Cass. civ. Sez. III, Sent., 06-09-2012, n. 14961

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Svolgimento del processo
Con atto di citazione, ritualmente notificato, M.C. conveniva in giudizio innanzi il Tribunale di Palermo la xxxs.p.a. e S.F. ed esponeva che il giorno (OMISSIS), alle ore 16.30 circa, mentre si trovava alla guida del motoveicolo Honda CN 250, targato (OMISSIS), percorrendo la Via (OMISSIS) a velocità moderata mantenendo la destra della carreggiata, senza oltrepassare la linea gialla che sulla sua destra delimitava il tratto di carreggiata riservato al transito dei mezzi pubblici, giunto quasi all’altezza del raccordo che immette nella via (OMISSIS), veniva investito dalla vettura Nissan Micra targ. (OMISSIS), di proprietà di S.F. e dallo stesso condotta; precisava che la Nissan Micra, dopo aver viaggiato per parecchi metri parallelamente al suo motociclo (più precisamente alla sua destra nella corsia riservata agli autobus), volendo sorpassare l’autovettura che la precedeva sempre nella corsia riservata agli autobus), la quale si era fermata dietro a colonna di macchine in attesa di immettersi nell’area di rifornimento benzina (API) sulla destra della via (OMISSIS), angolo via (OMISSIS), sterzava repentinamente a sua sinistra, urtando il motociclo Honda, all’altezza del posteriore laterale dx.; chiedeva, pertanto, affermarsi che il S. era responsabile esclusivo del sinistro e condannarlo per i danni subiti all’importo di Euro 321.702.300, oltre interessi e rivalutazione. Espletata l’istruzione, il Tribunale adito condannava i convenuti xxx S.p.A. e S. F., in solido tra loro, al pagamento in favore dell’attore della complessiva somma di L. 102.980.700, oltre interessi come per legge dalla data della decisione al soddisfo; rigettava la domanda riconvenzionale di S.F.; condannava i convenuti alla rifusione del 50% delle spese in favore dell’attore e compensava il resto. Avverso la predetta sentenza M.C.F. proponeva appello ed, in esito al giudizio, in cui si costituiva xxx, la Corte di Appello di Palermo con sentenza depositata in data 27 novembre 2006, in parziale riforma della sentenza impugnata, ritenuto che a carico del S. andasse ravvisata una percentuale di colpa del 70% (anzichè del 50% come aveva ritenuto il primo giudice), residuando a carico del M. una percentuale di colpa presunta nella misura del 30%, condannava gli appellati al pagamento, in solido, dell’ulteriore importo risarcitorio di Euro 56.224,45 oltre interessi. Avverso la detta sentenza il M. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi, illustrato da memoria. Resiste la xxx con controricorso.
Motivi della decisione
Con la prima doglianza, deducendo l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia nonchè la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello gli aveva attribuito erroneamente un concorso di colpa nella misura del 30% affermando che non vi fosse prova che avesse fatto il possibile per evitare il sinistro. In tal modo, il giudice di appello avrebbe sbagliato nell’applicare una responsabilità in via presuntiva in capo ad esso ricorrente perchè non era stata riscontrata positivamente alcuna sua colpa ed egli non avrebbe potuto tenere un comportamento diverso da quello posto in essere (cfr. pag. 8 del ricorso); inoltre, dalle risultanze istruttorie (testi V. e S.) era emerso che egli procedeva ad una velocità regolare. Entrambi i profili di doglianza sono infondati. Quanto, in particolare, al vizio motivazionale dedotto, vale la pena di premettere che la Corte territoriale, dopo aver osservato che la causa del sinistro doveva attribuirsi alla manovra incauta attuata dal conducente dell’autovettura – per essersi spostato dalla corsia di marcia riservata ai mezzi pubblici, che percorreva illegittimamente, nella corsia di marcia riservata ai normali veicoli senza prima accertarsi che in quest’ultima corsia non sopraggiungesse alcun veicolo – ha motivato il ritenuto concorso di colpa del motociclista sulla base della considerazione che l’imprevedibilità della manovra dell’automobilista "non esonerava però l’appellante dal provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il sinistro ponendo in essere le necessarie manovra di emergenza (nessuno dei due veicoli ha lasciato tracce di frenata) e di avere tenuto una velocità prudenziale idonea comunque a cagionare delle conseguenze meno gravi. In proposito – così ha continuato la Corte – appaiono privi di rilievo probatorio i giudizi espressi dagli informatori del predetto giudice – che hanno riferito che il motociclo andava a velocità regolare – sia perchè non compete ai testi giudizi e sia perchè (le valutazioni derivanti) dai danni riportati dal motociclo (torsione del cannotto di sterzo e della forcella) e dalla Fiat Uno (torsione della ruota posteriore destra e del relativo asse) potrebbero anche portare a conclusioni opposte.
Non è quindi, superata del tutto la presunzione di pari responsabilità dei conducenti dei veicoli di cui all’art. 2054 c.c., occorrendo fa tal fine, la prova che lo scontro è dipeso dal solo comportamento colposo del conducente a carico del quale è stata accertata la sussistenza di una colpa concreta e che il danneggiato ha fatto tutto il possibile per evitare il verificarsi dell’evento dannoso" (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata).
Tutto ciò premesso e considerato, risulta con chiara evidenza come la Corte di Appello abbia argomentato adeguatamente sul merito della controversia con una motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione, in linea con l’orientamento di questa Corte, secondo cui "in tema di responsabilità derivante da circolazione stradale, il giudice che abbia in concreto accertato la colpa di uno dei conducenti non può, per ciò solo, ritenere superata la presunzione posta a carico anche dell’altro dall’art. 2054 cod. civ., comma 2, ma è tenuto ad accertare in concreto se quest’ultimo abbia o meno tenuto una condotta di guida irreprensibile" (Cass. n. 12444/08).
Giova aggiungere che, in tema di sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, all’accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione, al pari dell’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta sottratto al sindacato di legittimità, qualora il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico, e ciò anche per quanto concerne il punto specifico se il conducente di uno dei veicoli abbia fornito la prova liberatoria di cui all’art. 2054 cod. civ. (Cass. n.1028/2012, Cass. n.15809/02, Cass. n. 11007/2003, Cass. n.15434/2004, Cass. n.4009/2006).
Passando all’esame della seconda doglianza, articolata per insufficiente, contraddittoria ed omessa motivazione, va rilevato che la censura si fonda sulla considerazione che la Corte, nell’attribuire al M. un danno biologico pari al 30% e nel fare proprie, a riguardo, le deduzioni del CTU, avrebbe omesso di motivare sulle osservazioni critiche, mosse nelle note depositate il 5.4.2005 – in cui lo stesso M. aveva posto in rilievo come il perito di ufficio fosse incorso in alcune contraddizioni – ritenendo erroneamente che non avesse invece contestato le conclusioni cui il CTU era pervenuto.
La censura è inammissibile, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che addebita alla consulenza tecnica d’ufficio lacune di accertamento o errori di valutazione oppure si duole di erronei apprezzamenti contenuti in essa (o nella sentenza che l’ha recepita) ha l’onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi salienti e non condivisi e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamento ed alle conclusioni del consulente d’ufficio. Le critiche mosse alla consulenza ed alla sentenza devono pertanto possedere un grado di specificità tale da consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne la decisività direttamente in base al ricorso (Cass. 13845/2007, n. 17369/2004, n. 2601/2006, n. 4885/2006, n. 7078/2006).
Al contrario, nel caso di specie, il ricorrente ha completamente omesso di trascrivere in ricorso sia i passi della relazione peritale, che aveva inteso confutare, sia il contenuto specifico delle critiche rivolte nelle note depositate il 5.4.2005. Ne deriva l’inammissibilità della censura in esame.
Resta da esaminare la terza doglianza, per violazione e/o falsa applicazione del D.M. n. 585 del 1994 e del D.M. n. 127 del 2004, la quale si fonda sulla considerazione che la Corte di Appello non avrebbe liquidato nemmeno le somme per le spese sostenute nè i minimi per gli onorari compensandone tra l’altro un terzo, e ciò con riferimento allo scaglione del risarcimento liquidato.
Anche quest’ultima censura è inammissibile, sia pure per ragioni diverse, vale a dire a ragione della sua estrema genericità. Ed invero, deve premettersi che, in materia di governo di spese, la valutazione operata dal giudice di merito può essere censurata in cassazione solo se le spese sono poste a carico della parte totalmente vittoriosa ovvero quando la motivazione sia illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale, ipotesi non ricorrenti nè dedotte nella specie, oppure se siano state effettuate liquidazioni non rispettose delle tariffe professionali.
Ma in quest’ultimo caso occorre che l’interessato specifichi le singole voci della tariffa, che sarebbero state violate, al fine di consentire il controllo della sussistenza dell’errore e la sua incidenza (cfr tra le altre Cass. 8857/01, 5467/01, 1382/03, 11583/04), onere che nella specie non è stato invece minimamente assolto da parte ricorrente, così come non ha assolutamente indicato le spese sostenute che non sarebbero state liquidate. Ne deriva l’inammissibilità della censura in esame.
Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2012

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