Cass. civ. Sez. III, Sent., 06-09-2012, n. 14939

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Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 15433 del 12.7.2010, accolse l’appello proposto da F.M. avverso la sentenza del giudice di pace che aveva ritenuto fondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Comune di Roma, per essere legittimate le società concessionarie del servizio di custodia di veicoli rimossi per ordine dello stesso Comune.

La domanda formulata dal F. nei confronti del Comune di Roma era relativa al pagamento della somma di Euro 1.157,28 a titolo di indebito arricchimento.

2. Ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi il Comune di Roma.

Resiste con controricorso il F..

Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione, sollevata dal resistente, di difetto di rappresentanza del Comune di Roma, da parte del Sindaco, per la istituzione della Gestione Commissariale dello stesso Comune, con bilancio separato rispetto a quella ordinaria.

Con la stessa, infatti, sono state soltanto poste a carico della detta Gestione "tutte le obbligazioni derivanti da fatti o atti posti in essere fino alla data del 28/04/08 anche qualora le stesse siano accertate e i relativi crediti siano stati liquidati con sentenze pubblicate successivamente alla medesima data" (v. 1. 26 marzo 2010, n. 42).

I compiti della Gestione Commissariale riguardano, pertanto, soltanto la definizione dei rapporti obbligatori assunti dal Comune, senza alterare minimamente i poteri di rappresentanza sostanziale e processuale del Comune, che spettano – secondo lo Statuto (approvato il 17.7.2000 con Delib. n. 122 – art. 24) – al Sindaco.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del precedente giudicato esterno formatosi fra le parti: violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (in relazione all’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c.), dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (in relazione all’intangibilità del giudicato formatosi), dell’art. 360, n. 5 (in relazione all’erronea individuazione della portata del giudicato formatosi ed all’errata percezione del contenuto degli atti processuali); violazione degli artt. 2041 e 2042 c.c..

2.1 Il motivo non è fondato.

Questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare e – anche recentemente – di ribadire, che, perchè il giudicato esterno, che è rilevabile d’ufficio, possa fare stato nel processo, è necessaria la certezza della sua formazione, la quale – non potendone risultare la portata dal solo dispositivo – deve essere provata attraverso la produzione della sentenza completa della motivazione, recante il relativo attestato di cancelleria ex art. 124 disp. att. c.p.c. (Cass. 8.5.2009r n. 10623; Cass. 24.11.2008, n. 27881; Cass. 2.4.2008, n. 8478; S.U. 16.6.2006, n. 13916; v. anche Cass. ord. 18.102011, n. 21560).

Nel caso in esame, una tale produzione non risulta effettuata dal ricorrente, nè lo stesso avrebbe potuto provvedervi ai sensi dell’art. 372 c.p.c., trattandosi di giudicato asseritamente formatosi anteriormente al termine per la proposizione del ricorso per cassazione (S.U. 16.6.2006, n. 13916; da ultimo Cass. ord. 6.6.2011, n. 12159).

2.2. Quanto al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (S.U. 11.6.1998, n. 5802; da ultimo Cass. ord. 28.3.2012, n. 5024).

Tale vizio non consiste, pertanto, nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. per tutte Cass. 2.7.2008 n. 18119), conferendo alla Corte di legittimità soltanto la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, l’esame e la valutazione del materiale probatorio.

Sotto questo profilo, il motivo, al di là della indicazione nella sua intitolazione, nella illustrazione non denuncia alcun vizio motivazionale, ribadendo, invece, la censura di violazione del supposto giudicato.

3. Con il secondo motivo si denuncia in ordine all’azione di indebito arricchimento: violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4; dell’art. 360, n. 5 (in relazione all’erronea individuazione della portata del giudicato ed all’errata percezione del contenuto degli atti processuali); violazione degli artt. 2041 e 2042 c.c..

3.1. Sostiene il ricorrente che l’azione di indebito arricchimento non era ammissibile, in mancanza dei requisiti della sussidiarietà e dell’utilitas per la pubblica amministrazione.

In relazione alla sussidiarietà, richiama l’indirizzo giurisprudenziale che nega la sussidiarietà, non solo quando vi è un’azione tipica sperimentabile contro l’arricchito, ma anche quando vi è un’azione proponibile contro persone diverse, che siano obbligate per legge o per contratto, sul rilievo che il F. aveva la possibilità di agire nei confronti di altro soggetto obbligato, quale il concessionario per conto del quale aveva espletato il servizio.

Con riferimento al riconoscimento dell’utilitas, si denuncia l’erroneità della decisione per avere ritenuto che l’affidamento in custodia del veicolo da parte della Polizia Municipale integri consapevole utilizzazione della prestazione richiesta.

Sul punto, la Corte di cassazione si è già pronunciata con la sentenza del 26.3.2012, n. 4818, alla quale il Collegio ritiene di aderire facendone proprie le motivazioni.

4. Il motivo, quindi, è parzialmente fondato nei limiti e per le ragioni che seguono.

4.1. La Corte di appello ha ritenuto sussistere il requisito della sussidiarietà, sul rilievo che l’azione nasceva da un rapporto di mero fatto, costituito al di fuori delle pattuizioni intercorse fra Comune, concessionari ed appaltatori, e che non si poteva affermare che il F. avrebbe potuto agire nei confronti dei concessionari del servizio, posto che l’affidamento dell’autovettura in oggetto era avvenuto da parte della Polizia Municipale.

4.2. Il carattere sussidiario dell’azione di indebito arricchimento, previsto dall’art. 2042 c.c., però, comporta che tale azione non possa essere promossa, non soltanto quando sussista un’altra azione tipica proponibile dal danneggiato nei confronti dell’arricchito, ma anche quando vi sia originariamente un’azione sperimentabile contro persone diverse dall’arricchito, che siano obbligate per legge o per contratto (Cass. 5.7.2003, n. 11067; Cass. 27.6.1998, n. 6355).

4.3. La stesso requisito non è escluso dall’avere esperito, con esito negativo, altra azione tipica, qualora la relativa domanda sia stata respinta sotto il profilo della carenza ab origine dell’azione stessa (nel caso esaminato, ex contractu) per difetto del titolo posto a suo fondamento, e che l’azione di natura contrattuale esperita dal F. nei confronti dei concessionario era stata rigettata con sentenza passata in giudicato sull’inesistenza del titolo.

Pertanto, sotto questo profilo, la decisione impugnata è corretta.

5. A diversa conclusione deve, invece, pervenirsi in ordine al riconoscimento dell’utilitas, da parte del Comune di Roma.

5.1. A questo proposito, il ricorrente contesta l’erroneità della sentenza, per avere il giudice del merito ritenuto che l’affidamento in custodia del veicolo da parte della Polizia Municipale integri consapevole utilizzazione della prestazione richiesta.

5.2. La censura è fondata.

La giurisprudenza di legittimità ha affermato che l’azione di indebito arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione differisce da quella ordinaria poichè non è sufficiente il fatto materiale dell’esecuzione di un’opera o di una prestazione vantaggiosa per l’ente pubblico, che deve essere provato dall’attore, ma è necessario che l’ente abbia riconosciuto l’utilità dell’opera o della prestazione in maniera esplicita, con atto formale, ovvero in modo implicito.

5.3. Il riconoscimento implicito, a differenza di quello esplicito, che deve essere adottato dagli organi deliberativi dell’Ente, può promanare anche dagli organi rappresentativi dello stesso Ente pubblico (nel caso del Comune, dal sindaco, nella sua qualità di legale rappresentante del Comune L. 8 giugno 1990, n. 142, ex art. 36).

Esso, tuttavia, presuppone, pur sempre, o atti formali degli organi deliberativi ovvero comportamenti, quali la consapevole utilizzazione della prestazione o dell’opera, posti in essere, senza il rispetto delle prescritte formalità, dagli organi rappresentativi, dai quali si possa desumere inequivocamente un effettivo giudizio positivo circa il vantaggio o l’utilità dell’opera o della prestazione eseguita dal privato.

5.4. Ai fini del riconoscimento implicito sono, invece, ininfluenti la semplice conoscenza dell’esecuzione dell’opera o della prestazione, acquisita dalla pubblica amministrazione in un momento successivo, ovvero la consapevole tolleranza dell’altrui apporto vantaggioso, trattandosi di elementi non casualmente collegati ad un comportamento del sindaco idoneo a mettere a disposizione dell’ente la prestazione o l’opera, ed a manifestare con fatti concludenti e univoci il riconoscimento della loro utilità (Cass. 27.6.2002, n. 9348).

Sempre nello stesso senso, quanto alla necessità che vi sia una forma di utilizzazione della prestazione consapevolmente attuata dagli organi istituzionalmente rappresentativi della Pubblica Amministrazione, Cass. 26.7.1999, n. 8070, Cass. 30.1.2008, n. 2312;

Cass. 18.6.2008, n. 16595; Cass. 14.10.2008, n. 21156; Cass. 4.3.2008, n. 5206.

6. Il giudice del merito non si è attenuto a tali principii di diritto nel ritenere che l’affidamento del veicolo in custodia, da parte di appartenenti al Corpo della polizia Municipale, costituisse riconoscimento implicito dell’utilitas effettuato da soggetti dotati di poteri rappresentativi dell’Ente Locale.

6.1. Secondo la L. n. 65 del 1986, artt. 1 e 5, che disciplina le condizioni per l’istituzione del Corpo di polizia municipale, a questa sono affidate funzioni di polizia locale e, nei comuni in cui tale servizio è svolto da almeno sette addetti, anche funzioni di polizia giudiziaria, polizia stradale e di ausiliare di pubblica sicurezza.

Dall’esame della relativa normativa si ricava che gli addetti al Corpo della polizia municipale non possono ritenersi organo rappresentativo dell’ente locale; con la conseguente inidoneità a manifestare la volontà del Comune ai fini dell’implicito riconoscimento dell’utilitas dell’opera o della prestazione ai sensi dell’art. 2041 c.c..

7. Il terzo motivo, con il quale si denuncia la quantificazione della somma riconosciuta e liquidata a titolo di indebito arricchimento, resta assorbito dalle precedenti conclusioni.

8. Il ricorso è, quindi, accolto nei termini indicati, la sentenza è cassata, e la causa rinviata al Tribunale di Roma, in persona di diverso magistrato, per l’accertamento dell’utilitas della prestazione per l’Ente locale alla luce dei principi esposti.

Le spese sono rimesse al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa in relazione e rinvia, anche per le spese, al tribunale di Roma in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 26 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2012

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