Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 06-09-2012, n. 14983

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso alla Corte d’appello di Napoli, F.G. proponeva domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio dinanzi al T.A.R. Campania instaurato nel gennaio 1992 ed ancora pendente nel luglio 2008. La Corte d’appello, con il decreto indicato in epigrafe, ha rigettato la domanda di equa riparazione, ritenendo di poter escludere nella specie il pregiudizio non patrimoniale normalmente conseguente al protrarsi del giudizio oltre la durata ragionevole, sulla scorta delle circostanze costituite dalla omessa presentazione di istanza di prelievo e dalla contrarietà all’orientamento giurisprudenziale consolidato della pretesa azionata.

2. Avverso tale decreto la F. ha proposto ricorso a questa Corte affidato a due motivi, cui resiste l’Amministrazione con controricorso.

3. Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

4. La ricorrente censura, sotto i profili del vizio di motivazione e della violazione di norme di diritto (artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c.), la statuizione in ordine alla sussistenza nella specie di circostanze idonee ad escludere la presunzione di sofferenza e disagio per la protrazione del processo oltre il limite di durata ragionevole, deducendo, da un lato, l’insufficienza e la genericità del riferimento ad un orientamento giurisprudenziale contrario alla pretesa azionata nel giudizio presupposto e la irrilevanza della mancata proposizione di istanze sollecitatorie, dall’altro la carenza di un’eccezione sollevata al riguardo dalla Amministrazione, che peraltro neppure avrebbe assolto all’onere della prova sul punto.

5. Tali doglianze, da esaminare congiuntamente attesa la connessione, sono fondate nel loro nucleo essenziale. Inidonei, di per se stessi, a giustificare il rigetto della domanda di equa riparazione del pregiudizio non patrimoniale devono ritenersi, alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. ex multis Cass. n. 12494/11; 9938/10; 9337/08; n. 15064/06; n. 19204/05; n. 3410/03), gli elementi indicati nel provvedimento in esame. La sofferenza morale per l’eccessivo protrarsi del processo, quale conseguenza normale di tale irragionevole durata, non può, senza incorrere in contraddizione, essere disconosciuta alla parte la cui pretesa giudiziale appaia priva di fondamento, salvi i casi nei quali questa abbia posto in essere un vero e proprio abuso del processo, configurabile allorquando risulti che abbia promosso una lite temeraria o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire, con tattiche processuali di varia natura, il perfezionamento della fattispecie di cui alla L. n. 89 del 2001. La ricorrenza nel caso in esame di una siffatta fattispecie di abuso non risulta neppure specificamente evidenziata nel decreto impugnato, nè tantomeno ne risultano indicati gli elementi di riscontro, che non possono per l’appunto consistere nella mera infondatezza della domanda, e neppure nella mancata proposizione di istanze sollecitatorie, che – per consolidato orientamento di questa Suprema Corte a seguito della nota S.U.n. 28507/05 – può assumere rilevanza solo ai fini dell’apprezzamento della entità del lamentato pregiudizio non patrimoniale, non già per escluderlo (cfr. fra molte: n. 28428/08;

n. 25518/10) atteso che la presenza di strumenti sollecitatori non sospende nè differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda, nè trasferisce sul ricorrente la responsabilità per il superamento del termine ragionevole di definizione. L’accoglimento del ricorso segue dunque di necessità.

6. Il provvedimento impugnato è pertanto cassato, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito a norma dell’art. 384 c.p.c..

7. Considerato che il processo amministrativo presupposto si è protratto complessivamente per circa sedici anni e sei mesi sino alla sua definizione, va osservato come la Corte E.D.U. (le cui pronunce costituiscono come noto un fondamentale punto di riferimento per il giudice nazionale nella interpretazione delle disposizioni della C.E.D.U.) in numerosi giudizi di lunga durata davanti alle giurisdizioni amministrative nei quali gli interessati – come nella specie – non risultavano aver sollecitato la trattazione e/o definizione del processo mostrando di avervi scarso interesse, ha liquidato un indennizzo forfetario per l’intera durata del giudizio che, suddiviso per il numero di anni, ha oscillato tra gli importi di Euro 350,00 e quello di Euro 550,00 per anno (cfr. procedimenti 675/03; 688/03 e 691/03; 11965/03), pur se in qualche caso non è mancata una liquidazione superiore. Alla luce di tali orientamenti della Corte di Strasburgo, dettati in casi analoghi, ritiene il collegio che l’importo complessivo dell’indennizzo debba essere fissato, in relazione ad un giudizio durato circa sedici anni e sei mesi, in modo da non scendere al di sotto della soglia di Euro 8.250.

Il rispetto dell’obiettivo di assicurare un serio ristoro alla violazione in esame, alla stregua dei principi elaborati in sede europea, impone dunque di liquidare in tale misura la riparazione dovuta alla ricorrente.

8. A tale somma debbono aggiungersi gli interessi legali dalla domanda e le spese del doppio grado, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Economia e Finanze al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 8.250,00 oltre gli interessi legali dalla domanda e le spese, che liquida, quanto al grado di merito, in complessivi Euro 1140,00 – di cui Euro 490,00 per onorari e Euro 600,00 per diritti – e quanto al grado di legittimità in Euro 865,00 per onorari e Euro 100,00 per esborsi, oltre – per entrambi i gradi – alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta – 1, della Corte di Cassazione, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2012

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