T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 31-01-2011, n. 886

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con ricorso notificato in data 2930 maggio 2009, depositato il 10 giugno 2009, la società A., quale mandataria di A.A. s.p.a., impugna, in particolare, il provvedimento 12 marzo 2009, con il quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato:

– ha ritenuto che la pratica commerciale consistente nell’avere interrotto la fornitura del servizio idrico, senza fornire preventivamente agli utenti informazioni rilevanti (quale l’esistenza di una situazione di morosità, un termine per regolarizzare la posizione e il preavviso di distacco della fornitura a una certa data in assenza di regolarizzazione), costituisce una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20 e 22 d. lgs. 6 settembre 2005 n. 206, e ne ha vietato l’ulteriore diffusione;

– ha irrogato ad A.A. s.p.a. una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 150.000 (centocinquantamila).

Premessa una ampia ricostruzione del quadro normativo regolante la materia e della disciplina per il recupero dei crediti (pp. 1425 del ricorso), la società ricorrente propone i seguenti motivi di gravame:

a) violazione e falsa applicazione art. 27 d. lgs. n. 206/2005, degli artt. 6, 11 e 14 del Regolamento sulle procedure istruttorie; eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, carenza di motivazione; ciò in quanto "nessuna comunicazione di avvio del procedimento relativo ad una contestazione di presunta violazione del Codice del consumo è stata fatta ad A. s.p.a.", con la conseguente illegittimità dell’ispezione effettuata presso i locali di tale società, nonché dell’intero procedimento e del provvedimento finale;

b) violazione e falsa applicazione artt. 18 e 19 del Codice del Consumo; carenza di potere in concreto; poiché, nel caso di specie, non ricorre una "pratica commerciale scorretta", in quanto tale non è "un comportamento specifico volto a fronteggiare il comportamento palesemente e gravemente inadempiente delle proprie controparti commerciali", che "si inserisce infatti nella fase patologica del rapporto contrattuale, ovvero la acclarata e perdurante inadempienza di una delle parti (il contraente consumatore) nei confronti dell’altra (il professionista fornitore); ne consegue che "manca un comportamento del professionista idoneo a falsare in misura significativa la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole";

c) violazione e falsa applicazione artt. 18, 19, 20 e 22 del Codice del consumo; eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, perplessità, ingiustizia manifesta; poiché nel caso di specie – ed ai fini della qualificazione come "pratica commerciale scorretta" – mancano sia il presupposto della "contrarietà alla diligenza professionale", sia il presupposto della "falsità e idoneità a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico… del consumatore medio", posto che la ricorrente "ha soltanto posto in essere una procedura per il recupero del credito all’interno della quale è prevista – extrema ratio – la comunicazione di preavviso di distacco nel caso in cui la morosità perduri"; peraltro, "la possibilità di esercitare il legittimo diritto di sospendere la fornitura e quindi provvedere al distacco, da un lato è chiaramente previsto nel Regolamento di utenza e nella Carta del servizio, oltre che nelle Condizioni generali di fornitura, dall’altro le relative informazioni sono puntualmente comunicate da A.A. al contraente consumatore". In particolare, "il condominio in quanto tale deve essere considerato consumatore ai fini dell’applicabilità delle disposizioni del Codice del consumo" e dunque "la diligenza professionale richiesta… deve essere esercitata dal professionista nei confronti dell’amministratore del condominio, nella sua qualità di mandatario della comunione e rappresentante della medesima", e che è il soggetto che "stipula, in nome e per conto di tutti i condomini, il contratto di somministrazione della fornitura d’acqua". Né la società ricorrente può svolgere attività di supplenza (e/o essere ritenuta responsabile) dell’eventuale inadempimento dell’amministratore del condominio alle proprie obbligazioni di mandatario". Inoltre, nessuna norma prescrive che "il gestore debba indicare nella comunicazione di preavviso il giorno previsto per il distacco";

d) eccesso di potere; carenza di istruttoria; stante la "assoluta carenza di indizi gravi, precisi e concordanti sui quali si può fondare un provvedimento sanzionatorio";

e) violazione e falsa applicazione art. 27, co. 8 e 9 del Codice del consumo e art. 11 l. n. 689/1981, in relazione alla sanzione; eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità, difetto di motivazione; poichè l’obbligo imposto di "non facere" non è individuabile con "ragionevole chiarezza e certezza", ed essendo irrealizzabile la prescrizione di avvisare i consumatori del giorno esatto in cui avverrà il distacco; né sussistono presupposti di gravità e durata della pratica commerciale scorretta tali da giustificare la sanzione irrogata (peraltro A.A. "ha sospeso gli interventi di distacco sin dal gennaio 2009").

Si è costituita in giudizio l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha concluso per il rigetto del ricorso, stante la sua infondatezza.

All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.

Motivi della decisione

2. Il ricorso è infondato e deve essere, pertanto, respinto.

Quanto al primo motivo di ricorso, occorre osservare che il procedimento che ha dato luogo al provvedimento impugnato nella presente sede ha avuto come parte esclusivamente la società A.A. s.p.a. (e non l’A. s.p.a., ancorchè erroneamente indicata), tanto è vero che è nei confronti della suddetta A.A. che è emesso il provvedimento finale e non a caso la società A. s.p.a. è ricorrente non in proprio, bensì "in qualità di mandataria" di A.A..

D’altra parte, dalla ricostruzione delle fasi del procedimento risulta che la società A. ha comunque avuto piena contezza dell’esistenza del procedimento, al quale ha comunque partecipato.

Nel merito, occorre osservare come la presente controversia (alla luce dei motivi ulteriori introdotti dalla ricorrente, riportati sub b) c) ed e) dell’esposizione in fatto), verte, in sostanza, su due questioni:

a) se il comportamento di A.A. (concretizzantesi nel distacco delle forniture di acqua in presenza di morosità) possa essere ritenuto una "pratica commerciale scorretta", e come tale sanzionabile dall’Autorità;

b) se l’A. sia tenuta a informare della sussistenza della morosità non il solo condominio (che è il soggetto che – per mezzo del suo amministratore – ha stipulato il contratto di fornitura), in persona del suo amministratore, ma anche i singoli condomini, e se tale informativa deve indicare con esattezza il giorno previsto per il distacco.

Ai fini della decisione, occorre tenere presente, quale elemento non secondario ai fini della concreta ricostruzione della fattispecie, che oggetto della controversia è un deficit informativo in ordine alla cessazione (per morosità) della fornitura del bene idrico.

Si tratta, dunque, innanzi tutto di un bene essenziale per l’esistenza dell’individuo, la cui mancanza incide direttamente sull’esercizio dei diritti della persona costituzionalmente garantiti, e di un settore nel quale il professionista opera in condizioni di sostanziale monopolio. Di modo che la commercializzazione del bene (e le pratiche a ciò connesse), la legittima ricerca di un profitto nello svolgimento dell’attività ed i rapporti tra erogatore del servizio e consumatori devono essere necessariamente contestualizzati (ed in tal senso ricostruiti e valutati) alla luce della natura primaria ed essenziale del bene "acqua".

Il che non significa, ovviamente, che il servizio di erogazione debba essere assicurato a prescindere dall’adempimento delle proprie obbligazioni da parte del consumatore, e cioè nonostante la morosità di quest’ultimo, ma che la cessazione dell’erogazione deve essere considerata una extrema ratio, ed essere accompagnata da una pluralità di misure e cautele volte a rendere edotto il consumatore medesimo che, persistendo nel proprio inadempimento, la conseguenza grave, ma inevitabile, non potrà che essere la cessazione della fornitura.

3. Tanto precisato, occorre osservare che, ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. d) del Codice del consumo (d. lgs. 6 settembre 2005 n.206), per "pratica commerciale tra professionisti e consumatori" deve intendersi "qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori".

Alla luce dell’ampia dizione utilizzata dal legislatore, appare evidente come nel concetto di "pratica commerciale" non rientri solo ogni attività (o altro) finalizzata o connessa alla conclusione del contratto (sia esso di compravendita, di somministrazione o altro), ma anche tutto quanto si riconnetta (ed intervenga) sul rapporto contrattuale. Ciò si evince sia dalle finalità proprie dell’intervento legislativo, concernenti la tutela del consumatore (sarebbe, infatti, a tutta evidenza illogica una normativa che tutelasse il consumatore e la sua libertà di volizione nella fase antecedente alla conclusione del contratto e non anche per ciò che concerne la disciplina dell’esecuzione del medesimo), sia dallo specifico riferimento effettuato alla "fornitura" di un prodotto ai consumatori, che implica necessariamente la considerazione del rapporto scaturente dal contratto anteriormente stipulato.

Non può, dunque, trovare accoglimento la tesi esposta dalla ricorrente, tendente ad asseverare una interpretazione che restringa il concetto di "pratica commerciale" a quei comportamenti posti in essere "al fine di condizionare le scelte dei consumatori", escludendo completamente, dunque, tutto ciò che – per di più se unilateralmente predisposto dal professionista – incide sul rapporto contrattuale.

E ciò a maggior ragione laddove – come sottolinea l’amministrazione resistente (v. pag. 6 memoria dep. il 11 ottobre 2010) – il professionista "versa in una situazione di speciale responsabilità dovuta al fatto di essere monopolista, seppure in un mercato regolamentato, e di erogare un servizio primario come la somministrazione del bene idrico, la cui essenzialità è pacificamente riconosciuta".

Né l’Autorità ha inteso sanzionare "un comportamento specifico volto a fronteggiare il comportamento palesemente e gravemente inadempiente delle proprie controparti commerciali", come sostiene la ricorrente, ma ha, al contrario, inteso valutare (e, dopo compiuto esame, sanzionare) le modalità attraverso le quali si tutela la legittima pretesa all’adempimento delle proprie obbligazioni da parte dei consumatori, con particolare riguardo al deficit informativo in ordine alle comunicazioni precedenti al distacco della fornitura.

Modalità che, se pur intervengono concretamente in un momento patologico del rapporto, sono conseguenza di una predisposizione dell’assetto normativo del medesimo che, laddove si caratterizzi per deficit informativo in ordine alle conseguenze di propri comportamenti in costanza di rapporto, ben può costituire una "pratica commerciale scorretta".

4. Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente sostiene l’assenza di scorrettezza nel comportamento di A.A., sia in quanto non sussiste la contrarietà alla diligenza professionale, sia in quanto non sussiste una condotta caratterizzata per falsità o idoneità a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta; né, secondo la ricorrente, la condotta è qualificabile come "pratica scorretta ingannevole per avere la ricorrente omesso informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale", ai sensi dell’art. 22 del Codice del consumo.

Ai fini dell’esame del motivo, preliminare appare la verifica di chi assuma la veste di "consumatore" nel rapporto contrattuale con il professionista erogatore del servizio idrico. Orbene:

– secondo la ricorrente, tale consumatore è il condominio, che ha sottoscritto il contratto per mezzo del proprio rappresentante legale (l’amministratore). Da ciò consegue che, se è "il condominio in quanto tale ad essere considerato consumatore", la diligenza va rapportata all’ "amministratore di condominio, nella sua qualità di mandatario della comunione e rappresentante della medesima" (pag. 38 ric.); e se vi è "deficit informativo" ciò "è attribuibile esclusivamente all’inadempimento degli amministratori di condominio alle proprie obbligazioni di mandatari" (pag. 42 ric.). E sul piano concreto, è il condominio, quale intestatario dell’utenza idrica "il soggetto tenuto al pagamento della fornitura d’acqua" (la bolletta "non indica le percentuali di acqua consumata da ciascun condomino né ripartisce le quote di spettanza"), acqua che "viene consegnata all’uscita della saracinesca posta a valle dell’apparecchio di misura" (pag. 40 ric.);

– secondo l’Autorità, se "parte formale del rapporto di utenza è il condominio", nondimeno "beneficiario effettivo della somministrazione, soggetto tenuto al pagamento delle quantità consumate e destinatario finale delle condotte commerciali del professionista che agisca a tutela del proprio credito, è il singolo condomino", ed è nei confronti di questi che deve essere valutata la diligenza professionale, la quale "nello specifico settore di attività considerato, pone gli utenti effettivi del servizio in una condizione reale di deficit informativo e di debolezza economicogiuridica, meritevoli di tutela".

La giurisprudenza ha già avuto modo di chiarire che, in presenza di un condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, i condomini devono essere considerati "consumatori", in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale (in tal senso, anche la definizione di consumatore, di cui all’art. 18 del Codice del consumo), mentre l’amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini (Cass. civ., sez. III, 24 luglio 2001 n. 10086; sez. III, 12 gennaio 2005 n. 452).

E’, dunque, in relazione ai singoli condomini, cui va riconosciuta la natura di "consumatori" che deve essere rapportata (e quindi valutata) la diligenza del professionista e la sua condotta; così come, se occorre giungere ad una decisione drastica, ancorchè legittima in presenza di morosità, quale quella della cessazione dell’erogazione dell’acqua, è ai consumatori/condomini che occorre fare riferimento (quanto alla corretta e completa informazione in ordine alle loro libere e consapevoli determinazioni).

In altre parole, non è in discussione né la qualificazione dell’amministratore di condominio quale mandatario con rappresentanza, né i suoi poteri (e limiti) nell’impegnare il condominio (i singoli condomini), anche contrattualmente, né nel poter egli essere, conseguentemente, destinatario di comunicazioni da parte di eventuali soggetti erogatori di servizi con i quali si è stipulato un contratto, né, tantomeno, sono in discussione gli obblighi (e le eventuali responsabilità) dell’amministratore verso i condomini.

Allo steso tempo, non è in discussione il legittimo esercizio delle proprie ragioni da parte del fornitore in presenza di una perdurante morosità del soggetto cui la fornitura è resa.

Ciò che, nel caso oggetto della presente decisione, è in discussione, alla luce del provvedimento impugnato, è se una condotta consistente nel distacco di una fornitura particolare quale l’acqua, in presenza di morosità del condominio, possa ritenersi corretta, qualora tale informazione (cioè il futuro distacco perdurando l’inadempimento), per un verso sia stata resa al solo amministratore, per altro verso non contenga l’indicazione di una data certa nella quale tale cessazione di fornitura interverrà.

E da tale punto di vista, il Tribunale ritiene che la pratica commerciale (tale essendo, per le ragioni già esposte, quella di A.A.) si connoti come pratica commerciale scorretta, poiché determina l’interruzione della fornitura senza fornire ai consumatori (tali essendo i singoli condomini) informazioni rilevanti in ordine all’esistenza di una situazione di morosità, un termine per regolarizzare la posizione, e il preavviso di distacco ad una certa data, in assenza di regolarizzazione.

E ciò a maggior ragione laddove si consideri che oggetto della fornitura è un bene primario della vita, quale l’acqua, la cui cessazione di erogazione non può essere disposta dal fornitore (peraltro sostanziale monopolista), senza la raggiunta certezza in ordine alla consapevolezza del consumatore (il singolo condomino) dell’esistenza della morosità, della necessità di sanarla, delle conseguenze del perdurante inadempimento, della data oltre la quale il "bene primario acqua" non gli sarà più reso disponibile.

A tali conclusioni non si oppongono le considerazioni espresse dalla ricorrente in ordine ad una sostanziale impossibilità di operare il distacco, non conoscendo essa "chi usufruisca dell’acqua né in che misura ne faccia uso", ben potendo il professionista, nella determinazione delle proprie procedure, ed in sede di stipulazione del contratto, richiedere le generalità dei fruitori effettivi dell’acqua, (restando a carico del consumatore l’onere di un aggiornamento dei dati), ovvero verificare forme di pubblicità che consentano di ritenere ragionevolmente assolta l’informazione nei confronti dei condomini.

Né sembra irragionevole ipotizzare una informazione in ordine alla data del distacco, ben potendo il professionista – ed in considerazione della natura di extrema ratio della cessazione della fornitura di un bene vitale – conseguentemente organizzare la propria attività operativa. A tale conclusione, non osta il fatto che nessuna disposizione normativa o regolamentare contempli "che il gestore debba indicare nella comunicazione di preavviso il giorno previsto per il distacco", dovendosi tale comunicazione intendere come informazione rilevante (e quindi da effettuarsi a prescindere da una prescrizione normativa), ai fini delle corrette decisioni da assumersi da parte del consumatore.

Per le ragioni esposte, devono ritenersi infondati sia il motivo sub c) dell’esposizione in fatto, sia il motivo sub d), posto che quanto evidenziato sorregge, sul piano del materiale indiziario raccolto, il provvedimento dell’Autorità.

5. Anche il motivo sub e) dell’esposizione in fatto è infondato.

Ed infatti, appare del tutto comprensibile, alla luce delle considerazioni esposte (in particolare al precedente paragrafo), quale sia la condotta inibita al professionista per effetto del provvedimento dell’Autorità.

Quanto alla determinazione della sanzione in relazione alla gravità e durata della condotta, la stessa non appare irragionevole, proprio in ragione del "particolare contesto" nel quale la condotta si inserisce, e che si è già ampiamente rappresentato.

Per le ragioni sin qui esposte, il ricorso deve essere rigettato.

Stante la complessità degli elementi concernenti la controversia, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. I, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da A. s.p.a. (n. 4680/2009 r.g.), lo rigetta.

Compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giovannini, Presidente

Roberto Politi, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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