Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 06-09-2012, n. 14968

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Svolgimento del processo

G.A., con ricorso depositato il 30 novembre 2007, ha proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, ai sensi della L. n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale sofferto a causa della non ragionevole durata di un giudizio amministrativo iniziato dinnanzi al Tribunale Amministrativo Regionale della Campania con ricorso depositato il 10 novembre 1992, ancora pendente alla data della domanda di equa riparazione.

L’adita Corte d’appello di Napoli ha rigettato la domanda rilevando che, nonostante i numerosi rinvii richiesti dalla ricorrente per depositare la documentazione relativa al giudizio amministrativo, nulla era mai stato prodotto per consentire di conoscere se tale giudizio fosse ancora pendente o fosse stato definito e, in tale caso, quale fosse il tenore del provvedimento finale; nè per sapere se fossero state presentate istanze sollecitatorie da parte della ricorrente e, quindi, per valutare il comportamento della stessa, anche ai fini della verifica della sussistenza e della quantificazione del danno morale lamentato. Gli unici documenti presenti in atti erano la fotocopia del ricorso amministrativo e un certificato di pendenza alla data del 23 ottobre 2007; ma tale documentazione non era idonea a dimostrare l’esistenza e l’entità del dedotto patema d’animo.

Per la cassazione di questo decreto la G. ha proposto ricorso affidato ad un motivo, illustrato da memoria, cui ha resistito, con controricorso, l’intimata amministrazione.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, con contestuale violazione dell’art. 2, commi 1, 2 e 3, della medesima legge, nonchè dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Dopo aver ricordato che nel ricorso per equa riparazione si era chiesto che la Corte d’appello di Napoli disponesse l’acquisizione di tutti gli atti del procedimento, la medesima Corte a ciò non aveva provveduto, incorrendo pertanto nelle denunciate violazioni di legge secondo i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in analoghe fattispecie.

Il ricorso è fondato.

Questa Corte ha infatti avuto modo di chiarire che, in tema di equa riparazione, ove la parte si sia avvalsa della facoltà – prevista dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 5 – di richiedere alla Corte d’appello di disporre l’acquisizione degli atti del processo presupposto, il giudice non può addebitare alla mancata produzione documentale, da parte dell’istante, di quegli atti la causa del mancato accertamento della addotta violazione della ragionevole durata del processo; difatti la parte ha un onere di allegazione e di dimostrazione, che però riguarda la sua posizione nel processo, la data iniziale di questo, la data della sua definizione e gli eventuali gradi in cui si è articolato, mentre (in coerenza con il modello procedimentale, di cui all’art. 737 cod. proc. civ., e segg., prescelto dal legislatore) spetta al giudice – sulla base dei dati suddetti, di quelli eventualmente addotti dalla parte resistente e di quelli acquisiti dagli atti del processo presupposto – verificare in concreto e con riguardo alla singola fattispecie se vi sia stata violazione del termine ragionevole di durata (Cass. n. 16367 del 2011 e precedenti ivi richiamati), tenuto anche conto che nel modello processuale della L. n. 89 del 2001, sussiste un potere d’iniziativa del giudice, che gli impedisce di rigettare la domanda per e-ventuali carenze probatorie superabili con l’esercizio di tale potere (Cass. n. 18063 del 2005).

Nel caso di specie, la Corte di merito – affermando che la ricorrente non aveva prodotto la documentazione processuale idonea a dare conto delle vicende del processo presupposto, pur in presenza di una sollecitazione rivolta dalla ricorrente alla acquisizione, d’ufficio, degli atti del giudizio presupposto, – non si è uniformata all’orientamento sopra richiamato.

Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento del decreto impugnato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2. In particolare – determinata in quindici anni circa la durata complessiva del giudizio presupposto, promosso il 10 novembre 1992 e non ancora definito alla data del 30 novembre 2007 – il periodo di durata non ragionevole va fissato in dodici anni, previa detrazione dalla durata complessiva del termine ragionevole di tre anni per il giudizio di primo grado alla stregua del criterio applicato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo e dalla giurisprudenza di questa Corte.

Relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va poi osservato che, in applicazione dei criteri elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo relativamente a giudizi amministrativi protrattisi per oltre dieci anni (nella specie, quindici anni), questa Corte, per un giudizio amministrativo presupposto di tale durata, è solita riconoscere, a titolo di equa riparazione, un danno non patrimoniale di Euro 7.500,00.

La causa può quindi essere decisa nel merito con la condanna dell’amministrazione intimata al pagamento della somma indicata di Euro 7.500,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. n. 16367 del 2011).

Le spese del giudizio di legittimità vanno distratte in favore dell’Avvocato xxx, per dichiarato anticipo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 7.500,00, oltre agli interessi legali dalla domanda; condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.140,00, di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 965,00, di cui Euro 865,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; dispone la distrazione delle spese del giudizio di legittimità in favore del difensore antistatario, Avvocato xxx.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2012

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