Corte di Cassazione – Sentenza n. 12056 del 2011 Cassa Integrazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Torino, confermando la sentenza impugnata, ha ritenuto l’illegittimità della collocazione in CIGS di (…) per il periodo dal 9.12.2002 al 8.12.2003 condannando la (…) spa al pagamento in favore della ricorrente delle differenze tra la normale retribuzione di fatto e quanto percepito a titolo di CIGS. A tale conclusione il giudice d’appello è pervenuto osservando che non poteva ritenersi che l’art. 2 comma 5 del DPR_218_2000 avesse abrogato il disposto dell’art. 1 comma 7 della legge_223_1991, che prevedeva l’obbligo di esplicitare nella comunicazione di apertura della procedura i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere, nonché le modalità della rotazione; che la comunicazione inviata dall’azienda alle RSU nell’ottobre 2002 risultava del tutto generica sotto il profilo della indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in CIGS e che tali criteri non erano stati specificati in nessuna fase successiva; che non era possibile attribuire al verbale di riunione del 5.12.2002 alcuna capacità certificatrice o addirittura sanante di vizi procedurali attribuibili al datore di lavoro, il quale, con l’inosservanza degli obblighi di comunicazione, era andato a ledere diritti soggettivi pieni dei lavoratori; che neppure poteva riconoscersi valore sanante agli accordi sindacali aziendali del marzo e del luglio 2003, posto che tali accordi erano stati sottoscritti solo dopo la sospensione dei lavoratori interessati e non potevano valere a vanificare le illegittimità della procedura già concretizzatesi con la omessa comunicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e delle ragioni della mancata rotazione.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la società (…) spa (già spa (…) affidandosi a sei motivi di ricorso cui resiste con controricorso (…), che ha proposto anche ricorso incidentale condizionato con un unico motivo.
La società ha resistito con controricorso al ricorso incidentale della lavoratrice.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

I – Profili preliminari

1.- Preliminarmente, i ricorsi vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ..

2.- Sempre in via preliminare, deve rigettarsi la richiesta, avanzata dalla controricorrente nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ., di dichiarare inammissibile il ricorso principale per l’intervenuta definizione del procedimento di repressione della condotta antisindacale, promosso dalle OO.SS. nei confronti della (…) per violazione degli obblighi di informazione strumentali all’applicazione della CIGS. La difesa della controricorrente ha prodotto le sentenze di questa 1 luglio 2009, n. 15393, di rigetto dei ricorso proposto dalla (…) avverso la sentenza di appello che aveva ritenuto sussistente il comportamento antisindacale e dichiarato l’illegittimità dei provvedimenti di sospensione adottati a seguito della procedura avviata con la comunicazione del 31 ottobre 2002.
I giudicati formatisi – in epoca successiva alla notifica dell’attuale ricorso – nei confronti della (…), per effetto delle suindicate sentenze, in ordine all’anti sindacalità del comportamento tenuto nell’ambito della procedura di CIGS per cui è causa (per violazione degli obblighi di informazione) potrebbero essere opposti alla stessa dall’attuale controricorrente (ancorché essa non abbia partecipato ai giudizi conclusisi con le predette sentenze) per le seguenti ragioni: a) il comportamento antisindacale è un comportamento plurioffensivo, pertanto la rimozione dei relativi effetti può richiedere l’adozione di provvedimenti direttamente incidenti sui rapporti di lavoro dei singoli lavoratori, pur se inerti nel far valere i propri diritti (vedi: Cass. 18 giugno 2008, n. 16517); b) l’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 1306 cod. civ. da tutti gli altri creditori (in questo caso i lavoratori) contro il debitore, salve le eccezioni personali che questi può opporre a ciascuno dei creditori; c) una lettura costituzionalmente orientata – in riferimento agli art. 2909 cod. civ. dovrebbe portare a leggere l’espressione secondo cui «il giudicato fa stato tra le parti»nel senso che «il giudicato fa stato nei confronti delle parti» e, quindi, non solo nei rapporti tra le parti stesse.
2.1.- Rileva, al riguardo, il Collegio che, ferma restando la conoscibilità dei precedenti di questa Corte e la possibile rilevabilità d’ufficio, nel giudizio di cassazione, del giudicato esterno, al pari di quello interno, non solo nell’ipotesi in cui emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi di formazione del giudicato successiva alla pronuncia della sentenza impugnata (vedi, per tutte: Cass. 5 marzo 2009, n. 5360; Cass. 23 dicembre 2010, n. 26041), va tuttavia osservato che: 1) è anche possibile, in particolari situazioni, la produzione di un giudicato esterno rilevante per la controversia fino all’udienza di discussione della causa in sede di legittimità e prima dell’inizio della relazione, fermo restando che, qualora la produzione abbia luogo oltre il termine stabilito dall’Cass. SU 16 giugno 2006, n. 13916; Cass. SU 14 aprile 2008, n. 9743; Cass. 27 gennaio 2011, n. 1883); 2) con le memorie di cui Cass. 27 giugno 2006, n. 14710), diversamente violandosi il diritto di difesa della controparte in considerazione dell’esigenza per quest’ultima di valersi di un congruo termine per esercitare la facoltà di replica (Cass. SU 15 maggio 2006, n. 11097); 3) nella specie, la controricorrente, nella memoria, deduce l’esistenza di giudicati esterni, i cui effetti si chiede vengano estesi anche tra le parti del presente giudizio, sulla base di una lettura estensiva dell’art. 2909 cod. civ.; 4) tale assunto non può essere accolto, in quanto, in linea generale, il giudicato sostanziale opera soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione e presuppone – a differenza di quanto qui riscontrabile – che tra la precedente causa e quella in atto vi sia identità di parti, oltre che di petitum e di causa petendi (giurisprudenza consolidata: vedi, per tutte, Cass. 31 ottobre 1970, n. 1979; Cass. 27 gennaio 2006 n. 1760; Cass. 3 agosto 2007, n. 17078);
5) d’altra parte, per quanto riguarda l’efficacia riflessa del giudicato rispetto ai terzi estranei al giudizio in cui si è formato, per consolidato e condiviso orientamento di questa Corte: «dal principio stabilito dall’art. 2909 cod. civ. – secondo cui l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa – si evince, a contrario, che l’accertamento contenuto nella sentenza non estende i suoi effetti e non è vincolante rispetto ai terzi. Il giudicato può, tuttavia, quale affermazione obiettiva di verità, spiegare efficacia riflessa anche nei confronti di soggetti estranei al rapporto processuale, ma tali effetti riflessi sono impediti quando il terzo sia titolare di un rapporto autonomo ed indipendente rispetto a quello in ordine al quale il giudicato interviene, non essendo ammissibile né che egli ne possa ricevere pregiudizio giuridico, né che se ne possa avvalere a fondamento della sua pretesa» (vedi per tutte: Cass. SU 5 novembre 1996, n. 9631; Cass. 27 marzo 2007, n. 7523; Cass. 13 gennaio 2011, n. 691);
6) resta salva la possibilità dell’espressa previsione legislativa dell’indicata facoltà, come accade nel caso delle obbligazioni solidali, ai sensi dell’art. 1306 cod. civ. (Cass. 26 ottobre 1994, n. 8779; Cass. 27 maggio 2009, n. 12260; Cass. 13 gennaio 2011, n. 691);
7) conseguentemente, per potersi ipotizzare un’efficacia riflessa dei suddetti giudicati nell’attuale giudizio sarebbe necessario esaminare, in primo luogo, la questione della configurabilità dell’obbligo di comunicazione di cui all’art. 378 cod. proc. civ..

II – Sintesi dei motivi del ricorso principale e dei ricorso incidentale condizionato

3.- Col primo motivo del ricorso principale, illustrato da quesiti di diritto, si denuncia, in relazione all’art. 1 della legge n. 223 del 1991. Sostiene, in particolare la ricorrente che – muovendo dal rilievo che l’intervento legislativo attuato mediante l’art. 20 della legge n. 59 del 1997 costituisce espressione della scelta operata dal legislatore stesso di procedere alla c.d. delegificazione delle materie sulle quali non esiste riserva di disciplina legale – non può dubitarsi che oggetto dell’intervento regolamentare e del conseguente effetto di delegificazione mediante abrogazione della preesistente disciplina legale sia anche il procedimento per la concessione della CIGS, in tutti i suoi momenti e atti coordinati e collegati in serie (fase preparatoria, introduttiva, di istruzione e di decisione). Di talché, così come nel vigore dell’legge n. 223 del 1991.
4.- Col secondo motivo, illustrato da quesito di diritto, si denuncia: a) in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in riferimento all’Accordo di programma, allegato al fascicolo della prima fase e al presente ricorso, presentato dal Governo e sottoscritto dalla società nel dicembre 2002. In particolare si sostiene che erroneamente la Corte territoriale ha omesso di considerare che il tema della rotazione è stato affrontato nella sede normativamente corretta, ossia nell’ambito dell’esame congiunto di cui all’art. 2, comma 5, del d.P.R. n. 218 del 2000, tanto che, a seguito degli incontri intervenuti con le Organizzazioni sindacali e con la parte pubblica, l’azienda ha riconsiderato la propria iniziale indisponibilità alla rotazione. Conseguentemente non poteva dubitarsi che la procedura fosse stata correttamente eseguita, mentre la Corte d’appello, muovendo dell’errata premessa che le esigenze ostative alla rotazione debbano avere carattere assoluto e immodificabile, ha ritenuto che esse siano state negate, desumendolo dalla successiva stipulazione di un accordo sindacale. Si sottolinea, altresì, che la Corte territoriale ha ritenuto di escludere che tale questione abbia formato oggetto di esame congiunto senza compiere alcuna indagine istruttoria, sebbene richiesta dalla difesa, volta a dimostrare il contenuto del confronto e l’esplicitazione dei temi attinenti non solo ai criteri di scelta, ma anche all’impossibilità di procedere alla rotazione, anche alla luce del valore probatorio da attribuire al verbale del 5 dicembre 2002, ove è sancita la regolarità del confronto stesso. La ricorrente rileva, inoltre, che la Corte torinese ha del tutto omesso di valutare e, quindi, di motivare in merito al contenuto del suddetto Accordo, nel quale si è dato atto della proposta, da parte della (…) di criteri di rotazione, sui quali però non si è trovato il consenso sindacale, sicché si è poi pervenuti all’intesa del 18 marzo 2003, nella quale la società, modificando la propria linea iniziale si è dimostrata disponibile ad applicare la rotazione con le modalità gestionali definite con le OO.SS. mediante la intesa stessa.
5.- Con il terzo motivo, illustrato da quesiti di diritto, si denuncia: a) in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in riferimento al suddetto verbale di esame congiunto del 5 dicembre 2002, redatto dal Ministero del Lavoro. In particolare, la ricorrente sostiene che la Corte territoriale abbia fatto erronea applicazione sia dei principi legali in materia di ripartizione dell’onere della prova, sia dell’art. 2 del d.P.R. n. 218 del 2000, laddove erroneamente ha del tutto omesso di considerare il valore probatorio da attribuire al verbale del 5 dicembre 2002 – con il quale il Ministero del Lavoro ha certificato la regolarità della procedura svoltasi – ritenendo tale atto privo di ogni valenza legale e così trascurando del tutto che, trattandosi di un atto amministrativo, il relativo effetto certificativo non può essere messo in discussione dal giudice ordinario, che non può sindacare del vizio di eccesso di potere, ma solo della violazione di legge e dell’incompetenza.
6.- Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 2 del d.P.R. n. 218 del 2000, in relazione al contenuto della lettera di apertura della procedura. La ricorrente sostiene, in particolare, che, pur nell’ipotesi di applicabilità della disposizione di cui all’art. 1, comma 7, della legge n. 223 del 1991, non si sarebbe potuto dubitare della esaustività del contenuto delle comunicazioni di avvio della procedura di CIGS in oggetto. La diversa conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale nasce, ad avviso della ricorrente, da una “rigoristica e fuorviante” lettura della suddetta disposizione e dell’art. 5, commi 4, 5 e 6, della legge_164_1975. Ciò in quanto la comunicazione aziendale del 31 ottobre 2002 non si è limitata ad individuare il solo criterio di scelta dei lavoratori da collocare in cassa integrazione fondato sulle “esigenze tecniche, organizzative e produttive”, ma ha previsto una sequenza di ulteriori indicatori – quali l’individuazione delle unità organizzative interessate dalle sospensioni, la specificazione delle singole attività o produzioni coinvolte, la suddivisione numerica tra impiegati e operai, la determinazione degli elementi in cui trovavano concretizzazione le dedotte esigenze tecnico, produttive ed organizzative, la rilevanza delle esigenze funzionali e professionali – dai quali era agevole desumere come i criteri indicati fossero dotati di sufficiente chiarezza e specificità, sia pure come linee guida dell’operazione selettiva.
Conseguentemente si è anche riscontrato il pieno rispetto dell’obbligo informativo dell’azienda, obbligo che nella fase iniziale non poteva essere troppo “stringente”, e la cui “concretezza” non poteva che essere vagliata solo nel momento del confronto sindacale.
7.- Col quinto motivo si denuncia: a) in riferimento all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente, contraddittoria e/o omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Si sottolinea come la Corte torinese abbia ritenuto irrilevanti i suindicati accordi sindacali, muovendo dall’assunto dell’impossibilità di accordi successivi alla sospensione in CIGS di sanare illegittimità procedurali già verificatesi. Tale assunto, ad avviso della ricorrente, è invece smentito anche dall’art. 1, comma 8, della legge n. 223 del 1991 che espressamente prende in considerazione l’evenienza di un accordo postumo. Comunque, quanto meno a decorrere dal 18 marzo 2003, quando, per effetto del menzionato Accordo, i lavoratori effettivamente sospesi sono stati individuati in base a precisi e concordati criteri, la sospensione continuativa dovrebbe essere considerata legittima.
8.- Col sesto motivo, infine, si prospetta: a) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in riferimento all’omessa motivazione sulla posizione soggettiva del lavoratore collocato in CIGS. Si rileva, al riguardo, che nella sentenza censurata la Corte torinese si è limitata ad una astratta valutazione della legittimità della procedura, senza esaminare la specifica posizione soggettiva dell’attuale controricorrente.
Invero, la Corte ha ritenuto che i criteri di scelta indicati dalla società fossero mere clausole di stile, inidonee a ricostruire il percorso aziendale che ha portato alla scelta del ricorrente, mentre i suddetti criteri, per quanto non particolarmente dettagliati e del tutto oggettivi, avrebbero imposto al giudice di svolgere l’attività istruttoria necessaria a verificare la conformità dei criteri individuati alla funzione dell’istituto con riguardo ai singoli lavoratori interessati.
9.- Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato la controricorrente deduce violazione dell’art. 2 del d.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, assumendo che erroneamente la Corte d’appello di Torino ha escluso che una corretta interpretazione della indicata disposizione comporti l’obbligo, nell’ambito dell’esame congiunto, di formalizzare per iscritto la sussistenza di tutti gli elementi richiesti dalla norma, onde renderne possibile la verifica anche da parte dei lavoratori coinvolti nella vicenda, in ragione dei principi di trasparenza e verificabilità, cui sia la Corte costituzionale sia la Corte di cassazione hanno ritenuto di condizionare il potere del datore di lavoro di scelta dei lavoratori da sospendere in CIGS. In particolare, dovrebbe considerarsi obbligatoria, per l’imprenditore la comunicazione scritta, nel corso dell’esame congiunto, dei seguenti dati: a) il programma che l’impresa intende attuare, comprensivo della durata e del numero dei lavoratori interessati alla sospensione nonché delle misure previste per la gestione di eventuali eccedenze di personale; b) i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere; e) le modalità della rotazione tra lavoratori o le ragioni tecnico organizzative della mancata adozione dei meccanismi di rotazione. Dovrebbe, altresì, considerarsi previsto l’obbligo dei funzionari pubblici presenti all’incontro di verbalizzare per iscritto il contenuto delle comunicazioni contemplate dalla norma.

IlI – Esame dei motivi

10.- Appare opportuno premettere una breve ricostruzione del quadro normativo di riferimento all’esame dei primi due motivi del ricorso principale, da trattare in un unico contesto, in ragione della loro intima connessione.
10.1.- La legge 23 luglio 1991n. 223 che ha introdotto una riforma organica dell’istituto della CIGS ricollegandone la fruizione a particolari requisiti soggettivi dell’impresa e all’esistenza di uno stato di crisi aziendale, nonché alla predisposizione da parte dell’imprenditore di precisi programmi limitati nel tempo – prevede che dopo l’accertamento dello stato di crisi e l’approvazione dei programmi di superamento della stessa e per tutta la loro durata, all’esito di un’articolata procedura, il Ministero del Lavoro, con proprio decreto conceda il trattamento straordinario di integrazione salariale (artt. 1-2). Il datore di lavoro deve individuare i lavoratori da collocare in CIGS adottando meccanismi di rotazione tra i dipendenti che svolgono le stesse mansioni e sono occupati nell’unità produttiva interessata. I “criteri di individuazione dei lavoratori” e “le modalità della rotazione” sono oggetto di consultazione sindacale, in forza del dettato normativo, che impone la loro comunicazione alle OO.SS. e l’esame congiunto di cui all’art. 1, commi 7 e 8, della citata legge n. 223). II Ministro del lavoro, pur approvando il programma e concedendo la cassa integrazione, può ritenere non giustificata la mancata adozione della rotazione e promuovere un incontro tra le parti sociali sul punto. Ove non si pervenga ad un accordo entro tre mesi dalla data della concessione del trattamento di integrazione, il Ministro stesso stabilisce l’adozione di meccanismi di rotazione sulla base delle proposte formulate dalle parti stesse (art. 1, comma 8, secondo periodo).
10.2.- Su tale assetto normativo è intervenuto il n. 90 dell’allegato 1 alla stessa legge n. 59 del 1997). Il d.P.R. n. 218 del 2000, all’art. 2, regolamenta l’esame congiunto della situazione aziendale e testualmente prevede che: «1. L’imprenditore che intende richiedere l’intervento straordinario di integrazione salariale, direttamente o tramite l’associazione imprenditoriale cui aderisca o conferisca mandato, ne da tempestiva comunicazione alle rappresentanze sindacali unitarie o, in mancanza di queste, alle organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori comparativamente più rappresentative operanti nella provincia. 2. Entro tre giorni dalla comunicazione di cui al comma 1 è presentata, dall’imprenditore o dagli organismi rappresentativi dei lavoratori di cui al medesimo comma, domanda di esame congiunto della situazione aziendale.
3. La richiesta di esame congiunto è presentata: a) al competente ufficio individuato dalla regione nel cui territorio sono ubicate le unità aziendali interessate dall’intervento straordinario di integrazione salariale, qualora l’intervento riguardi unità aziendali ubicate in una sola regione;
b) al Ministero del lavoro e della previdenza sociale – Direzione generale dei rapporti di lavoro, qualora l’intervento riguardi unità aziendali ubicate in più regioni. In tal caso, l’ufficio richiede, comunque, il parere delle regioni interessate. 4. Agli incontri per l’esame congiunto della situazione aziendale in sede regionale partecipano anche funzionari della direzione provinciale del lavoro o della direzione regionale del lavoro, a seconda che l’intervento di integrazione salariale straordinaria riguardi unità produttive ubicate in una sola provincia o in più province della medesima regione. 5. Costituisce oggetto dell’esame congiunto il programma che l’impresa intende attuare, comprensivo della durata e del numero dei lavoratori interessati alla sospensione, nonché delle misure previste per la gestione di eventuali eccedenze di personale, i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità della rotazione tra i lavoratori occupati nelle unità produttive interessate dalla sospensione. L’impresa è tenuta ad indicare le ragioni tecnico-organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione. 6. L’intera procedura di consultazione, attivata dalla richiesta di esame congiunto, si esaurisce entro i venticinque giorni successivi a quello in cui è stata avanzata la richiesta medesima, ridotti a dieci per le aziende fino a cinquanta dipendenti».
10.3.- Dalla sovrapposizione delle diverse fonti normative ha origine il problema del coordinamento della disciplina della fase di avvio della procedura di ammissione alla CIGS, oggetto principale del ricorso in esame. I rapporti tra le due suddette fonti sono stati definiti dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che la disciplina del DPR n. 218 del 2002 non abroga la legge n. 223 del 1991 e lascia quindi intatti gli obblighi di comunicazione fissati dall’art. 1 di quest’ultimo testo. Il DPR n. 218 non incide infatti sulle prescrizioni del combinato disposto dell’art. 5 della legge n. 164 del 1975 e dell’art. 1, comma 7, della legge n. 223 del 1991 – riguardanti l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare alle Organizzazioni sindacali l’avvio della procedura per l’integrazione salariale, i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonché le modalità di rotazione – atteso che la disciplina da esso prevista attiene unicamente alla fase propriamente amministrativa del procedimento di concessione della integrazione salariale (vedi per tutte Cass. 28 novembre 2008, n. 28464, Cass. 9 giugno 2009 n. 13240, Cass. 1 luglio 2009, n. 15393). Gli argomenti addotti a sostegno di questa impostazione, secondo cui il DPR 218 cit. persegue lo scopo di semplificare il procedimento amministrativo che consente l’autorizzazione della CIGS e non quello di alterare il complesso di garanzie assicurato dalla legge n. 223 del 1991 a tutela dei singoli lavoratori e delle Organizzazioni sindacali, sono di ordine sistematico e di ordine testuale. Sul piano sistematico, deve osservarsi che mentre gli organi pubblici (CIPI, Ministero del lavoro) partecipano all’accertamento della crisi ed emanano i conseguenti provvedimenti amministrativi, spetta ai soggetti privati (datori di lavoro e Organizzazioni sindacali) gestire la crisi aziendale, secondo la disciplina della Cass. 27 gennaio 2006, n. 1732), mentre all’interesse legittimo si sostituisce, per effetto del provvedimento di ammissione, la piena posizione di diritto nel rapporto tra l’imprenditore (o i lavoratori) e l’INPS (Cass. S.U. 10 agosto 2005, n. 16780). Quanto ai riferimenti di carattere testuale, si rileva che nello stesso DPR n. 218 del 2000 la semplificazione è riferita a singoli momenti del procedimento amministrativo, quali gli atti iniziali (la domanda di intervento straordinario, art. 3), gli accertamenti ispettivi, art. 4, i termini di conclusione del procedimento art. 8, la validità ed efficacia del provvedimento, art. 9, e mai al complesso delle garanzie apprestato dalla legge n. 223. Inoltre si rimarca che tra le disposizioni esplicitamente abrogate dall’art. 13 del DPR n. 218 non è inclusa alcuna disposizione della legge n. 223.
11.- In conclusione, dunque, deve ribadirsi – con la già richiamata sentenza n. 28464 del 2008 e le altre che ad essa hanno fatto riferimento – che per la scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione l’art. 1, comma 7, della legge n. 223 del 1991 prescrive che il datore di lavoro comunichi alle Organizzazioni sindacali i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere in base a quanto previsto dalla legge n. 164 del 1975. Tale disposizione tutela, nella gestione della cassa integrazione i diritti dei singoli lavoratori e le prerogative delle Organizzazioni sindacali e ciò anche dopo l’entrata in vigore del d.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, atteso che la disciplina introdotta da tale decreto non incide con effetto abrogativo o modificativo sulle suddette disposizioni legislative, ma è volta unicamente a regolamentare diversamente il procedimento amministrativo, di rilevanza pubblica, di concessione dell’integrazione salariale. Ad analoga conclusione questa Corte è pervenuta per quel che riguarda gli obblighi di rilevanza collettiva del datore di lavoro (Cass. 1 luglio 2009, n. 15393 cit., entrambe emanate a conclusione del procedimento per condotta antisindacale promosso dalle OO.SS. nei confronti di (…) con riferimento alla procedura di CIGS in esame). Sulla base delle suddette considerazioni, nonché dei richiamati e condivisi orientamenti di questa Corte, può ritenersi corretto l’assunto del giudice di merito secondo cui – pur dopo l’entrata in vigore del DPR 218 del 2000 – la comunicazione che il datore di lavoro è tenuto a dare ai sensi dell’art. 5 della legge n. 164 del 1975, alle rappresentanze sindacali aziendali deve contenere l’indicazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità della rotazione, i quali solo successivamente dovranno costituire oggetto del prescritto esame congiunto.

Il primo ed il secondo motivo vanno, pertanto, rigettati.

12.- A tale rigetto consegue l’assorbimento del terzo e del quinto motivo, con i quali, sostanzialmente, si contesta la mancata valutazione sia del contenuto dell’Accordo di programma presentato dal Governo e sottoscritto dalla società nel dicembre 2002 sia del valore probatorio del verbale di esame congiunto del 5 dicembre 2002 redatto dal Ministero del Lavoro e degli Accordi sindacali 18 marzo 2003-22 luglio 2003. E, infatti, evidente che, muovendo dalla esatta premessa della necessaria predeterminazione dei criteri di individuazione e delle modalità della rotazione, ai suddetti documenti – ad avviso della ricorrente, utili per dimostrare l’avvenuta determinazione dei suddetti elementi in un momento successivo (cioè in sede di esame congiunto) – la Corte d’appello di Torino non poteva, giustamente, attribuire alcun valore probatorio nel presente giudizio.
13.- Infondato è anche il quarto motivo, formulato a contestazione della ritenuta insufficienza dei criteri di scelta fissati nella comunicazione del 31 ottobre 2002 di avvio della procedura. Secondo il condiviso orientamento di questa Corte, benché l’art. 1 comma 7 della legge n. 223, stabilisca che la comunicazione debba avere ad oggetto i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere, tali criteri debbono essere connotati dal requisito della specificità, ovvero dalla idoneità ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri. Inoltre, il suddetto requisito non individua una specie nell’ambito del genere criterio di scelta, ma esprime la necessità che esso sia effettivamente tale, e cioè in grado di operare da solo la selezione dei soggetti da porre in cassa integrazione, infatti un criterio di scelta generico non è effettivamente tale, ma esprime soltanto un generico indirizzo della scelta non un criterio di scelta ( vedi per tutte Cass. 1 luglio 2009, n. 15393 cit., che richiama Cass. 23 aprile 2004, n. 7720, e fa chiaro riferimento a Cass. S.U. n. 302 del 2000 cit., Cass. 10 maggio 2010, n. 11254). La Corte d’appello di Torino non ha, nella specie, riscontrato la suddetta specificità, visto che la comunicazione in oggetto è stata considerata come una mera clausola di stile, inidonea a dare conto del percorso aziendale che ha portato all’individuazione dei singoli lavoratori da sospendere.
Trattasi di valutazione di merito che, essendo congruamente motivata, non è suscettibile di censura in sede di legittimità.
14.- Infondato è anche il sesto ed ultimo motivo, con cui si sostiene che la Corte d’appello, anche in presenza di violazioni procedurali di carattere formale, avrebbe comunque dovuto valutare nel merito se la scelta di collocare in CIGS l’attuale controricorrente fosse coerente con i criteri indicati nella comunicazione iniziale. Infatti, dall’accertata inidoneità dei criteri indicati deriva la superfluità di ogni indagine sul punto.

IV – Conclusioni

15.- In sintesi, si deve precisare che la Corte d’appello di Torino si è attenuta ad una lettura della normativa basata sul principio consolidato (dopo l’intervento di n. 2604, n. 2605, n. 2606, n. 2610, n. 2611, n. 2612; Cass. 11 febbraio 2011, n. 3373 e, da ultimo, Cass. 24 febbraio 2011, n. 4517, tutte relative a giudizi analoghi all’attuale).
16.- Il ricorso principale deve, pertanto, essere rigettato. Tale rigetto comporta l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e debbono essere distratte in favore del difensore sottoscrittore del controricorso, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale, e condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio liquidate in € 35,00 oltre € 2.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali, con distrazione a favore dell’avv. B.C.

Depositata in Cancelleria il 31.05.2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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