Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 06-09-2012, n. 14966

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Svolgimento del processo

Con ricorso depositato nel 2007 presso la Corte d’appello di Roma, C.F. ha chiesto il riconoscimento dell’equa riparazione per la irragionevole durata di un processo, introdotto dinnanzi alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale del Lazio, con ricorso depositato il 29 maggio 1993, ancora pendente alla data di proposizione del ricorso.

L’adita Corte d’appello ha ritenuto violata la durata ragionevole del processo – stimata in cinque anni – per otto anni circa, liquidando in favore del ricorrente la somma di Euro 8.000,00, computata sulla base di un importo di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, con interessi dalla data della domanda al saldo.

Per la cassazione di questo decreto C.F. ha proposto ricorso sulla base di due motivi; l’intimata amministrazione ha depositato memoria ai fini della partecipazione alla discussione in pubblica udienza.

Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 6, par. 1, e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 cod. civ., dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia riconosciuto l’indennizzo solo in relazione agli anni di eccessiva durata del giudizio presupposto e non alla intera durata di tale giudizio, come imposto dalla giurisprudenza della Corte europea. Il ricorrente chiede che venga sollevata, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, questione pregiudiziale rimettendo la causa alla Corte di Giustizia, in considerazione della intervenuta ricomprensione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo tra le fonti del diritto comunitario, al fine di fare affermare che la L. n. 89 del 2001, art. 2 cit., deve essere interpretato nel senso che l’indennizzo deve essere ragguagliato alla intera durata del giudizio presupposto e non solo alla parte di questo eccedente la ragionevole durata.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione perchè la Corte d’appello ha affermato che, detratta la durata ragionevole stimata in cinque anni, la durata irragionevole di un giudizio iniziato nel 1993 ed ancora pendente alla data della presentazione della domanda di equa riparazione era di otto anni, anzichè di almeno 11 anni e sei mesi.

Il ricorso è inammissibile per carenza di interesse.

E’ preliminare l’esame del secondo motivo, attenendo esso alla determinazione della durata ritenuta dalla Corte d’appello non ragionevole e in relazione alla quale deve essere effettuato l’indennizzo.

In proposito, deve rilevarsi che appare evidente l’errore nel quale è incorsa la Corte d’appello che, da un lato, ha affermato che la durata ragionevole del processo presupposto era di cinque anni e, dall’altra, pur avendo dato atto della mancata definizione di tale giudizio alla data di presentazione del ricorso (2007), ha determinato il periodo di irragionevole durata in otto anni, laddove dalle stesse indicazioni temporali offerte nel decreto impugnato, detto periodo ammontava a circa nove anni, non potendosi invece condividere l’assunto del ricorrente secondo cui ai fini di liquidazione si sarebbe dovuto tenere conto della durata del giudizio presupposto sino alla data di pronuncia del decreto, difettando la prova della perdurante pendenza del giudizio presupposto alla data della pronuncia del decreto della Corte d’appello.

La rilevata sussistenza del denunciato errore comporta la necessità di dover procedere alla nuova determinazione della durata irragionevole in nove anni e conseguentemente ad una nuova determinazione dell’indennizzo dovuto.

Questa determinazione, tuttavia, non può avvenire altro che alla luce dei parametri adottati da questa Corte in ipotesi analoghe di giudizi amministrativi protrattisi per oltre dieci anni. In siffatti casi, la Corte, seguendo anche un indirizzo espresso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, è solita liquidare, per una durata di circa quattordici anni, 7.000,00 Euro, corrispondenti ad una base unitaria di 500,00 Euro per ogni anno di durata del processo (Cass. n. 14754 del 2010; Cass. n. 4049 del 2011).

Ne consegue che al ricorrente verrebbe liquidato un indennizzo inferiore a quello liquidato dalla Corte territoriale in Euro 8.000,00. Si deve solo aggiungere che l’importo unitario in base al quale è stata effettuata dal giudice di merito la liquidazione del pregiudizio da irragionevole ritardo, pur in assenza di ricorso incidentale, non è suscettibile di passare in giudicato. Trova infatti applicazione il principio, enunciato da questa Corte con riferimento alla indennità di espropriazione (Cass. n. 21143 del 2007), ma di indubbia portata generale, secondo cui non è concepibile acquiescenza al criterio legale di determinazione dell’indennità di espropriazione, posto che il bene della vita alla cui attribuzione tende l’opponente alla stima è l’indennità, liquidata nella misura di legge, non l’indicato criterio legale.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, atteso che l’amministrazione ha depositato un atto di costituzione ai fini della partecipazione alla discussione del ricorso, ma la difesa erariale non è intervenuta all’udienza di discussione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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