T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 31-01-2011, n. 861

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1.- Con il ricorso, meglio indicato in epigrafe, la Società xxx S.r.l. (d’ora in poi, per brevità, xxx) ha chiesto che il Tribunale accerti il diritto ad ottenere il risarcimento dei danni subiti dal Comune di xxx per aver quest’ultimo destinato irreversibilmente alla proprietà pubblica l’area di sua proprietà sita in xxx, località omissis, di circa mq. 26.253, distinto al NTC di xxx foglio 886, particella 10, 18 e 21 ovvero, in subordine, per far condannare il predetto Comune a corrisponderle l’indennizzo per il vincolo di natura espropriativa apposto sulla predetta area.
Premetteva la ricorrente che l’area in questione, con il piano regolatore approvato nel 1964, veniva destinata ad edificazione privata e classificata come "Zona E’ c.d. ad espansione, rispetto alla quale l’edificazione da parte dei privati era resa possibile sulla scorta della redazione di una lottizzazione convenzionata che avrebbe assunto valore di piano attuativo.
Riferisce ancora la ricorrente che il Comune di xxx, dotatosi di un Piano per l’edilizia economica e popolare, in data 29 maggio 1984 approvava una variante integrativa al PRG che veniva cristallizzata con l’approvazione da parte della Regione del PEEP. A causa di tale approvazione definitiva del Piano di zona da parte della Regione, anche l’area della ricorrente veniva inserita nel Piano come area destinata a verde pubblico.
La ricorrente lamenta che tale operazione si è tradotta in una espropriazione sostanziale e che dunque ad essa, in qualità di proprietaria dell’area spetta il risarcimento dei danni subiti ovvero, in subordine, l’indennizzo per il vincolo imposto.
2. – Si è costituito in giudizio il Comune di xxx eccependo preliminarmente l’improcedibilità del ricorso proposto atteso che, nelle more e come è noto, è stato approvato il nuovo Piano regolatore comunale venendo quindi meno l’interesse della parte ricorrente ad ottenere la decisione sulla controversia avviata. Nel merito il Comune ha, comunque, contestato la fondatezza delle avverse prospettazioni chiedendo la reiezione del ricorso siccome proposto.
Le parti controvertenti depositavano ulteriore documentazione e memorie illustrative nelle quali reiteravano le già rassegnate conclusioni.
Trattenuta riservata la decisione nell’udienza di merito del 31 marzo 2010 la riserva è stata sciolta nella Camera di consiglio del 7 luglio 2010.
3. – Preliminarmente il Collegio deve scrutinare l’eccezione di improcedibilità del ricorso proposto sollevata dalla difesa comunale.
Il Comune di xxx, in particolare con la memoria difensiva depositata in vista della discussione del merito della controversia nonché con la documentazione prodotta nel fascicolo ad essa allegato ha chiarito che, nelle more della fissazione dell’udienza per la discussione del merito e per come è a tutti noto, è intervenuta una nuova disciplina urbanistica del territorio del Comune di xxx.
Infatti con deliberazione del Consiglio comunale 12 febbraio 2008 n. 18 e con deliberazione della Giunta regionale 8 febbraio 2008 è stato ratificato ed approvato l’accordo di pianificazione del nuovo Piano regolatore generale del Comune di xxx.
Orbene, questo Collegio non ignora che con precedente specifico della Sezione (30 aprile 2010 n. 8976) ha avuto modo di affermare che "come è a tutti noto, il Comune e la Regione Lazio hanno completato l’iter di realizzazione del nuovo Piano regolatore del Comune di xxx, tale fatto conduce inevitabilmente alla dichiarazione di improcedibilità, per sopravvenuto difetto di interesse alla decisione, del ricorso a suo tempo proposto, essendosi oramai rivolto l’interesse del ricorrente alla eventuale impugnazione delle nuove determinazioni urbanistiche assunte dalle Amministrazioni sopra citate con riferimento all’area sulla quale il ricorrente medesimo aveva manifestato, a suo tempo, interessi realizzativi" atteso che "nel caso in cui venga impugnata la prescrizione contenuta in un piano urbanistico e questa sia "sostituita" da altra analoga, non impugnata o da impugnare, si determina la improcedibilità del ricorso, in quanto l’eventuale annullamento del primo atto non determinerebbe alcun vantaggio alla parte ricorrente, comunque lesa dagli effetti della successiva deliberazione (cfr., tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. IV, 9 settembre 2009 n. 5402)".
Purtuttavia la vicenda processuale che ebbe a condurre il Tribunale ad emettere quella decisione in rito era caratterizzata dalla circostanza che la parte ricorrente, in quel giudizio, aveva limitato la domanda alla richiesta di annullamento di un atto che la pregiudicava, non coltivando alcune pretesa risarcitoria (peraltro in quella occasione, sotto un profilo non indifferente rispetto alla dichiarazione di improcedibilità, l’azione risarcitoria era anche prescritta).
Nel caso di cui al ricorso qui in decisione, al contrario, parte ricorrente ha espressamente chiesto il risarcimento dei danni subiti dal comportamento assunto dall’Amministrazione ovvero, in subordine, la condanna del Comune al pagamento dell’indennizzo.
Ne deriva, quindi, che la sopravvenuta approvazione del nuovo Piano regolatore del Comune di xxx costituisce episodio incapace di incidere sulla permanenza dell’interesse alla decisione in capo dell’odierna parte ricorrente, di talché l’eccezione formulata dalla difesa comunale va respinta.
4. – Passando ad esaminare il merito della controversia essa si radica sulla seguente questione: dal momento che l’area di proprietà della ricorrente nel Piano regolatore del 1964 era stata destinata alla edificazione privata e classificata Zona "E’ di espansione e che successivamente il Comune di xxx, dapprima dotandosi di un Piano per l’edilizia economica e popolare e poi con variante edilizia definitivamente approvata dalla Regione Lazio, aveva trasformato la destinazione dell’area in "verde pubblico", spetta alla medesima ricorrente il risarcimento dei danni subiti per l’avvenuta espropriazione non realizzata attraversi i legittimi strumenti approntati dall’ordinamento ovvero, in via subordinata, il riconoscimento del relativo indennizzo.
V’è da precisare, a miglior chiarimento della posizione processuale assunta dalle parti controvertenti, che la difesa del Comune di xxx è tutta incentrata nel voler dimostrare che la destinazione a verde pubblico è equiparabile ad un vincolo conformativo rispetto al quale nulla è dovuto dal Comune ai proprietari degli immobili in quella zona ricadenti, neppure a titolo di indennizzo. Ciò non contestando affatto quanto sostenuto nei fatti da parte ricorrente che, dunque, possono darsi per assodati nella seguente sequenza (per come risulta dalla documentazione depositata da parte ricorrente che si compendia in una relazione stesa da uno studio professionale tecnico che ricalca la certificazione di destinazione dell’area emessa dal competente ufficio comunale e pure versata in atti nel fascicolo di parte ricorrente, il tutto non contestato nei fatti – per come si è sopra detto – dalla difesa comunale nel presente giudizio):
– l’area in questione, di superficie di mq. 26.253, è stata nel vecchio Piano regolatore classificata quale zona di espansione (c.d. zona E), ma successivamente fu ricompresa nel Piano di edilizia economica e popolare (di cui alla legge n. 167 del 18 aprile 1962);
– la destinazione dell’area non è omogenea, in quanto una parte ricade "in un comprensorio di zona E/1 (espansione con piani comprensionali unitari con densità di duecento abitanti per ettaro) parzialmente interessato da vincolo di rispetto monumentale e da vincolo parziale di in edificabilità, parte nel perimetro del piano di zona C/5 "xxx" parzialmente interessato da vincolo di rispetto monumentale e da vincolo parziale di in edificabilità (II PEEP) e per restante minima parte in zona E/3 (espansione riservata all’edilizia popolare ed economica da attuarsi mediante i" piani di zona), tenuto conto che (almeno al 26 settembre 2002, data riportata nella certificazione comunale depositata dalla parte ricorrente e dalla quale sono stati tratti i passaggi sopra riprodotti in virgolettato) non risulta che la zona sia stata dotata di piano particolareggiato;
– l’area in questione è compresa nel perimetro del Piano di zona ed in esso è destinata a verde pubblico dal c.d. Piano delle certezze, variante al P.R.G. adottata dal Consiglio Comunale con deliberazione n. 92 del 29 maggio 1997.
5. – Rileva il Collegio, tenuto conto di quanto le parti controvertenti hanno prodotto in via documentale ed affermato negli scritti difensivi rispettivamente depositati, che punctum pruriens della res controversa è costituito dalla destinazione a verde pubblico dell’area di proprietà della Società ricorrente e fatta qui oggetto di giudizio, con il che viene richiesto il riconoscimento giudiziale del mancato pagamento del risarcimento del danno arrecato dall’espropriazione sostanziale nella quale si compendierebbe la ricaduta della variante adottata nel 1997 ovvero del mancato riconoscimento dell’indennizzo dovuto per il vincolo espropriativo.
Rileva però e nello stesso tempo il Collegio che, al momento della proposizione del ricorso qui in decisione detta variante era solo stata adottata dal Comune di xxx e, quindi, non ancora efficace. Ciò risulta da due ordini di semplici motivi:
– è noto al Collegio che la variante in questione è stata approvata dalla Giunta della Regione Lazio con la delibera n. 865 del 2004;
– è noto alle parti in causa che, al momento della proposizione del ricorso, l’iter procedimentale della variante non si era ancora completato, visto che nel certificato di destinazione urbanistica depositato dalla parte ricorrente (più sopra riprodotto per ampi stralci) e datato 26 settembre 2002 è chiaramente indicato che "la variante al P.R.G. "piano delle certezze" adottata dal Consiglio Comunale con deliberazione n° 92 del 29/5/1997, non ancora approvata" e poi integrata dalla deliberazione del Consiglio comunale n. 176 del 9 novembre 2000 "è stata oggetto di controdeduzioni alle osservazioni ed opposizioni presentate avverso la variante medesima" (testo tratto dal certificato suddetto).
Tutto ciò testimonia del fatto che la Società avrebbe ben potuto impugnare la delibera comunale che all’epoca dei fatti aveva trasformato la destinazione dell’area da edificabile a verde pubblico, comportamento giudiziale che la Società non ha ritenuto di assumere, di talché la legittimità di tale destinazione non può oggi essere posta in dubbio.
Tenuto conto di tali osservazioni che il Collegio stima necessarie al fine della completezza dell’indagine sulla vicenda in esame, possono ora analizzarsi gli aspetti peculiari dell’ambito sotteso alla richiesta di tutela (risarcitoria o, in subordine, di diritto ad indennizzo) avanzata dalla parte ricorrente e fondata sulla natura espropriativa della nuova destinazione imposta all’area di proprietà dalla variante al P.R.G..
6. – Quanto alla problematica legata alla natura espropriativa o meno di una variante di piano regolatore che destini a verde pubblico un’area precedentemente classificata come edificabile, osserva il Collegio che, secondo la giurisprudenza – costituzionale e di legittimità – intervenuta in materia, sono indennizzabili soltanto i vincoli urbanistici preordinati all’espropriazione o di carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà; mentre non lo sono i vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore per attrezzature e servizi realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua, in regime di economia di mercato, anche se accompagnati da strumenti di convenzionamento (ad. es. parcheggi, impianti sportivi, mercati e strutture commerciali, edifici sanitari, zone artigianali, industriali o residenziali) (cfr. Corte cost. n. 179/1999; Cons. Stato, Sez. IV, n. 4340 del 2002 e n. 3524 del 2005).
In questa prospettiva le destinazioni a parco urbano, a verde urbano, a verde pubblico, verde pubblico attrezzato, parco giochi, e simili si pongono al di fuori dello schema ablatorioespropriativo – con le connesse garanzie costituzionali (indennizzo o durata predefinita) – e costituiscono espressione di potestà conformativa (avente validità a tempo indeterminato) quando lo strumento urbanistico consente di realizzare tali previsioni, non già ad esclusiva iniziativa pubblica, ma ad iniziativa privata o promiscua pubblicoprivata, senza necessità di ablazione del bene (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 2718 del 2005, n. 5490 del 2004 nonché Cons. giust. Reg. Sic. n. 1113 del 2008 e n. 1017 del 2007).
In altri termini, la pura e semplice operazione di "zonizzazione" (consistente nell’inserimento di determinate aree in zone con destinazione urbanistica omogenea) non può di per sé far sorgere alcun vincolo preordinato all’espropriazione: essa, infatti, è diretta esclusivamente ad indicare la tipologia di interventi edificatori consentiti (e dunque assentibili) nella zona (e, conseguentemente, ad introdurre il divieto di realizzare determinati tipi di interventi edilizi e l’obbligo di conformare l’attività edilizia per la quale si chiede la concessione alle specifica disciplina).
Fermo quanto sopra va poi rammentato che nel settore degli interventi di edilizia economica e popolare, le suindicate conclusioni sono confermate dal disposto dell’art. 4 della legge 18 aprile 1962 n. 167 (recante disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare). Tale norma prevede che il c.d. "Piano delle zone da destinare alla costruzione di alloggi a carattere economico o popolare, nonché alle opere e servizi complementari, urbani e sociali, ivi comprese le aree a verde pubblico", debba contenere una serie di elementi progettuali e di indicazioni specifiche da cui si desumano con precisione la tipologia e l’ubicazione dell’insediamento abitativo e delle pertinenze, nonché delle altre opere pubbliche e di interesse pubblico che l’Amministrazione intende realizzare. Ed è evidente che tale operazione progettuale serve proprio a distinguere l’astratta azione programmatica di zonizzazione, dalla più concreta ed efficace attività pianificatoria volta all’assunzione di scelte determinate di politica territoriale che implicano l’adozione di provvedimenti ablatori su beni specifici.
6. – Le superiori osservazioni si conformano, del resto, ad un consolidato orientamento della giurisprudenza, la quale – al riguardo – afferma che:
A) per vincolo preordinato all’esproprio può intendersi solamente quello che sia immediatamente e direttamente finalizzato all’espropriazione del bene (cfr. Cass., Sez. I, 21 marzo 2000 n. 3307);
B) vincoli preordinati all’esproprio sono solamente quelli che discendono dalle specifiche prescrizioni (cfr. art. 2 della legge n. 1187 del 1968) riguardanti singoli immobili interessati alla realizzazione di opere pubbliche previste nel piano o da particolari disposizioni di legge (ovvero precisate in appositi provvedimenti amministrativi) da effettuare nell’interesse della collettività, che, nell’ambito della programmazione e pianificazione urbanistica, intervengono in un momento logicamente successivo a quello della zonizzazione del territorio, perché corrispondente ad ulteriori vicende collegate all’emersione di nuovi e specifici interessi pubblici, variamente accertati con appositi provvedimenti amministrativi (cfr. Cass., Sez. I, 26 febbraio 2004 n. 3838);
C) nonché (ciò che qui maggiormente interessa per l’attinenza con la questione dedotta in giudizio), la mera zonizzazione pur comportando l’imposizione di prescrizioni relativa alla tipologia ed alla volumetria dei singoli edifici, non implica il sorgere di alcun vincolo preordinato all’espropriazione, neppure in relazione alle aree destinate ad edilizia residenziale pubblica, per le quali tale effetto si determina solamente con l’approvazione del P.E.E.P. ovvero, nei Comuni che non dispongono di tale strumento urbanistico, con l’approvazione della localizzazione del programma costruttivo nell’ambito delle zone residenziali del piano regolatore o del programma di fabbricazione" (Cass., Sez. I, 21 marzo 2000 n. 3307, 28 novembre 1996 n. 10575 e 27 giugno 1997 n. 5758).
Se è vero, infatti, che la previsione dell’indennizzo è doverosa non solo per i vincoli preordinati all’ablazione del suolo, ma anche per quelli "sostanzialmente espropriativi" (secondo la definizione di cui all’art.39, comma 1, del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327), è anche vero che non possono essere annoverati in quest’ultima categoria di vincoli quelli derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l’iniziativa privata in regime di economia di mercato (come espressamente e puntualmente sancito dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 12 maggio 1999 n. 179, per come ribadito dalla giurisprudenza, cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 14 maggio 2000 n. 2934).
L’univocità dell’indirizzo che esclude dai vincoli indennizzabili quelli da ultimo descritti e l’autorevolezza del pronunciamento che ha sancito il relativo principio esimono il Collegio da un’ulteriore illustrazione delle ragioni che lo giustificano e che lo sostengono.
Basti solo ribadire che il vincolo, per essere qualificato sostanzialmente espropriativo, deve comportare l’azzeramento del contenuto economico del diritto di proprietà e che, di contro, la disciplina urbanistica che ammette la realizzazione di interventi edilizi da parte di privati, seppur conformati dal perseguimento del peculiare interesse pubblico che ha determinato il vincolo, non si risolve in una sostanziale espropriazione, ma solo in una limitazione, conforme ai principi che presiedono al corretto ed ordinario esercizio del potere pianificatorio, dell’attività edilizia realizzabile sul terreno.
In altri termini e conclusivamente, la destinazione ad attrezzature ricreative, sportive e a verde pubblico, data dal piano regolatore ad aree di proprietà privata, non comporta l’imposizione sulle stesse di un vincolo espropriativo, ma solo conformativo, conseguente alla zonizzazione effettuata dallo strumento urbanistico per definire i caratteri generali dell’edificabilità in ciascuna delle zone in cui è suddiviso il territorio comunale, ponendo limitazioni in funzione dell’interesse pubblico generale, e non dà quindi diritto ad indennizzo, trattandosi di limiti non ablatori, ma derivanti da destinazioni realizzabili anche dall’iniziativa privata, in regime di economia di mercato (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. IV, 19 febbraio 2007 n. 870).
Ne deriva che la domanda azionata dalla parte ricorrente, ivi compresa quella proposta in via subordinata, non può trovare accoglimento attesa la natura non espropriativa della destinazione imposta all’area dalla variante più volte citata.
7. – In ragione delle suesposte osservazioni e valutazioni il Collegio, verificata la infondatezza dei motivi che accompagnano le domande avanzate dalla parte ricorrente, respinge il ricorso siccome proposto.
Nondimeno, tenuto conto della particolarità delle questioni che hanno fatto oggetto della vicenda giudiziale, il Collegio stima equo, ai sensi dell’art. 92 c.p.c. novellato, disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti costituite ed intimate.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in xxx, dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda, nelle Camere di consiglio del 31 marzo 2010 e del 7 luglio 2010 con l’intervento dei Magistrati:
Luigi Tosti, Presidente
Salvatore Mezzacapo, Consigliere
Stefano Toschei, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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