Cass. civ. Sez. III, Sent., 06-09-2012, n. 14951

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Svolgimento del processo
Con separati atti di citazione le Ditte xxx di xxx, xxx, xxx di xxx s.r.l., xxx, xxx, xxx, xxx, in persona dei rispettivi titolari o legali rappresentanti, convennero innanzi al Giudice di Pace di xxx la società per azioni xxx (di seguito xxx s.p.a.) e il Comune, contestando la debenza, in relazione al rapporto di utenza del servizio idrico integrato per gli anni 2002 e 2003, degli importi relativi alla voce "diritto fisso fogne e depurazione". Chiesero che venisse dichiarato che essi non erano tenuti al pagamento dello stesso, previa, se del caso, disapplicazione, incidenter tantum, della Delib. Giunta 16 marzo 2002, n. 55.
I convenuti, costituitisi, contestarono le avverse pretese.
In corso di causa venne proposto regolamento preventivo di giurisdizione e la Corte di cassazione, con ordinanza n. 4905 del 2006, affermò la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria.
Con sentenza n. 423 del 2007 il giudice adito respinse le domande, negando a xxx s.p.a. la titolarità passiva del rapporto e assumendo che la delibera comunale, in quanto atto costitutivo del diritto vantato dall’Ente – e specularmente della lesione lamentata dagli attori – non poteva essere disapplicata dal giudice ordinario.
Su gravame dei soccombenti, il Tribunale, in data 9 novembre 2009, in accoglimento dell’appello, ha dichiarato non dovuti gli importi corrispondenti alla voce diritto fisso fogne e depurazione, relativa al rapporto di utenza del servizio idrico integrato degli anni 2002 e 2003, con ogni conseguente pronuncia.
Così ha motivato il giudicante il suo convincimento.
La cognizione della lite rientrava nella giurisdizione del giudice ordinario, avendo la Corte di cassazione statuito che la debenza del cosiddetto diritto fisso fogne e depurazione atteneva al rapporto di utenza idrico integrato, inquadrabile nei rapporti individuali di utenza con soggetti privati che la L. n. 205 del 2002, art. 7, sottrae alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi. Dal principio enunciato dalle sezioni unite doveva desumersi che la invocata disapplicazione, in quanto antecedente incidentale dell’accertamento negativo di debito domandato, in via principale, dagli utenti, era astrattamente consentita, ai sensi della L. 20 marzo 1865, artt. 2, 3 e 4, All. E. Il Supremo Collegio aveva del resto chiarito che all’autorità giudiziaria ordinaria compete la tutela del diritto degli utenti a non essere sottoposti a imposizione se non nei casi, nei limiti e con le modalità previsti dalla legge.
Quanto al merito della pretesa creditoria dell’Ente, premessa un’ampia ricostruzione del quadro normativo di riferimento, ha ritenuto il giudicante che il diritto fisso fogne e depurazione, contestato dagli attori, non fosse dovuto perchè: a) quanto all’anno 2002 e ai primi sei mesi dell’anno 2003, doveva farsi applicazione del criterio previsto dalla Delib. CIPE n. 131 del 2002, delibera la quale stabiliva che il canone per i servizi di fognatura e depurazione era determinato, per gli utenti civili, esclusivamente in forza dei consumi di acqua;
b) analogo regime doveva poi ritenersi vigente anche per il periodo dal 20 giugno al 31 dicembre del 2003, atteso che la convenzione stipulata tra l’ATO (Autorità Territoriale Ottimale) xxx e i gestori privati prevedeva l’iniziale applicazione delle tariffe dell’anno 2002, aggiornate con le eventuali modificazioni disposte dal CIPE e con gli aumenti previsti per l’attuazione del piano stralcio, senza, dunque la previsione di alcun diritto fisso per fogne e depurazioni.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il Comune di xxx, formulando due motivi.
Resiste con controricorso xxx di xxx xxx, mentre nessuna attività difensiva hanno svolto gli altri intimati.
Motivi della decisione
1.1 Con il primo motivo l’impugnante denuncia violazione della L. n. 36 del 1994, artt. 13, 14 e 15; della L. n. 548 del 1995, art. 3, commi 42-47; del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 117; della Delib. CIPE 4 aprile 2001, n. 52 e Delib. CIPE 19 dicembre 2002, n. 131, nonchè dell’art. 92 cod. proc. civ..
Ricordato che l’importo fisso fognatura e depurazione viene calcolato sommando: a) un importo relativo alla ripartizione dei costi generali e amministrativi, stabilito in Euro 103,291; b) un importo commisurato al numero di addetti e c) un importo commisurato alla superficie scoperta, calcolati, l’uno e l’altro, secondo determinati parametri, sostiene l’impugnante la conformità di siffatti criteri al disposto del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 117, a tenor del quale gli enti interessati approvano le tariffe dei servizi pubblici in misura tale da assicurare l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e della connessa gestione e, in particolare: 1) la corrispondenza tra costi e ricavi, al fine di garantire la integrale copertura dei costi, ivi compresi gli oneri di ammortamento tecnico- finanziario; 2) l’equilibrato rapporto tra finanziamenti raccolti e capitale investito; 3) l’entità dei costi di gestione delle opere, tenendo conto anche degli investimenti e della qualità del servizio;
4) l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito, coerente con le prevalenti condizioni di mercato. Sostiene quindi che il corrispettivo diritto fisso fogne e depurazione è stato fissato tenendo conto di una molteplicità di valori variabili, determinati nell’esercizio dei poteri di determinazione delle tariffe conferiti dalla legge, in linea con la Delib. CIPE n. 52 del 2001 e Delib. CIPE n. 131 del 2002.
Evidenzia altresì che il Comune di xxx, nonostante la correttezza e la legittimità dell’azione amministrativa, con Delib.
n. 133 del 2004, aveva già stabilito la riduzione di Euro 100,00 annui del contestato diritto, per le utenze artigianali, commerciali e industriali e che tale circostanza, ancorchè specificamente dedotta, era stata del tutto ignorata dal Tribunale.
1.2 Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta violazione della L. 20 marzo 1865, artt. 2, 3 e 4, all. E, della L. n. 36 del 1994, artt. 13, 14 e 15; della L. n. 548 del 1995, art. 3, commi 42-47; del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 117; della Delib. CIPE 4 aprile 2001, n. 52 e Delib. CIPE 19 dicembre 2002, n. 131; dell’art. 92 cod. proc. civ., nonchè vizi motivazionali.
Oggetto delle critiche è l’affermazione del giudice di merito secondo cui, essendo la delibera di Giunta un mero antecedente del diritto di credito vantato dal Comune e contestato dagli utenti, l’accertamento incidentale dell’illegittimità della stessa ben poteva avvenire incidenter tantum, con gli effetti consentiti dalla L. 20 marzo 1865, artt. 2, 3 e 4, All. E. Sostiene per contro l’esponente che il Tribunale avrebbe omesso di pronunciare sulla richiesta disapplicazione degli atti amministrativi indicati dalla controparte, quali la Delib. Consiglio comunale n. 66 del 2000 e la Delib. Giunta n. 55 del 2002 e Delib. Giunta n. 56 del 2003.
In ogni caso, contrariamente all’assunto del giudice di merito, la questione prospettata riguarderebbe esclusivamente, e in via principale, la legittimità di un atto amministrativo che si atteggerebbe come componente costitutiva del diritto fatto valere dall’ente, di talchè, rispetto ad esso, la posizione vantata dall’attore andrebbe qualificata come interesse legittimo. Del resto l’atto amministrativo de quo sarebbe espressione di una valutazione tecnica esercitata dalla P.A. in modo discrezionale e insindacabile, nell’ambito di una materia di sua competenza esclusiva. Aggiunge che il giudice di merito neppure avrebbe indicato i vizi dai quali sarebbe in tesi affetto l’atto ritenuto disapplicabile dal giudice ordinario. Nè gioverebbe, a questi fini, il richiamo all’ordinanza che ha deciso il regolamento preventivo di giurisdizione, perchè detta decisione si sarebbe limitata a definire la giurisdizione del Giudice ordinario, nulla statuendo in ordine al potere di disapplicazione.
Si duole anche il ricorrente della condanna al pagamento delle spese di lite, ambiguamente pronunciata in favore degli appellati, e comunque ingiusta e non motivata.
2 Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro intrinseca connessione, sono infondate.
Mette conto evidenziare che le sezioni unite di questa Corte, adite con regolamento preventivo, nel dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario, hanno affermato che la debenza del c.d. diritto fisso fogne e depurazione attiene al rapporto di utenza del servizio idrico integrato, inquadratile nei "rapporti individuali di utenza con soggetti privati", che la L. n. 205 del 2000, art. 7, sottrae alla giurisdizione esclusiva in materia di pubblici servizi. Hanno all’uopo precisato che si tratta di rapporti la cui fonte regolatrice non è di natura amministrativa, ma di diritto privato negoziale, indipendentemente dalla natura (pubblica o privata) del soggetto del rapporto giuridico da tale regolamento scaturito, segnatamente evidenziando, sotto un diverso e concorrente profilo, la persistente validità dell’univoco orientamento secondo cui, in materia di servizio idrico unificato, a partire dal 3 ottobre 2000, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 258 del 2000, è divenuta operativa l’innovazione introdotta dalla L. n. 448 del 1998, art. 31, comma 28, nella parte in cui ha previsto che anche il canone in questione non è più tributo comunale, ma quota tariffaria, con conseguente esclusione della giurisdizione tributaria. Su tale specifico punto, peraltro, le sezioni unite, pur dando atto che nel frattempo, la L. n. 248 del 2005, di conversione del D.L. n. 203 del 2005, art. 3 bis, ha aggiunto, al comma 2, art. 2, D.Lgs. n. 546 del 1992, una disposizione che attribuisce alla giurisdizione tributaria – fra le altre – "le controversie relative alla debenza (…) del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue", hanno tuttavia ritenuto, in applicazione dell’art. 5 cod. proc. civ., la disciplina sopravvenuta inapplicabile alle controversie già instaurate davanti al giudice ordinario, con riferimento a canoni successivi al 3 ottobre 2003.
3 Trattasi di rilievi che hanno un ruolo cruciale nello scrutinio sulla fondatezza delle censure svolte nei motivi di ricorso, censure che sono, per certi aspetti inammissibili, per altri, infondate.
Anzitutto, le argomentazioni relative alla legittimità del contestato diritto fisso in ragione della necessità di garantire l’economicità della gestione, segnatamente raccomandata dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 117, è eccentrico rispetto alla ratio decidendi del provvedimento impugnato. Questo, come innanzi detto, ruota intorno alla necessità di ancorare il canone per i servizi di fognatura e depurazione al consumo effettivo di acqua, secondo le previsioni della Delib. CIPE n. 131 del 2002 e della convenzione stipulata tra l’ATO xxx e i gestori privati.
Ora, premesso che la necessità che la tariffa del servizio idrico assicuri la copertura integrale dei costi di gestione era già prevista nell’art. 13 dell’abrogata L. 5 gennaio 1994, n. 36, spettava semmai al Comune far valere nelle sedi e con gli strumenti adeguati, l’inosservanza del principio posto da una norma primaria, da parte della delibera e della convenzione innanzi menzionate.
Sennonchè di tali atti l’Ente territoriale non ha mai contestato la legittimità, avendo anzi addotto, nel giudizio di merito di essersi pienamente uniformato ai criteri negli stessi enunciati.
4 Nè alcun rilievo può avere, sull’esito della controversia, la deduzione che, in corso di causa il Comune ha ridotto di Euro 100,00 annui il contestato diritto. E’ sufficiente al riguardo considerare che la circostanza non è stata affatto ignorata dal giudice di merito, il quale ha tuttavia escluso che essa avesse determinato la cessazione della materia del contendere (confr. pag. 6 della impugnata sentenza). Ed è significativo che nessun rilievo critico il ricorrente formula per contestare specificamente la rispondenza al vero di tale affermazione.
5 Passando quindi all’esame delle censure formulate nel secondo mezzo, del tutto criptiche e prive di autosufficienza sono quelle volte a far valere l’omessa pronuncia sulla richiesta disapplicazione di atti amministrativi diversi dalla delibera di Giunta presa in esame dal giudice a quo. E invero, a prescindere dal rilievo che neppure è chiaro l’interesse del ricorrente a far valere una siffatta lacuna, di tali atti amministrativi l’impugnante non indica nè il contenuto, nè l’allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, in palese violazione del disposto dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 6.
6 Quanto poi alle contestazioni relative alla sussistenza dei presupposti per la disapplicazione dell’atto amministrativo, vanno richiamate, a confutazione delle critiche, le affermazioni delle sezioni unite, innanzi riportate, in ordine alla inquadrabilità del rapporto di utenza del servizio idrico integrato nell’ambito dei "rapporti individuali di utenza con soggetti privati", disciplinati dalle norme del contratto di somministrazione di cui all’art. 1559 cod. civ., e segg.. Ora, considerato che gli attori hanno chiesto un accertamento negativo di debito con riferimento a tale rapporto, non par dubbio che la legittimità della contestata delibera di Giunta andava esaminata incidenter tantum dal giudice del contratto, e cioè dal giudice ordinario, in quanto antecedente necessario e ineludibile della pronuncia sulla domanda proposta.
7 Infine non hanno consistenza le censure in ordine al governo delle spese di lite, posto che esso costituisce coerente e corretta applicazione del principio della soccombenza. E’ poi quasi superfluo evidenziare che la condanna alla loro rifusione in favore degli appellati è, all’evidenza, frutto di un mero errore materiale.
In definitiva il ricorso deve essere integralmente rigettato.
Segue la condanna del ricorrente Comune a rifondere le spese alla controparte costituita, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore di xxx di Gaudenti Anna Antonietta, liquidate in complessivi Euro 800,00 (di cui Euro 600,00 per onorari), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge, con attribuzione al procuratore antistatario.
Così deciso in Roma, il 6 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2012

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