Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 06-09-2012, n. 14974

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso alla Corte d’appello di Napoli, P.C. proponeva domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, per violazione dell’arto della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio in materia pensionistica dinanzi alla Corte dei Conti instaurato nel novembre 1983 e definito in primo grado con sentenza di rigetto nell’aprile 2008. La Corte d’appello, con il decreto indicato in epigrafe, ha rigettato la domanda, ritenendo di poter escludere nella specie il pregiudizio non patrimoniale normalmente conseguente al protrarsi del giudizio oltre la durata ragionevole, in presenza di un’originaria consapevolezza, nella parte, della infondatezza delle proprie pretese, emergente dalla motivazione della sentenza di rigetto.

2. Avverso tale decreto il P. ha proposto ricorso a questa Corte, con atto notificato il 15 febbraio 2011. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

3. Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

4. Con l’unico motivo di ricorso viene censurata la statuizione in ordine alla esclusione nella specie di ogni sofferenza per la durata irragionevole del giudizio, deducendo che essa viola il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 6.1 C.E.D.U., come costantemente interpretati da questa Corte.

5. Iva doglianza è fondata. Inidonei, di per se stessi, a giustificare il rigetto della domanda di equa riparazione del pregiudizio non patrimoniale devono ritenersi, alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. ex multis Cass. n. 12494/11; 9938/10; 9337/08; n. 15064/06; n. 19204/05; n. 3410/03), gli elementi indicati nel provvedimento in esame. La sofferenza morale per l’eccessivo protraisi del processo, quale conseguenza normale di tale irragionevole durata, non può, senza incorrere in contraddizione, essere disconosciuta alla parte la cui pretesa giudiziale viene respinta (o in generale che subisce un esito sfavorevole del giudizio), salvi i casi nei quali questa abbia posto in essere un vero e proprio abuso del processo, configurabile allorquando risulti che abbia promosso una lite temeraria o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire, con tattiche processuali di varia natura, il perfezionamento della fattispecie di cui alla L. n. 89 del 2001. La ricorrenza nel caso in esame di una siffatta fattispecie di abuso non risulta neppure specificamente evidenziata nel decreto impugnato, nè tantomeno ne risultano indicati gli elementi di riscontro, che non possono consistere nella mera infondatezza della domanda. L’accoglimento del ricorso segue dunque di necessità.

6. Il provvedimento impugnato è pertanto cassato, e, non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito a norma dell’art. 384 c.p.c..

7. Considerato che il processo presupposto si è protratto complessivamente per circa ventiquattro anni sino alla sua definizione, va osservato come la Corte E.D.U. (le cui pronunce costituiscono come noto un fondamentale punto di riferimento per il giudice nazionale nella interpretazione delle disposizioni della C.E.D.U.) in numerosi giudizi di lunga durata davanti alle giurisdizioni amministrative nei quali gli interessati – come nella specie- non risultavano aver sollecitato la trattazione e/o definizione del processo mostrando di avervi scarso interesse, ha liquidato un indennizzo forfetario per l’intera durata del giudizio che, suddiviso per il numero di anni, ha oscillato tra gli importi di Euro 350,00 e quello di Euro 550,00 per anno (cfr. procedimenti 675/03; 688/03 e 691/03; 11965/03), pur se in qualche caso non è mancata una liquidazione superiore. Alla luce di tali orientamenti della Corte di Strasburgo, dettati in casi analoghi, ritiene il collegio che l’importo complessivo dell’indennizzo debba essere fissato, in relazione ad un giudizio durato circa ventiquattro anni, in modo da non scendere al di sotto della soglia di Euro 12.000. Il rispetto dell’obiettivo di assicurare un serio ristoro alla violazione in esame, alla stregua dei principi elaborati in sede europea, impone dunque di liquidare in tale misura la riparazione dovuta alla ricorrente.

8. A tale somma debbono aggiungersi gli interessi legali dalla domanda e le spese del doppio grado, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Economia e Finanze al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 12.000,00 oltre gli interessi legali dalla domanda e le spese, che liquida, quanto al grado di merito, in complessivi Euro 1140,00 – di cui Euro 490,00 per onorari e Euro 600,00 per diritti – e quanto al grado di legittimità in Euro 865,00 per onorari e Euro 100,00 per esborsi, oltre – per entrambi i gradi – alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta – 1, della Corte di Cassazione, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2012

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