Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-10-2013) 07-11-2013, n. 44945

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 11/10/2012, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Monza-Desio, in data 21/5/2005, dichiarava non doversi procedere in ordine al reato di truffa contestato all’imputato perchè estinto per prescrizione rideterminava in anni due di reclusione ed Euro 600,00 di multa la pena inflitta a M.L. per il residuo reato di ricettazione di un assegno postale.

2. La Corte territoriale respingeva le censure procedurali e di merito mosse con l’atto d’appello e confermava la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di ricettazione a lui ascritto, provvedendo ad eliminare la pena in continuazione per il reato di truffa, dichiarato estinto per prescrizione.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando quattro motivi di gravame.

3.1 Con il primo motivo deduce violazione di norme processuali e vizio della motivazione ed eccepisce la nullità della notifica all’imputato dell’ordinanza ammissiva del suo esame non essendo stata effettuata in tempo utile. Al riguardo precisa che, in data 16/4/2008, il Tribunale aveva disposto aveva disposto la notifica all’interessato dell’avviso dell’udienza del 21/5/2008, ore 10, nella quale doveva svolgersi l’esame dell’imputato, richiesto dalla difesa.

Tale avviso veniva consegnato alla convivente dell’imputato, in (OMISSIS), alle h. 9,40 del 20/5/2008. All’udienza del 21/5/2008, a fronte dell’eccezione di nullità della notifica dell’avviso sollevata dal difensore, il G.M. revocava l’ordinanza di ammissione dell’imputato e dichiarava chiusa l’istruttoria, omettendo anche di procedere all’escussione del teste A.S., che aveva denunciato lo smarrimento dell’assegno. Eccepisce quindi che la notifica doveva considerarsi nulla per il mancato rispetto del tempo minimo utile all’imputato per coprire i 1.400 km di distanza che separano (OMISSIS) e si duole di violazione del diritto alla difesa, non avendo potuto espletare l’unico mezzo istruttorio richiesto dalla difesa, volto a dimostrare la legittima provenienza dell’assegno postale consegnato al M. da A.S., soggetto che aveva denunciato lo smarrimento dell’assegno.

3.2 Con il secondo motivo si duole di omessa assunzione di una prova decisiva con riferimento all’omesso espletamento dell’esame dell’imputato e della connessa escussione del teste A..

3.3 Con il terzo motivo deduce violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità e vizio della motivazione con riferimento alla prova della consapevolezza dell’imputato della provenienza illecita dell’assegno. Al riguardo eccepisce che, attesa l’accertata frequentazione fino al giorno del denunciato smarrimento del titolo fra il M. e l’ A., non si può escludere nè che l’ A. abbia consegnato volontariamente il titolo, quale concorrente nella truffa, nè che il M. abbia perpetrato il furto, non potendosi configurare, in nessuna di questa due ipotesi, il delitto di ricettazione.

3.4 Con il quarto motivo deduce che nella fattispecie non sussiste la prova dell’elemento materiale del reato di ricettazione, non essendo stato accertato che effettivamente l’assegno fu smarrito o sottratto per la mancata escussione del teste A.S..

Si duole, inoltre, della dosimetria della pena e della mancata concessione delle attenuanti generiche.

Motivi della decisione

1. Il ricorso non è fondato.

2. Per quanto riguarda il primo e secondo motivo di ricorso, le censure non sono fondate. Secondo l’insegnamento di questa Corte l’esame dell’imputato non costituisce un mezzo di prova che possa assumere valore decisivo ai fini del giudizio. Infatti la S.C. (Sez. 1, Sentenza n. 17844 del 26/03/2003 Ud. (dep. 15/04/2003) Rv. 224800) ha statuito che per prova, la cui mancata assunzione può costituire motivo di ricorso per cassazione, deve intendersi solo quella che, confrontata con le ragioni poste a sostegno della decisione, risulti determinante per una diversa conclusione del processo, e non anche quella insuscettibile di incidere sulla formazione del convincimento del giudice, in quanto costituente una diversa prospettazione valutativa nell’ambito della normale dialettica tra le differenti tesi processuali.

(Nel caso di specie è stato escluso il carattere di decisività dell’omesso interrogatorio dell’imputato).

3. In secondo luogo la contestazione in ordine alla pretesa nullità per tardività della notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza del 21/5/2008 non ha ragione di essere dal momento che non risulta (e non è stato neanche dedotto dall’imputato) che la notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza fosse un atto dovuto, dal momento che l’imputato contumace non ha diritto alla notifica del rinvio del dibattimento poichè il contumace è rappresentato dal suo difensore, a norma dell’art. 420 quater c.p.p., comma 2.

4. In ogni caso la revoca disposta dal giudice di primo grado dell’esame dell’imputato richiesto dalla difesa, non ha inciso sul diritto alla difesa dell’imputato il quale ben avrebbe potuto presentarsi in appello e rendere dichiarazioni, a norma dell’art. 523 c.p.p. per fornire le eventuali giustificazioni utili a chiarire le circostanze nel contesto delle quali ebbe a ricevere il possesso del titolo.

5. Per quanto riguarda il terzo motivo in punto di sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di ricettazione, la Corte non ha fatto malgoverno dei principi che governano la formazione della prova indiziaria ex art. 192 c.p.p., comma 2. In punto di diritto è orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte che la sussistenza dell’elemento soggettivo nel reato di ricettazione (vale a dire la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa) può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato e dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Cass. Sez. 2A, 27.2/13.3.1997, n. 2436, Rv.207313; conf. Sez. 2, Sentenza n. 25756 del 11/06/2008 Ud. (dep. 25/06/2008) Rv. 241458).

6. Pertanto la mancata – o non attendibile indicazione – della provenienza della cosa è elemento indiziario sufficiente per consentire la formazione della prova in ordine alla consapevolezza in testa all’agente dell’origine delittuosa della cosa in suo possesso.

Nel caso di specie la mancata presentazione dell’imputato all’esame ed il fatto che lo stesso non abbia ritenuto di fare dichiarazioni di alcun genere, neppure in grado d’appello, per giustificare la provenienza del titolo, giustifica le conclusioni assunte dalla Corte territoriale in punto di sussistenza dell’elemento soggettivo.

7. Infine deve essere respinto anche il quarto motivo in ordine alla prova dell’elemento materiale del reato in quanto sul punto il ricorrente ha sollevato delle censure in fatto che non possono trovare ingresso in questa sede. Occorre, poi, precisare che non è ammissibile la doglianza in punto di mancata concessione delle attenuanti generiche poichè la relativa richiesta non è stata sollevata con i motivi d’appello.

Sono parimenti da respingere le censure in merito al trattamento sanzionatorio in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125 c.p., comma 3, anche ove adoperi espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congruo aumento", ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 33773 del 29/05/2007 Ud. (dep. 03/09/2007) Rv. 237402).

E’ stato, poi, ulteriormente precisato che la specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 c.p. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 36245 del 26/06/2009 Ud. (dep. 18/09/2009) Rv.

245596). Nel caso di specie la pena inflitta è molto al di sotto della misura media di quella edittale. Pertanto nessuna censura può essere mossa, sotto questo profilo alla sentenza impugnata.

8. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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