Corte di Cassazione – Sentenza n. 21780 del 2011 Mancata produzione del DURC da parte di società edilizie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale monocratico di Firenze, con sentenza del 30.6.2009, affermava la responsabilità penale di C. C. e P. P. in ordine al reato di cui all’art. 44, lett. a) DPR_380_2001 poiché, quali legali rappresentanti, rispettivamente, delle società cooperative s r.l. (…) e (…) – titolari di permessi a costruire per la realizzazione di edifici in via (…) di Sesto Fiorentino ed avendo appaltato i lavori alla s.p.a (…), la quale a sua volta aveva subappaltato l’esecuzione delle opere in cemento armato alla s.r.l. (…) – omettevano di produrre tempestivamente il DURC (documento unico di regolarità contributiva) della subappaltatrice, così da provocare la sospensione dell’efficacia dei predetti permessi a costruire – in Sesto Fiorentino, lavori iniziati il 19.2.2008 e documento depositato il 25.3.2008 e, avendo giuridicamente ricondotto alla norma sanzionatrice anzidetta i fatti originariamente contestati quali violazione della lettera b) del D.P.R. n. 380/2001, riconosciute circostanze attenuanti generiche, condannava ciascuno alla pena di euro 2.000,00 di ammenda, concedendo ad entrambi i doppi benefici di legge.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore degli imputati, il quale – sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione – ha eccepito:
– la impossibilità di ricomprendere la condotta contestata ai suoi assistiti nella previsione incriminatrice di cui alla lettera a) dell’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001, non avendo essi osservato, nella specie, una disposizione regionale che si porrebbe in contrasto con la normativa statale di riferimento e non sarebbe sanzionabile penalmente per il principio della riserva di legge in materia penale;
– la violazione degli artt. 521 c.p.p. e 141, comma 4-bis, disp. att. c.p.p., poiché, essendovi stata diversa qualificazione giuridica del fatto ad opera del giudice ed essendo stata affermata la responsabilità per un reato suscettibile di oblazione, lo stesso giudice avrebbe dovuto mettere gli imputati in condizione di accedere a detta causa estintiva del reato;
– la incongruità della concessione del beneficio della sospensione condizionale, in una situazione in cui esso, comportando l’iscrizione della condanna nel casellario giudiziale, si risolve sostanzialmente in un pregiudizio per gli imputati.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è fondato e deve essere accolto. Il Tribunale ha evidenziato che:
a) L’art. 82 della legge n. 1/2005 della Regione Toscana prescrive al comma 9, che “contestualmente alla comunicazione di inizio e fine lavori il committente dei lavori inoltra al Comune il documento unico di regolarità contributiva di cui all’art. 86, comma 10, del D.Lgs. 10.9.2003, n. 276″, prevedendo al successivo comma 11 che, qualora si verifichi il subentro di altre imprese, il committente deve produrre il DURC del soggetto subentrante entro15 giorni;
– al comma 10, che “la mancata produzione del DURC costituisce causa ostativa all’inizio
dei lavori;
b) La Regione Toscana, con delibera di Giunta n. 880 del 5.9.2005, ha precisato che la finalità della norma è quella di obbligare il committente ad avvalersi di imprese che dall’inizio alla fine dei lavori si dimostrino in regola con il versamento dei contributi” specificando poi che “se non viene presentato il certificato di regolarità contributiva all’inizio dei lavori, l’efficacia del titolo abilitativo è sospesa automaticamente. Pertanto i lavori eseguiti sono abusivi, in quanto eseguiti in presenza di un titolo inefficace”,
La legge regionale n. 1/2005 (Norme per il governo del territorio) – a giudizio del giudice di merito – “costituisce uno strumento urbanistico ed è anzi lo strumento cardine del governo del territorio nella Regione Toscana”, e gli imputati, attraverso la loro condotta intempestiva, hanno violato una prescrizione fondamentale, stabilita anche per finalità di governo del territorio ed avente natura sostanziale perché da essa dipende l’efficacia del titolo abilitativo, ovvero la possibilità di eseguire i lavori autorizzati.
Le anzidette conclusioni della sentenza impugnata – a giudizio del Collegio – non sono condivisibili.
L’art. 44, 1 comma – Iett. a), del D.P.R. n. 380/2001 sanziona attualmente “l ‘inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire”.
Tale fattispecie penale trova i propri precedenti normativi nell’art. 20, lett. a), della legge n. 47/1985 e nell’art. 41, lett. a), della legge n. 1150/1942 e le Sezioni Unite di questa Corte – con la sentenza 12.11.1993, Borgia, riferita alla previsione della legge n. 47/1985 – hanno posto in rilievo che, nell’ambito dell’organico quadro della disciplina urbanistica posta dalla legge n. 1150 del 1942, “appariva evidente che l’oggetto della tutela penale s’identificasse nel bene strumentale del controllo della disciplina degli usi del territorio”.
Dopo l’entrata in vigore della legge n. 765/1967 (introduttiva, tra l’altro, degli standard urbanistici e della salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio) e della legge di tutela paesaggistica n. 431/1985, però, “l’urbanistica non può farsi solo consistere nella disciplina dell’attività edilizia, dovendosi la relativa nozione estendere alla disciplina degli usi del territorio in senso sociale, economico e culturale, ivi compresa la valorizzazione delle risorse ambientali, nonché alle relazioni che devono instaurarsi tra gli elementi del territorio e non soltanto dell’abitato” (concetto riaffermato da Cass., sez. 111, 10.6.1997, n. 5514).
Nel contesto dell’art. 20 della legge n. 47/1985, le Sezioni Unite hanno ravvisato “una gradualità crescente delle pene edittali in rapporto al grado di lesione dell’interesse tutelato”, rilevando in particolare che “la previsione della lettera a) comprende le trasgressioni residuali, sempreché apprezzabili penalmente, cioè non depenalizzate”.
Trattasi di considerazioni sicuramente pertinenti anche rispetto alla nuova formulazione dell’art. 44, 1° comma – lett. a), del D.P.R. n. 380/2001, con la necessaria precisazione che il concetto di “residualità” deve essere interpretato alla stregua del principio di tassatività delle fattispecie penali incriminatrici, che porta comunque ad escludere dall’ambito di operatività della contravvenzione in oggetto inosservanze diverse da quelle individuabili secondo il tenore letterale della norma.
Nella ricostruzione delle singole ipotesi di inosservanza che integrano il precetto della disposizione sanzionatoria in esame – comunemente e pacificamente considerata quale “norma penale in bianco” (vedi Cass., Sez. Unite: 29.5.1992 Aramini e 12.11.1993 Borgia) – e con precipuo riferimento alla “inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive”, ritiene il Collegio che inosservanze siffatte devono pur sempre riguardare la condotta di trasformazione urbanistica o edilizia del territorio.
L’art. 44, 1° comma – lett. a), del D.P.R. n. 380/2001 si riferisce testualmente alle disposizioni di legge “previste nel presente titolo”, vale a dire il titolo IV della prima parte del testo unico in materia edilizia, comprendente gli articoli da 27 a 51 e ciò si palesa come una formulazione riduttiva rispetto alla corrispondente fattispecie incriminatrice previgente (l’ art. 20, lett. a, della legge n. 47/1985), che, punendo “l’ inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dalle presente legge, dalla legge 17 agosto 1942, n. 1150 e successive modificazioni e integrazioni”, veniva interpretata come un rinvio aperto a tutta la legislazione urbanistico-edilizia, comprensiva secondo parte della giurisprudenza (vedi Cass., sez. III: 7.3.1993, Gorraz e 7.3.1995, Garofalo) – anche delle leggi regionali che costituiscano integrazione delle norme per il controllo dell’attività urbanistica ed edilizia.
Nel precetto attualmente vigente (più aderente al principio di tassatività della fattispecie penale) manca qualsiasi riferimento espresso alla possibilità di integrazione degli articoli da 27 a 51 del T.U. n. 380/2001 da parte della legislazione regionale (tenendo sempre conto, comunque, della preclusione posta dall’ultimo comma dell’art., 10 nei casi in cui sia la legge regionale ad individuare ulteriori interventi sottoposti al preventivo rilascio del permesso di costruire).
Quello che più conta, però, nella valutazione della vicenda in esame, è che la violazione contestata afferisce ad un adempimento di carattere amministrativo che non riguarda la condotta di trasformazione del territorio.
Il DURC (documento unico di regolarità contributiva, disciplinato attualmente, per le opere edilizie, dall’art. 90 del decreto_legislativo_81_2008 (in materia di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro) come modificato dal D.Lgs. n. 106/2009) è un certificato che attesta la regolarità di un’impresa nei pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi nonché in tutti gli altri obblighi previsti dalla normativa vigente nei confronti di INPS, INAIL e Casse Edili, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento.
Esso, ai sensi dello stesso art. 90, comma 9 – lett. c), del D.Lgs. n. 81/2008, deve essere trasmesso dal committente o dal responsabile dei lavori “all’amministrazione concedente, prima dell’inizio dei lavori oggetto del permesso di costruire o della denuncia di inizio attività”.
La normativa nazionale in materia di regolarità contributiva è spesso integrata da leggi regionali che individuano ulteriori fasi o particolari motivazioni che rendano necessario acquisire il DURC (ad es.: richiesta del certificato, nei casi di lavori privati in edilizia, anche alla fine dei lavori).
Il DURC rappresenta, dunque un utile strumento per l’osservazione delle dinamiche del lavoro ed una forma di contrasto al lavoro sommerso e consente il monitoraggio dei dati e delle attività delle imprese affidatarie di appalti.
Tutto ciò non ha nulla in comune con il governo del territorio (anche nella sua accezione più ampia) e la previsione dell’art. 90, 10° comma, del D.Lgs. n. 81/2008 – secondo la quale “in assenza del documento unico di regolarità contributiva delle imprese o dei lavoratori autonomi, è sospesa l’efficacia del titolo abilitativo” – ha carattere di sanzione amministrativa ulteriore rispetto alla sanzione amministrativa pecuniaria comminata per la violazione dell’art. 90, comma 9 – lett. c), dall’art. 157, lett. c) del medesimo D. Lgs. in esame.
Il legislatore, dunque, non ha inteso prevedere sanzioni penali per le omissioni riferite alla trasmissione del DURC e sanzioni siffatte non possono essere surrettiziamente introdotte
facendo ricorso alla previsione dell’art. 44, 1° comma – lett. a) del T.U. n. 380/2001.
Una norma residuale in materia di reati edilizi ed urbanistici quale è pacificamente considerata quella di cui all’art. 44, 1° comma – lett. a), del DPR n. 380/2001, risponde infatti, all’esigenza di evitare che vadano esenti da pena condotte di aggressione al territorio che si traducono nella violazione sostanziale delle norme che prescrivono le modalità con cui possono concretamente essere effettuate le trasformazioni del suolo.
Nella specie, in conclusione, il Tribunale ha correlato la sanzione penale alla inosservanza di una normativa prevista dalla legislazione statale e da quella regionale non a fini urbanistici ed in relazione ad un comportamento omissivo per il quale, in sede propria, il legislatore statale ha inteso comminare soltanto sanzioni amministrative.
Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste, restando superfluo l’esame degli ulteriori motivi di ricorso.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt 607, 615 e 620 c.p.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.

Depositata in Cancelleria il 31.05.2011

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