Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 06-09-2012, n. 14977

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso alla Corte d’appello di Napoli, C.A. proponeva domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio in materia pensionistica dinanzi alla Corte dei Conti instaurato dal proprio coniuge A.A. nel febbraio 1984, riassunto da essa ricorrente nell’ottobre 1991 dopo il decesso del suo dante causa, e definito in primo grado con sentenza di rigetto nel luglio 2007. La Corte d’appello, con il decreto indicato in epigrafe, ha rigettato la domanda di equa riparazione, ritenendo di poter escludere nella specie il pregiudizio non patrimoniale normalmente conseguente al protrarsi del giudizio oltre la durata ragionevole, in presenza di un’originaria consapevolezza, nel ricorrente, della infondatezza delle proprie pretese, emergente dalla motivazione della sentenza di rigetto.

2. Avverso tale decreto la C. ha proposto ricorso a questa Corte affidato a quattro motivi, cui resiste l’Amministrazione intimata con controricorso.

3. Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

4. I quattro motivi di ricorso denunciano, sotto più profili, vizi motivazionali circa fatti controversi e decisivi: la Corte di merito avrebbe basato il suo convincimento in ordine alla originaria mancanza nel ricorrente di una condizione soggettiva di incertezza su una malintesa esegesi della motivazione della sentenza del giudice contabile, valorizzando come particolari taluni elementi (quale la distanza di tempo tra l’evento bellico e la presentazione della istanza di pensione, o il difetto di prove adeguate circa l’evento stesso) che tali invece non sono, anche alla luce della normativa regolante il procedimento presupposto; avrebbe inoltre esteso tali considerazioni alla condizione soggettiva dell’erede, che pure ha contraddittoriamente considerato quale parte autonoma del giudizio a seguito della sua riassunzione.

5. Tali doglianze, da esaminare congiuntamente attesa la stretta connessione, sono fondate nel loro nucleo essenziale. Inidonei, di per sè stessi, a giustificare il rigetto della domanda di equa riparazione del pregiudizio non patrimoniale devono ritenersi, alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. ex multis Cass. n. 12494/11; 9938/10; 9337/08; n. 15064/06; n. 19204/05; n. 3410/03), gli elementi indicati nella motivazione del provvedimento in esame. La sofferenza morale per l’eccessivo protrarsi del processo, quale conseguenza normale di tale irragionevole durata, non può, senza incorrere in contraddizione, essere disconosciuta alla parte la cui pretesa giudiziale viene respinta (o in generale che subisce un esito sfavorevole del giudizio), salvi i casi nei quali questa abbia posto in essere un vero e proprio abuso del processo, configurabile allorquando risulti che abbia promosso una lite temeraria o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire, con tattiche processuali di varia natura, il perfezionamento della fattispecie di cui alla L. n. 89 del 2001. La ricorrenza nel caso in esame di una siffatta fattispecie di abuso non risulta neppure specificamente evidenziata nel decreto impugnato, nè tantomeno ne risultano indicati gli elementi di riscontro, che non possono consistere nella mera infondatezza della domanda, tantomeno quando – come nella specie – la motivazione del rigetto non evidenti particolari segni rivelatori dell’abuso anzidetto. L’accoglimento del ricorso segue dunque di necessità.

6. Il provvedimento impugnato è pertanto cassato, e, non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito a norma dell’art. 384 c.p.c..

7. Al riguardo, va innanzitutto ribadito – alla stregua della giurisprudenza costante di questa Corte di legittimità – quanto già evidenziato nel decreto impugnato, che cioè, in caso di morte di una parte, gli eredi, in quanto tali, acquisiscono per successione il diritto all’indennizzo maturato dal de cuius per l’irragionevole protrazione di un processo che lo vide parte anche prima della entrata in vigore della L. n. 89 del 2001, mentre, per il periodo successivo alla morte della parte originaria, il diritto all’indennizzo spetta loro, in proprio, solo dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, hanno assunto la qualità di parte, e solo ove la fase del processo successiva si protragga in misura irragionevole (cfr. ex multis Cass. n. 2752/11; n. 23416/09; n. 2983/08; n. 23939/06).

7.1. Alla C. spetta dunque, in primo luogo, l’indennizzo maturato a favore dell’originario ricorrente, suo dante causa, per la protrazione per quattro anni e otto mesi del processo oltre il termine ragionevole di tre anni (febbraio 1984/ottobre 1991). Per la relativa liquidazione deve farsi applicazione della giurisprudenza di questa Corte (tra molte: Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840) a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere di Euro 750,00 per anno per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole, in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento, mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere richiamato il parametro di Euro 1.000 per ciascun anno di ritardo. Pertanto, l’Amministrazione intimata deve essere condannata al pagamento a tale titolo in favore della C. – in proporzione alla sua quota ereditaria – di Euro 4.000,00, oltre agli interessi legali dalla domanda.

7.2. Alla ricorrente spetta inoltre l’indennizzo in proprio per l’ulteriore protrazione del processo presupposto dalla data della sua riassunzione (ottobre 1991) sino alla sua definizione (luglio 2007), quindi per circa sedici anni. Sul quantum va osservato come la Corte E.D.U. (le cui pronunce costituiscono come noto un fondamentale punto di riferimento per il giudice nazionale nella interpretazione delle disposizioni della C.E.D.U.) in numerosi giudizi di lunga durata davanti alle giurisdizioni amministrative nei quali gli interessati – come nella specie – non risultavano aver sollecitato la trattazione e/o definizione del processo mostrando di avervi scarso interesse, ha liquidato un indennizzo forfetario per l’interà durata del giudizio che, suddiviso per il numero di anni, ha oscillato tra gli importi di Euro 350,00 e quello di Euro 550,00 per anno (cfr. procedimenti 675/03; 688/03 e 691/03; 11965/03), pur se in qualche caso non è mancata una liquidazione superiore. Alla luce di tali orientamenti della Corte di Strasburgo, dettati in casi analoghi, ritiene il collegio che l’importo complessivo dell’indennizzo debba essere fissato, in relazione ad una durata di circa sedici anni, in modo da non scendere al di sotto della soglia di Euro 8.000. Il rispetto dell’obiettivo di assicurare un serio ristoro alla violazione in esame, alla stregua dei principi elaborati in sede europea, impone dunque di liquidare in tale misura – oltre gli interessi legali dalla domanda – la riparazione dovuta alla ricorrente in proprio.

8. Le spese del doppio grado seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Economia e Finanze al pagamento in favore della ricorrente, in qualità di erede di A.A., di somma pari alla quota ereditaria di sua spettanza sull’importo di Euro 4.000,00 oltre interessi legali dalla domanda;

condanna inoltre il Ministero stesso al pagamento in favore della ricorrente, in proprio, della somma di Euro 8.000,00 oltre interessi legali dalla domanda; condanna infine il Ministero al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio, che liquida, quanto al grado di merito, in complessivi Euro 1140,00 – di cui Euro 490 per onorari e Euro 600 per diritti – e quanto al grado di legittimità in Euro 865,00 per onorari e Euro 100,00 per esborsi, oltre – per entrambi i gradi – alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta – 1, della Corte di Cassazione, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *