,00 per onorari e Euro 100,00 per esborsi – oltre spese generali ed accessori di legge, in favore dell’avv. Biagio Grasso dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta – 1, della Corte di Cassazione, il 15 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2012

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