Cass. civ. Sez. III, Sent., 06-09-2012, n. 14938

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Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato P.G. conveniva in giudizio il Comune di xxx chiedendo il risarcimento dei danni occorsigli per l’incidente accaduto in data (OMISSIS) quando, alla guida del proprio motorino, cadeva a terra a causa di una buca nel manto stradale di Via della (OMISSIS), riportando, a seguito dell’incidente, lesioni refertate con una prognosi della durata di 60 giorni. Si costituiva il Comune di xxx, il quale chiedeva il rigetto della domanda e chiamava in causa la xxx srl, con la quale nel tratto di strada indicato aveva stipulato un contratto di manutenzione e sorveglianza della strada stessa. La xxx costituendosi eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto il contratto non la obbligava alla sorveglianza continua delle strade comunali e deduceva altresì la infondatezza della domanda. Quindi promuoveva un autonomo giudizio nei confronti della società Assicuratrice Edile chiedendo che, accertata la sussistenza, in capo alla detta compagnia assicuratrice, dell’obbligo di provvedere alla gestione della lite ai sensi dell’art. 25 del contratto con essa stipulato, l’Assicuratrice Edile venisse condannata a manierarla pagandole le somme dovute in conseguenza dell’ingiustificato rifiuto di gestire la lite. I giudizi venivano riuniti ed, in esito, il Tribunale di xxx adito rigettava la domanda del P.; quindi, in accoglimento della domanda proposta dall’xxx, condannava l’Assicuratrice edile al pagamento della somma di Euro 154,94 oltre interessi dalla domanda, condannava l’attore alla rifusione delle spese affrontate dal Comune e quest’ultimo alle spese affrontate dall’xxx, compensava le spese tra l’xxx e L’Assicuratrice Edile. Avverso tale sentenza proponevano appello in via principale l’xxx ed il P. nonchè appello incidentale l’Assicuratrice edile. I due processi venivano quindi riuniti ed, in esito, la Corte di Appello di xxx con sentenza depositata in data 10 marzo 2009 rigettava tutte le impugnazioni proposte. Avverso la detta sentenza la srl xxx ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in sei motivi. Resiste con controricorso la BT Spa, già Assicuratrice Edile, poi Sace Surety Spa, la quale ha depositato altresì memoria illustrativa.
Motivi della decisione
Con la prima doglianza, deducendo la violazione dell’art. 2909 c.c., la ricorrente xxx, facendo riferimento alla sentenza del Tribunale di xxx n. 25367/04, emessa il 28 luglio 2003 e depositata in pari data, nonchè alla sentenza della Corte di Appello di xxx n. 13/08, emessa il 21 novembre 2007 e depositata il 7.1.08, ha eccepito l’avvenuta formazione di un giudicato esterno sulla questione riguardante la sussistenza dell’obbligo contrattuale in capo alla Sace Surety, già Assicuratrice Edile, di gestire le controversie promosse nei suoi confronti in dipendenza del rischio assicurato e di rifondere le spese di lite da essa sostenute in forza dell’art. 25 delle condizioni generali di polizza e dell’art. 1917 c.c., comma 3.
Ha quindi concluso il motivo di impugnazione con il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte di Cassazione se la costituzione di un giudicato esterno – nella fattispecie una sentenza di primo grado resa tra le stesse parti in una causa avente identità di petitum e di causa petendi e passata in giudicato per omessa impugnazione in cassazione della sentenza d’appello che ha dichiarato l’inammissibilità dell’interposto gravame – sia rilevabile anche d’ufficio ed anche in sede di legittimità, qualora tempestivamente allegata e provata dalla parte, ed ivi comporti necessariamente la cassazione delle altre decisioni contrastanti non ancora definitive, rese nelle more della formazione del giudicato suddetto o comunque dopo lo spirare dei termini per la produzione documentale nella fase di merito – quale nella fattispecie deve ritenersi l’impugnata sentenza della Corte d’Appello di xxx n. 1077/09 emessa il 16 febbraio 2009 e depositata il 10 marzo 2009 -, al fine di evitare il contrasto di giudicati ed a tutela dell’interesse pubblico del bis in idem".
La censura è inammissibile in quanto il quesito non è conferente nè con la doglianza formulata nè con la statuizione impugnata mentre costituisce orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui il quesito non può essere astratto ed avulso dalla fattispecie concreta ma deve essere specificamente riferito al motivo cui accede e contrapporsi sia pure in sintesi, alle ragioni della decisione.
Invero, la necessità del collegamento del quesito con la specifica fattispecie costituisce requisito indispensabile ai fini dell’ammissibilità della doglianza, non potendosi prendere in considerazione il motivo di ricorso che si concluda con la formulazione di un quesito assolutamente generico (cfr. Sez. Un. n. 36/2007), come è avvenuto nel caso di specie in cui la ricorrente, nel quesito in esame, si è limitata a chiedere se l’esistenza di un giudicato esterno sia rilevabile anche d’ufficio ed in sede di legittimità, qualora tempestivamente allegata e provata dalla parte, così formulando un interrogativo tanto generico quanto retorico, senza accennare neppure minimamente nè agli elementi della fattispecie concreta, con particolare riguardo alla ratio decidendi della sentenza impugnata – fondata sulla ritenuta insussistenza di un obbligo incondizionato di gestione diretta della lite a carico della compagnia assicuratrice – nè agli elementi costitutivi del dedotto giudicato.
E ciò, benchè si trattasse di indicazioni necessarie al fine di verificare se i principi di diritto affermati e gli accertamenti di fatto contenuti nella sentenza richiamata potessero o meno far stato nel diverso giudizio sottoposto all’esame di questa Corte in modo da far immediatamente discendere dalla risoluzione del quesito il segno della decisione.
Passando all’esame della seconda doglianza, va premesso che la ricorrente, deducendo la violazione e fxxx applicazione dell’art. 1917 c.c., comma 3 e art. 1932 c.c., commi 1 e 2, ha lamentato il mancato accertamento della nullità della clausola contrattuale di cui all’art. 25 condizioni generali di polizza e la mancata sua sostituzione ex lege. Infatti, la Corte di merito avrebbe sbagliato quando ha statuito che la società assicuratrice poteva non riconoscere le spese incontrate dall’assicurato per i legali o i tecnici che non fossero stati da essa designati, ritenendo in tal modo che la disciplina contrattuale potesse derogare al principio stabilito nell’art. 1917 c.c..
Pertanto, la Corte aveva trascurato che la detta norma, ai sensi dell’art. 1932 c.c., non è suscettibile di deroga per effetto di una clausola pattizia comportante un risultato di maggior sfavore per l’assicurato. Con la conseguenza che, nel caso di specie, doveva ritenersi dovuto il rimborso delle spese in favore dell’xxx a prescindere dal soggetto che aveva provveduto alla nomina del legale.
A riguardo, al fine di inquadrare più compiutamente i termini della doglianza, vale la pena di prendere le mosse dal testo della clausola contrattuale in questione, la quale così recita:
"La società assume, fino a quando ne ha interesse, la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale, sia civile che penale, a nome dell’Assicurato, designando, ove occorra, legali o tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all’assicurato stesso. Sono a carico della società le spese sostenute per resistere all’azione contro l’assicurato, entro il limite di un importo pari al quarto del massimale stabilito in polizza per il danno cui si riferisce la domanda. Qualora la somma dovuta al danneggiato superi detto massimale, le spese vengono ripartite fra Società e Assicurato in proporzione al rispettivo interesse. La società non riconosce spese incontrate dall’Assicurato per i legali o tecnici che non siano stati da essa designati e non risponde di multe o ammende nè delle spese di giustizia penale".
Ora, l’art. 1932 c.c., nell’elencare le norme inderogabili in danno dell’assicurato, fa esplicito riferimento, tra gli altri articoli, all’art. 1917, commi 3 e 4, i quali dispongono, rispettivamente, al terzo comma, che "le spese sostenute per resistere all’azione del danneggiato contro l’assicurato sono a carico dell’assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata (salvo il caso in cui sia dovuta al danneggiato una somma superiore al capitale assicurato, ripartendosi in tale ipotesi le spese giudiziali tra assicuratore e assicurato in proporzione del rispettivo interesse)"; al quarto comma, che "l’assicurato, convenuto dal danneggiato, può chiamare in causa l’assicuratore".
Tutto ciò premesso, come risulta di ovvia evidenza, l’art. 25 sopra riportato non contiene una deroga espressa alla previsione dell’art. 1917 c.c., comma 3. Sotto questo aspetto, è condividibile la tesi della contro ricorrente, la quale ha osservato a riguardo che la norma contrattuale nel caso di specie non confligge affatto con la previsione codicistica, essendosi limitata a disciplinare non il "se" (dato che gli obblighi di cui all’art. 1917 c.c., permangono tutti a carico dell’assicuratrice) ma il "quando" ed il "come" la norma del codice vada applicata, nel senso che la copertura assicurativa resta integrale ove l’assicurato eviti di nominare legali di sua fiducia, (v. pag. 8 controricorso).
Ed invero, il mancato riconoscimento, da parte della società, delle spese incontrate dall’Assicurato per i legali o tecnici, non da essa designati, non deriva dalla clausola contrattuale ma da un comportamento diverso ed ulteriore adottato dall’assicurato in violazione di un preciso impegno contrattuale liberamente convenuto nell’esercizio dell’autonomia delle parti.
Resta inoltre da richiamare l’attenzione – ed il rilievo non è certamente di poco conto – sul fatto che l’art. 1917, comma 3, concerne le sole spese sostenute per resistere all’azione del danneggiato contro l’assicurato, prevedendo espressamente che esse sono a carico dell’assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata. Ed è appena il caso di rilevare che tali spese non sono state affatto sostenute dall’xxx ove si ponga mente al fatto che, in esito al giudizio di primo grado, il Tribunale di xxx, dopo aver rigettato la domanda risarcitoria proposta dal danneggiato, ha condannato il medesimo attore alla rifusione delle spese affrontate dal Comune e quest’ultimo alle spese affrontate dall’xxx, onde il difetto di interesse della ricorrente sul punto.
Inoltre, deve rilevarsi che, contrariamente all’assunto dell’xxx, nè l’art. 25 citato nè l’art. 19177 c.c., impongono all’assicuratore di gestire la lite e che l’art. 1917 c.c., nulla prevede sulle spese della domanda di garanzia autonomamente proposte dall’assicurato. Ed è appena il caso di rilevare che tali spese, nel rapporto processuale tra la xxx srl e l’Assicuratrice Edile, furono compensate dal Giudice di primo grado.
Passando all’esame delle successive censure, va osservato che con la terza doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o fxxx applicazione dell’art. 1917 c.c., comma 3, il ricorrente ha lamentato l’erroneità e l’illogicità della interpretazione e della individuazione del concetto di "spese sostenute per resistere all’azione del danneggiato contro l’assicurato" espresso dall’art. 1917 c.c., comma 3. Ed invero, la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto che nel concetto di spese vadano ricompresi solo i meri esborsi mentre avrebbe dovuto farvi rientrare tutte le voci previste dalle tariffe forensi, vale a dire anche diritti ed onorari.
Con la quarta doglianza per violazione e fxxx applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 1, il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte ha ritenuto che l’art. 25 delle condizioni generali di polizza non prevede un obbligo di gestione della lite in capo all’assicuratore, bensì una mera facoltà, trascurando che la locuzione avverbiale "fino a quando", ivi contenuta, ha solo un valore temporale e non ipotetico condizionale, stravolgendo il senso letterale della clausola.
Con il quinto motivo, per violazione e fxxx applicazione degli artt. 1363, 1366 e 1367 c.c., il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver la Corte interpretato la clausola contrattuale senza porre le espressioni in correlazione logica in modo da verificarne il significato alla luce dell’intero contesto contrattuale e senza quindi scegliere l’interpretazione in virtù della quale la clausola avrebbe potuto essere conforme a buona fede ovvero fonte di effetti giuridici.
Con il sesto ed ultimo motivo, per violazione e fxxx applicazione degli artt. 1369 e 1370 c.c.c, il ricorrente ha infine censurato la sentenza impugnata per aver la Corte territoriale interpretato le espressioni della clausola de qua a favore dell’assicuratore, cioè il soggetto economicamente più forte, che aveva predisposto le condizioni generali di cui faceva parte la clausola, nel senso meno conveniente rispetto alla funzione economico-sociale del contratto di assicurazione, che è quella della garanzia dell’assicurato, riducendo tale garanzia relativamente agli oneri della difesa tecnica.
Tali doglianze, da esaminarsi congiuntamente per l’intima loro connessione, sono inammissibili. Infatti, la ricorrente, pur lamentando formalmente la violazione di criteri ermeneutici, si è limitata in effetti a contrapporre un’interpretazione alternativa rispetto a quelle adottata dal Giudice di seconde cure, senza spiegare le ragioni della dedotta violazione, evidenziando in tal modo che mirava ad ottenere solo una nuova interpretazione del contratto, conforme ai suoi interessi.
Ora, l’interpretazione dei contratti e della volontà delle parti trasfusa nelle varie clausole contrattuali costituisce attività propria del giudice di merito la quale, risolvendosi in un tipico accertamento di fatto, è censurabile in sede di legittimità, oltre che in caso di violazione dei criteri dell’ermeneutica contrattuale, soltanto in presenza di vizi della motivazione, nella specie neppure dedotti. Ne deriva la loro inammissibilità.
Considerato che la sentenza impugnata è esente dalle censure dedotte, il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.
Così deciso in xxx, nella Camera di consiglio, il 26 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2012

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