Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-10-2013) 02-12-2013, n. 47832

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Il 21 novembre 2012 il giudice di pace di Padova dichiarava H. J. colpevole del reato previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, così come modificato dalla L. n. 129 del 2011, accertato in (OMISSIS) e lo condannava alla pena di quindicimila euro di multa.

All’imputato si contesta di essersi, senza giustificato motivo, trattenuto nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanamento dal territorio dello Stato impartito dal Questore di Perugia il 10 aprile 2010 e notificato in pari data.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, H.J., il quale lamenta erronea applicazione della legge penale, mancanza e contraddittorietà della motivazione, atteso che la fattispecie contestata corrisponde alla formulazione D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 4 ter, nella versione antecedente alle modifiche apportate dal D.L. 23 giugno 2011, n. 89, convertito con modificazioni nella L. 2 agosto 2011, n. 129 e che tale previsione contrasta con la direttiva 2008/115/CE.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito precisate.

1. Occorre premettere che la condotta di inosservanza, senza giustificato motivo, dell’ordine di allontanamento emesso dal Questore, è stata accertata – secondo quanto risulta dalla contestazione – il 19 giugno 2010, ossia in epoca antecedente all’entrata in vigore delle modifiche introdotte dal D.L. 23 giugno 2011, n. 89, convertito con modificazioni nella L. 2 agosto 2011, n. 129, adottata dal legislatore italiano per conformare la legislazione interna alla direttiva 2008/115/CE e al dictum della sentenza del 28 aprile 2011 della Corte di giustizia europea.

Si tratta, quindi, di stabilire, attraverso il confronto tra le fattispecie astratte ex art. 14, comma 5 ter avvicendatesi nel tempo, se si è in presenza o meno di una mera successione modificativa e se, di conseguenza, possa trovare applicazione la disciplina prevista dall’art. 2 c.p., commi 3 e 4.

2. Il raffronto tra la precedente e la nuova formulazione dell’art. 14, comma 5 ter, evidenzia un’omogeneità strutturale tra le due incriminazioni in successione, aventi il medesimo oggetto di tutela, mentre non denota con immediatezza la volontà legislativa di abrogare la previgente disciplina. In tale contesto si tratta di stabilire se le condotte realizzate prima della novella legislativa di cui al D.L. n. 89 del 2011 siano tuttora punibili e siano sussumibili all’interno della nuova figura di illecito previsto dall’art. 14, comma 5 ter, quale modificato dal suddetto provvedimento normativo.

Affinchè si possa parlare di abrogazione integrale è necessario, innanzitutto, che il raffronto logico-strutturale tra gli elementi costitutivi delle due fattispecie incriminatrici che si sono susseguite mette in luce un rapporto di eterogeneità fra gli stessi.

In tale ipotesi, in ossequio al principio costituzionale di irretroattività, non può parlarsi di mera successione modificativa e si verte, piuttosto, in un caso di abrogazione sotto un profilo e di nuova incriminazione sotto l’altro.

Inoltre, pur in presenza di un’omogeneità strutturale degli elementi costitutivi delle due fattispecie in successione, l’abrogazione normativa può discendere dalla espressa irrilevanza penale attribuita dal legislatore a fatti in precedenza puniti e dalla esplicita previsione della applicabilità della nuova incriminazione opera soltanto per l’avvenire.

3. Nel caso in esame, sul piano logico-formale si configura una piena continuità normativa tra le due figure criminose che si sono susseguite nel tempo (contra Sez. 1^, n. 36446 del 23 settembre 2011) e, allo stesso tempo, non può parlarsi di abrogazione sotto nessuno dei due profili in precedenza indicati, in quanto nell’ambito della nuova formulazione dell’art. 14, comma 5 ter il legislatore si è limitato (come già sopra detto) a sostituire la sanzione, trasformata da detentiva in pecuniaria e non ha espressamente sancito la non punibilità dei fatti pregressi.

In consonanza con un’autorevole dottrina si deve, piuttosto, ritenere che il nuovo reato di cui all’art. 14, comma 5 ter, pur se omogeneo sotto un profilo strutturale alla previgente fattispecie incriminatrice, non si pone in continuità normativa con la stessa, perchè sussiste una discontinuità sostanziale del "tipo di illecito". Di conseguenza, i fatti posti in essere in epoca antecedente alla novella legislativa, pur se sussumibili all’interno della nuova ipotesi criminosa e dunque tuttora punibili, non sono più perseguibili, poichè l’incriminazione non esiste più come "tipo di illecito" (Sez. Un., n. 35 del 13 dicembre 2000).

Una conclusione del genere è avvalorata da un’ulteriore decisione delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. Un., n. 1235 del 28 ottobre 2010), le quali hanno affermato che in tema di successione di leggi penali nel tempo può accadere (anche se non costituisce la regola) che la legge successiva contenga elementi indicativi della volontà legislativa di far venire meno la punibilità dei reati commessi in precedenza, pur in presenza delle condizioni per l’applicabilità della regola dell’art. 2 c.p., comma 4.

Sulla base di tali principi deve affermarsi che la novella legislativa ha determinato una frattura tra la vecchia e la nuova formulazione dell’art. 14, comma 5 ter: da un lato ha comportato l’abolizione della norma previgente con conseguenti riflessi sulla revoca delle sentenze definitive di condanna ai sensi dell’art. 673 c.p.p. e, dall’altro, ha previsto una nuova incriminazione per i comportamenti realizzati dopo la sua entrata in vigore. Sebbene, quindi, la modifica dell’art. 14, comma 5 ter, abbia inciso soltanto sulla sanzione (trasformata da detentiva in pecuniaria) senza circoscrivere o revocare, sotto il profilo logico-formale, l’incriminazione, la nuova previsione di illecito penale D.L. 23 giugno 2011, n. 89, ex art. 14, comma 5 ter, è destinata a valere unicamente per il futuro e può essere applicata esclusivamente in relazione ai comportamenti realizzati dopo l’entrata in vigore del suddetto decreto legge.

4. Per tutte queste ragioni s’impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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