Cass. civ. Sez. III, Sent., 06-09-2012, n. 14927

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Svolgimento del processo
1.- Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 7 luglio 2011, la Corte d’Appello di Roma ha dichiarato estinto il giudizio n. 4812/99 R.G. A.C. pendente tra la xxx s.p.a. in l.c.a. – patrimonio separato xxx s.p.a. in l.c.a. ed xxx xxx xxx xxx dixxx s.p.a., a seguito di appello proposto dalla prima nei confronti della seconda avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 16676 del 14 settembre 1999.
1.2.- La xxx s.p.a. in l.c.a. aveva citato in giudizio la xxx dixxx (xxx) s.p.a. per sentire accertare l’inadempimento di quest’ultima agli obblighi assunti nei suoi confronti con la convenzione stipulata nel maggio 1987 e con le successive integrazioni, nonchè con le polizze commerciali e cauzionali emesse in attuazione di tale convenzione, e per sentire condannare la convenuta al risarcimento dei danni provocati nel periodo precedente la sua messa in liquidazione. La convenzione del 4 maggio 1987 prevedeva che i clienti della xxx, a seguito della stipulazione di una polizza di assicurazione dei crediti commerciali a breve termine (polizza denominata n. (OMISSIS)) potevano cedere i diritti di indennizzo derivanti dalla polizza alla xxx, ottenendo da quest’ultima, tramite la sottoscrizione di un contratto di factoring, un’anticipazione finanziaria dei loro crediti a condizioni privilegiate. Con un successivo accordo del 4 marzo 1989 erano stati previsti due nuovi tipi di polizze (n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS)):
polizze commerciali, con le quali l’imprenditore aderente si assicurava con xxx contro i rischi di insolvenza dei suoi clienti ed aveva la facoltà di cedere i propri diritti di polizza alla xxx, che aveva scontato i suoi crediti commerciali e diveniva perciò beneficiarla degli indennizzi dovuti dall’assicuratore in caso di insolvenza; polizze cauzionali, con le quali la xxx si costituiva direttamente quale fideiussore nell’interesse del contraente a favore della xxx per le somme che il primo fosse tenuto a corrispondere a quest’ultima in conseguenza di propri inadempimenti inerenti futuri contratti di fornitura (i cui relativi crediti erano ceduti pro-solvendo alla xxx). L’attrice, fatte queste premesse, aveva dedotto di aver eseguito numerosi finanziamenti, in esecuzione degli accordi anzidetti, per un valore di crediti fattorizzati pari a circa L. 150 miliardi, senza poter poi recuperare nè le somme erogate, a causa dell’inaffidabilità patrimoniale sia dei cedenti che dei ceduti (risultati o falliti o inesistenti), nè gli indennizzi dovuti da xxx, per le eccezioni frapposte da quest’ultima.
Il Tribunale di Roma aveva rigettato la domanda.
2.- Proposto appello da parte della xxx (alla quale subentrò la xxx), la Corte d’Appello di Roma, con sentenza non definitiva n. 5147/04 del 2 dicembre 2004, dichiarato inammissibile l’intervento svolto da tale M.L. (con statuizione non più rilevante), accolse parzialmente l’appello e, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiarò la xxx s.p.a.
responsabile per l’inadempimento degli accordi quadro stipulati con la xxx s.p.a., in relazione ai contratti ritenuti inesistenti elencati nella stessa sentenza ed a quelli che sarebbero stati ritenuti inesistenti all’esito di supplemento di consulenza tecnica d’ufficio da espletarsi nel prosieguo del giudizio e, ritenuto il concorso di colpa dell’appellante nella misura del 50%, condannò l’appellata al risarcimento dei danni, da liquidarsi nel prosieguo del giudizio; dichiarò prescritta la domanda dell’appellante in relazione ai contratti ritenuti esistenti elencati nella stessa sentenza ed a quelli che sarebbero stati ritenuti esistenti all’esito della CTU supplementare; dispose, quindi, per l’ulteriore corso del giudizio come da separata ordinanza.
2.1.- La sentenza venne impugnata con ricorso per cassazione da parte della xxx xxx xxx s.p.a., già xxx xxx, già xxx, a mezzo di dieci motivi, nonchè con ricorso incidentale da parte di xxx s.p.a. a mezzo di tre motivi.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 15904/09 del 7 luglio 2009, rigettò l’appello principale ed il primo ed il terzo motivo del ricorso incidentale, nonchè parte del secondo motivo dell’incidentale, accolse parte di questo motivo, cassando sul punto la sentenza impugnata, e rinviò alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione. In particolare, la sentenza venne cassata nella parte in cui non aveva tenuto conto che alle polizze cauzionali dovesse essere applicata la prescrizione ordinaria decennale e non la prescrizione breve.
Il giudizio di rinvio non venne riassunto.
3.- Frattanto, nel prosieguo del giudizio n. 4812/99 R.G. A.C. dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, veniva eseguito un supplemento di CTU e la causa, dopo essere stata nuovamente trattenuta in decisione, veniva rimessa sul ruolo per l’espletamento del giuramento suppletorio disposto d’ufficio dalla Corte. Espletato tale giuramento, la causa veniva infine rimessa in decisione.
La Corte d’Appello, con la sentenza impugnata, ha, come detto, dichiarato estinto il giudizio, accogliendo l’eccezione di estinzione sollevata dalla xxx xxx per la mancata riassunzione del giudizio di rinvio dopo la pronuncia della Corte di Cassazione.
4.- Avverso la sentenza della Corte d’Appello, xxx s.p.a. in l.c.a. – patrimonio separato di xxx s.p.a. in l.c.a. propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
Resiste con controricorso xxx xxx xxx xxxxxx s.p.a.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1.- Col primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione, ex art. 360, n. 3, e conseguente nullità della sentenza ex art. 360 n.4 , dell’art. 393 cod. proc. civ., sugli effetti dell’estinzione del giudizio in sede di rinvio, nonchè insufficienza ed erroneità della motivazione sul punto. La ricorrente critica la sentenza nella parte in cui ha interpretato l’art. 393 cod. proc. civ., in senso letterale – equivocandone il genuino valore precettivo – assimilando "giudizio" a "procedimento" e ritenendo, pertanto, che, non essendo stato riassunto il giudizio di rinvio, sarebbe stato colpito da estinzione l’"intero giudizio", dovendosi in questo ricomprendere (anche) il giudizio proseguito dinanzi alla Corte d’Appello dopo la sentenza non definitiva della stessa Corte, impugnata poi con ricorso per cassazione.
La ricorrente sostiene che l’espressione "intero giudizio", che compare nell’art. 393 cod. proc. civ., non sia genericamente riferita al "procedimento" nè sia volta a risolvere il problema del coordinamento tra sentenza non definitiva e sentenza definitiva, ovvero quello tra sentenza sull’an e sentenza sul quantum, ma sia indirizzata a chiarire, in deroga a quanto risulta dall’art. 338 cod. proc. civ., che dopo la cassazione della sentenza d’appello sostitutiva di quella di primo grado, ciò che sopravvive all’eventuale estinzione del giudizio di rinvio è soltanto la sentenza della Cassazione, senza possibilità di reviviscenza della sentenza di primo grado.
1.1.- Col secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione, ex art. 360, n. 3, e conseguente nullità della sentenza ex art. 360, n. 4, dell’art. 310 cod. proc. civ., sugli effetti dell’estinzione del giudizio di cognizione, anche in relazione agli effetti dell’estinzione del giudizio di rinvio a norma dell’art. 393 cod. proc. civ., nonchè insufficienza ed erroneità della motivazione sul punto. La ricorrente critica la sentenza nella parte in cui ha fatto riferimento alla norma dell’art. 310 cod. proc. civ., al fine di affermare che ogni questione derivante da questa sarebbe rimasta impregiudicata con riferimento al "nuovo processo da instaurarsi in primo grado attraverso la riproposizione della stessa domanda introduttiva di quello estinto", ed ha richiamato il precedente costituto da Cass. n. 6712/01.
La ricorrente sostiene che la Corte d’Appello avrebbe frainteso tale precedente, laddove avrebbe ritenuto applicabile l’art. 310 cod. proc. civ., in luogo dell’art. 393 cod. proc. civ.: l’art. 310 cod. proc. civ., sarebbe scritto per l’estinzione del processo di cognizione in primo grado, mentre soltanto la seconda delle dette norme regolerebbe gli effetti dell’estinzione del giudizio di rinvio.
Piuttosto, secondo la ricorrente, la sopravvivenza delle sentenze di merito in caso di rinvio conseguirebbe dal principio della formazione progressiva del giudicato, come si desumerebbe dal precedente citato dalla Corte territoriale, nonchè da altri indicati in ricorso.
1.2.- Col terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 393 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 324, 329, 332, 336, 338 cod. proc. civ., con riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3) e 4), nonchè insufficienza ed erroneità della motivazione in ordine ai fenomeni della formazione progressiva del giudicato, di quello del giudicato interno e di quello della rilevanza della sentenza di merito per autonomi capi.
Premette la ricorrente che la peculiarità del caso di specie è data dalla sequenza: pronuncia di sentenza non definitiva in appello;
immediato ricorso per cassazione avverso la non definitiva; omessa sospensione del giudizio di appello in attesa della definizione di quello di legittimità; omessa riassunzione in sede di rinvio del segmento di giudizio distaccatosi dall’appello in conseguenza dell’immediato gravame avverso la non definitiva. Avendo la Cassazione rigettato i dieci motivi del ricorso principale di xxx xxx xxx s.p.a. ed i tre motivi del ricorso incidentale di xxx s.p.a. in l.c.a., ad eccezione di una parte del secondo motivo del ricorso incidentale, invece accolto (con conseguente cassazione con rinvio), la sentenza non definitiva sarebbe definitivamente passata in giudicato (interno) proprio ad opera della sentenza della Cassazione n. 15904/09; in particolare, sarebbero passate in giudicato proprio quelle statuizioni contro le quali xxx era insorta con i dieci motivi del ricorso principale. In sintesi, secondo la ricorrente, l’estinzione ex art. 393 cod. proc. civ., avrebbe potuto riguardare, nel caso di specie, soltanto quel segmento del complessivo giudizio cui era riferito l’accoglimento parziale del secondo motivo del ricorso incidentale, ma non i capi rispetto ai quali la Corte aveva rigettato il ricorso principale e rispetto ai quali era proseguito il giudizio d’appello.
1.3.- Col quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione, ex art. 360, n. 3, e conseguente nullità della sentenza ex art. 360, n. 4, dell’art. 307 cod. proc. civ., sull’eccezione e sulla pronuncia di estinzione del giudizio, nonchè insufficienza ed erroneità della motivazione sul punto. La ricorrente critica la sentenza nella parte in cui, nel richiamare le difese dell’appellata, ha valorizzato la mancanza di un formale provvedimento di separazione nell’ambito del giudizio recante il n. 4812/99 R.G., cosicchè lo stesso, giudizio sarebbe in parte proseguito dinanzi alla Corte d’Appello ed in parte sarebbe "sfociato" nel giudizio di Cassazione.
La ricorrente sostiene che, di fatto, il giudizio si sarebbe divaricato in due tronconi distinti: il primo, deciso dalla sentenza non definitiva immediatamente gravata per cassazione; il secondo, dove la Corte d’Appello ha continuato ad istruire la controversia per la liquidazione del danno subito da xxx, secondo i criteri indicati nella sentenza non definitiva; se xxx avesse riassunto il giudizio di rinvio, questo giudizio, essendo un autonomo giudizio rescissorio, sarebbe stato incardinato dinanzi ad una diversa sezione della Corte d’Appello di Roma ed avrebbe in conseguenza assunto un distinto numero di ruolo generale. In conclusione, il giudizio di rinvio non si sarebbe mai ricongiunto col giudizio d’appello, secondo un fenomeno che prescinderebbe da un formale provvedimento di separazione.
Le conseguenze di quanto sopra, in punto di estinzione, sarebbero, secondo la ricorrente, che: il fatto estintivo avrebbe riguardato il giudizio di rinvio e non anche il giudizio d’appello; questi due giudizi sarebbero distinti, con trattazione riservata a giudici diversamente composti; xxx xxx avrebbe formulato un’eccezione di estinzione che sarebbe stata valida per il giudizio di rinvio, ma non in quello d’appello, dove invece era stata proposta; la Corte d’Appello avrebbe potuto dichiarare l’estinzione non del giudizio d’appello, ma – tutt’al più ed in via di mera ipotesi – del troncone di giudizio non riassunto. Per di più, premesso che l’eccezione di estinzione andrebbe proposta soltanto nel giudizio di rinvio, la possibilità di esaminarla in via incidentale sarebbe possibile, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’Appello, soltanto nel giudizio nuovo instaurato con la riproposizione della domanda dopo l’estinzione di quello di rinvio, cioè in una situazione processuale del tutto diversa da quella qui esaminata.
1.4.- Col quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione, ex art. 360, n. 3, e conseguente nullità della sentenza ex art. 360, n. 4, degli artt. 278, 279, 336, 361 cod. proc. civ. e art. 133 bis disp. att. cod. proc. civ., nonchè insufficienza ed erroneità della motivazione sul punto. La ricorrente critica la sentenza nella parte in cui ha "ampiamente motivato" in merito al rapporto tra sentenza non definitiva sull’an e sentenza definitiva sul quantum e sostiene che la relativa motivazione "non ha alcuna attinenza col problema processuale che si doveva risolvere"; ciò, in quanto la sentenza della Corte di Cassazione sulla sentenza non definitiva, per la parte concernente l’ari, è stata di rigetto e non di accoglimento del ricorso principale, facendo passare in giudicato le statuizioni sfavorevoli alla xxx xxx. Pertanto, non avrebbe dovuto essere richiamato l’art. 336 cod. proc. civ., comma 2 (su cui si è a lungo intrattenuta la Corte d’Appello, anche quanto ai rapporti con l’art. 393 cod. proc. civ.), ma il principio del giudicato interno, poichè il giudizio per la liquidazione del danno ben sarebbe potuto proseguire, e di fatto è proseguito, prescindendo del tutto dalla riassunzione in sede di rinvio.
2.- I motivi, che pongono questioni logicamente e giuridicamente consequenziali o connesse, vanno trattati unitariamente.
2.1.- Occorre prendere le mosse dalla lettera dell’art. 393 cod. proc. civ., nonchè dall’interpretazione che alla norma hanno dato dottrina e giurisprudenza, sia con riferimento all’art. 310 cod. proc. civ., che con riferimento al principio della formazione progressiva del giudicato.
La norma disciplina gli effetti dell’estinzione del giudizio di rinvio, perchè non riassunto o riassunto oltre il termine ovvero per una qualunque altra causa di estinzione. In seguito all’estinzione, di certo, conserva il suo effetto vincolante la sentenza di cassazione, in ogni sua statuizione (cfr. già Cass. n. 2100/74, nonchè Cass. n. 6712/01); questo effetto vincolante opera – e lo dice la norma – rispetto ad un processo futuro fra le stesse parti e sullo stesso oggetto del giudizio estinto, vale a dire nel processo "instaurato con la riproposizione della domanda".
Per contro, resta definitivamente travolta la sentenza di primo grado che era stata riformata dalla sentenza di appello poi cassata dal giudice di legittimità (cfr. già Cass. n. 465/83, n. 5279/88, nonchè n. 14892/00, n. 17372/02), così come vengono definitivamente travolti tutti i provvedimenti che da quella sentenza dipendono (arg.
ex art. 336 cod. proc. civ., comma 2).
Come rilevato col primo motivo di ricorso, questo è il senso da attribuire all’espressione "intero processo", la cui estinzione consegue, ai sensi dell’art. 393 cod. proc. civ., all’estinzione del giudizio di rinvio. Poichè la fase che con quest’ultimo si apre si inserisce comunque in un processo che si è già sviluppato interamente nei due gradi di merito, la norma è volta a regolare le sorti di questo processo, in caso di estinzione, anche con riferimento al provvedimento conclusivo del primo grado; ed è perciò che si riferisce ad un processo "intero". Non può certo significare che l’effetto estintivo possa colpire più di quanto ha formato oggetto dell’impugnazione in sede di legittimità ovvero della pronuncia di accoglimento con rinvio della Cassazione (cfr.
Cass. n. 11296/94).
2.2.- Il principio per cui l’estinzione del giudizio di rinvio non fa rivivere la sentenza di primo grado opera, quindi, nei limiti in cui questa sia stata riformata dalla sentenza d’appello, ed anche nei limiti in cui la Cassazione ha cassato la sentenza d’appello ed ha disposto il rinvio. Pertanto, rimangono ferme le statuizioni della sentenza che non siano state impugnate e quelle che non siano state cassate (cfr. già Cass. n. 846/65, che precisa che " …la pronuncia di annullamento produce i suoi effetti soltanto sulle parti della sentenza impugnata, in relazione alle quali essa è operante, ossia soltanto sulle parti cassate; i capi di pronuncia non cassati non sono travolti ed acquistano autorità di cosa giudicata, tranne che siano dipendenti dai capi cassati. I capi della sentenza impugnata, non cassati ed indipendenti dai capi cassati, non sono travolti quindi dall’estinzione del giudizio di rinvio…"); e ciò, sia in ragione dell’art. 336 cod. proc. civ., comma 1 (che limita l’effetto della riforma o della cassazione parziali alle parti della sentenza dipendenti dalla parte riformata o cassata) sia in ragione del principio della formazione progressiva del giudicato, di cui è detto nel terzo motivo di ricorso (cfr., tra i numerosi precedenti, oltre quelli su menzionati, anche Cass. n. 6712/01).
2.3.- Occorre precisare che, contrariamente a quanto sostenuto col secondo motivo di ricorso, la norma sull’estinzione in sede di rinvio, secondo il prevalente orientamento dottrinale e giurisprudenziale, va coordinata all’art. 310 cod. proc. civ., ed, in applicazione di questo, rimangono efficaci, dopo l’estinzione del giudizio di rinvio, tutte le sentenze di merito, pronunciate nel corso del processo, che non dipendono dalla sentenza cassata.
Peraltro, è corretto quanto argomentato nel secondo e nel terzo motivo di ricorso, secondo cui nel caso di specie, non viene in alcun modo in rilievo l’art. 310 cod. proc. civ., poichè, come risulterà dal prosieguo, non vi è luogo a dibattere della permanenza di efficacia di alcuna sentenza non definitiva, a seguito dell’estinzione del giudizio di rinvio.
3.- Premesso, quindi, che l’estinzione del giudizio di rinvio non travolge ogni possibile statuizione del processo che tale esito abbia avuto, occorre precisare le conseguenze del principio, in generale, e nella vicenda processuale oggetto del presente ricorso.
In via generale, giova distinguere tra:
– il caso in cui l’autorità di giudicato di dette statuizioni venga invocata nel nuovo giudizio tra le stesse parti e sullo stesso oggetto, vale a dire in quello che sia stato instaurato con la riproposizione della domanda, dopo che il giudizio di rinvio sia stato dichiarato estinto ovvero non sia stato tempestivamente riassunto (caso, per il quale va ribadito il principio, secondo cui, nel nuovo processo eventualmente instaurato attraverso la riproposizione della domanda, conservano efficacia, e sono pertanto utilizzabili, tutte le statuizioni di merito su cui, nel corso del procedimento ormai estinto, si sia formato il giudicato, e cioè le sentenze di merito non definitive che non abbiano formato oggetto di impugnazione – o i cui motivi di impugnazione siano stati rigettati-, ovvero quelle definitive, ma passate solo parzialmente in giudicato, per essere stati accolti i motivi di ricorso solo relativamente ad alcuni capi della sentenza, in virtù del principio della formazione progressiva del giudicato: Cass. n. 6712/01 cit., nonchè già Cass. n. 846/65 e, poi, Cass. n. 17372/02 cit.), ed il caso in cui dette statuizioni siano autonomamente suscettibili di esecuzione, in quanto si tratti di sentenze passate in giudicato, che abbiano definito il giudizio rispetto ad alcuna delle domande proposte, tra le stesse parti o tra parti diversi in causa scindibile, o ad alcuni capi della stessa domanda (cfr. Cass. n. 3421/73 e n. 3035/79, nonchè, per un caso di definizione di causa scindibile, di recente cfr. Cass. n. 1680/12).
Nell’eventualità di cui si è appena detto, non si pone nemmeno la necessità della riproposizione della domanda, ma tutt’al più si pone la questione dell’eseguibilità della sentenza e, quindi, dell’esperibilità dell’actio iudicati.
3.1- Questa seconda tipologia di vicenda processuale non è quella considerata dall’art. 393 cod. proc. civ.. Essa si è avuta nel caso di specie; con la peculiarità, però, che la sentenza sulla quale si è formato il giudicato è una sentenza non definitiva sull’an;
pertanto, rispetto a quest’ultima, il giudicato non è suscettibile di esecuzione, non certo perchè venuto meno o travolto dall’estinzione di un giudizio di rinvio mai riassunto, ma piuttosto perchè necessita della definizione del giudizio sul quantum debeatur ed il giudizio di rinvio non sarebbe stato certo deputato, anche ove riassunto, alla relativa liquidazione.
Ed infatti la domanda proposta da xxx s.p.a. in l.c.a. nei confronti della xxx s.p.a., con l’atto di citazione di primo grado, era volta ad accertare l’inadempimento di quest’ultima agli obblighi assunti nei confronti dell’attrice nella convenzione stipulata il 4 maggio 1987 e nelle successive integrazioni, nonchè nelle polizze commerciali e cauzionali emesse in attuazione di detta convenzione e per sentirla condannare al risarcimento dei danni cagionati da detto inadempimento nel periodo precedente la sua messa in liquidazione.
Nel contesto di tale domanda formalmente unica, la sentenza della Corte d’Appello n. 5147/04 ha distinto i diversi contratti dei quali era lamentato l’inadempimento, in ragione del fatto che le "operazioni sottostanti" fossero esistenti ovvero inesistenti ed ha ritenuto sussistente la responsabilità per inadempimento della convenuta nella misura del 50% (col pari concorso di colpa dell’attrice) esclusivamente con riferimento ai contratti rispetto ai quali vi era stato già un accertamento peritale di inesistenza delle operazioni o rispetto ai quali siffatta inesistenza sarebbe emersa con CTU da espletarsi nel prosieguo del giudizio; ha quindi disposto, appunto, tale prosieguo anche ai fini della determinazione del quantum risarcitorio; quanto, invece, alla domanda di risarcimento per inadempimento degli altri contratti, relativi ad operazioni esistenti, ha rigettato la pretesa, accogliendo l’eccezione di prescrizione.
La sentenza, quindi, ha finito per decidere su più pretese risarcitorie proposte dalla stessa attrice nei confronti della stessa convenuta ed ha pronunciato una sentenza che, quanto alla statuizione di accoglimento, si configura come sentenza non definitiva sull’an debeatur ai sensi dell’art. 279 cod. proc. civ., n. 4, e, quanto invece alla statuizione di rigetto, si configura come sentenza parziale ai sensi dell’art. 279 cod. proc. civ., n. 2.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15904/09, ha rigettato i motivi di ricorso di xxx s.p.a. concernenti la dichiarazione della sua responsabilità per inadempimento e la sua condanna al risarcimento dei danni, nella misura del 50%. Con questo rigetto il capo di sentenza sull’an debeatur è passato in giudicato.
Rispetto a questo giudicato non si pone, nè si potrebbe porre, alcuna questione attinente ad un possibile giudizio di rinvio.
3.2.- La pronuncia della Cassazione n. 15904/09 ha invece accolto parzialmente il motivo di ricorso incidentale relativo alla questione preliminare impediente della prescrizione breve, che, affermata nei gradi di merito, è stata ritenuta insussistente in sede di legittimità. Il rinvio disposto alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione è allora un rinvio c.d. restitutorio, in quanto ordinato perchè la sentenza d’appello (di rigetto, come peraltro quella di primo grado) è stata travolta. Tuttavia, esso ha riguardato la domanda (cumulata) di dichiarazione di inadempimento e di condanna della xxx s.p.a. relativamente a contratti diversi da quelli oggetto delle statuizioni di cui si è detto sopra; domanda, rispetto alla quale xxx s.p.a. in l.c.a. avrebbe avuto interesse a riassumere il giudizio di rinvio. La mancata riassunzione ai sensi dell’art. 392 cod. proc. civ., ha effettivamente comportato l’estinzione dell’"intero" processo relativo a tale ultima domanda (cioè a quella risarcitoria per inadempimento dei contratti rispetto ai quali le operazioni sottostanti erano esistenti), cosicchè questa potrebbe essere tutt’al più riproposta in un nuovo processo, ai sensi dell’art. 393 cod. proc. civ., ultimo inciso.
La Corte d’Appello ha applicato le regole processuali riferibili alla domanda risarcitoria rispetto alla quale vi è stata la cassazione con rinvio anche alla domanda risarcitoria rispetto alla quale vi è stato il passaggio in giudicato delle statuizioni sull’an debeatur, ipotizzando la necessità di una riproposizione della domanda malgrado la definitività della pronuncia di condanna, seguita al rigetto del ricorso principale.
Nè può valere l’obiezione, che è sottesa all’intera linea difensiva della resistente, per la quale la "riproposizione" sarebbe riferibile alla domanda sul quantum debeatur, in un "nuovo giudizio" ai sensi dell’art. 393 cod. proc. civ., ultimo inciso, nel quale la sentenza non definitiva sull’an avrebbe comunque l’efficacia vincolante del giudicato.
Come detto, quest’ultima sentenza è rimasta estranea alla cassazione e quindi al rinvio, sicchè non può ad essa applicarsi l’art. 393 cod. proc. civ..
Piuttosto, come anticipato, non essendo una sentenza eseguibile, proprio perchè non definitiva (quindi non avente ad oggetto un credito liquido ex art. 474 cod. proc. civ.), necessita non di un "nuovo processo", ma del (la definizione del) processo già pendente sul quantum debeatur.
L’interpretazione sostenuta dalla resistente priverebbe di ratio le norme processuali, poichè finirebbe per escludere la rilevanza del giudicato sull’an debeatur nel giudizio già pendente sul quantum, imponendo la riproposizione ex novo di questo, onde avvalersi del medesimo giudicato di condanna; laddove, evidentemente, il meccanismo della riproposizione della domanda ex art. 393 cod. proc. civ., rinviene la sua ratio nel fatto che la sentenza di cassazione ha "effetto vincolante", ma, avendo cassato con rinvio, non ha definito il giudizio sulla domanda che ne costituisce l’oggetto; questa domanda, perciò, va trattata nel giudizio di rinvio ovvero riproposta in altro giudizio, se quello di rinvio si sia estinto.
In conclusione, in tema di estinzione del processo a seguito di mancata riassunzione del giudizio di rinvio, nell’ipotesi in cui, rispetto ad una domanda risarcitoria proposta come formalmente unica, il giudice del merito emetta distinte pronunzie, autonome tra loro, con le quali in parte accolga la domanda in via non definitiva sul solo an debeatur (disponendo il prosieguo del giudizio per il quantum) ed in parte rigetti la domanda, e solo quest’ultima pronunzia sia cassata con rinvio, la mancata riassunzione del giudizio di rinvio non comporta l’estinzione del giudizio per il quantum che nel frattempo sia proseguito, nel quale rileva il giudicato interno sulla pronunzia resa sull’an debeatur, formatosi a seguito del rigetto del ricorso per cassazione sul punto.
E’ perciò fondato anche il terzo motivo di ricorso.
4.- Nemmeno si può ritenere, come sostiene la resistente, che il giudizio sul qaantum sia stato travolto dall’estinzione dopo la cassazione con rinvio solo perchè non vi era stato un provvedimento formale di separazione dei giudizi.
Questo provvedimento, che è contemplato dall’art. 279 cod. proc. civ., n. 5, e che, come è noto, rileva ai fini dell’impugnazione immediata della sentenza (cfr. Cass. S.U. n. 711-712/99 e, da ultimo, S.U. n. 9441/11), nel caso di specie non vi è stato, anche in ragione della peculiare struttura della sentenza n. 5147/04, della quale si è detto sopra.
La totale irrilevanza di un provvedimento siffatto nel caso di specie consegue al principio di diritto sopra affermato.
Il giudizio di rinvio del quale non si è attuata la riassunzione riguarda una domanda non dipendente da quella cui è riferita la sentenza sull’an debeatur; vale a dire la diversa ed ulteriore domanda risarcitoria, erroneamente – a giudizio di Cass. n. 15904/09- dichiarata prescritta.
Soltanto al giudizio avente ad oggetto tale domanda si riferisce l’estinzione per mancata riassunzione.
Pertanto, come rilevato col quarto motivo di ricorso, è errata la sentenza impugnata la quale, equivocando sui precedenti costituiti da Cass. n. 20311/04, n. 6712/01, n. 10456/96, ha dichiarato di pronunciare "incidentalmente" sull’estinzione di un giudizio di rinvio, ma invece ha dichiarato estinto un altro giudizio, che non solo non è quello di rinvio (non riassunto), ma nemmeno è quel "nuovo processo che sia stato instaurato con la riproposizione della domanda", nel quale i precedenti di legittimità richiamati ammettono la cognizione incidentale sull’estinzione.
5.- Le questioni che la sentenza di legittimità n. 15904/09 pone, con riferimento alla domanda oggetto del presente giudizio, sono quelle dei rapporti tra la sentenza non definitiva sull’an e la sentenza sul quantum debeatur, ma non nel senso in cui le ha poste e risolte la Corte d’Appello. Detti rapporti sarebbero stati regolati dall’art. 133 bis disp. att. cod. proc. civ., qualora il giudizio sul quantum debeatur fosse stato sospeso fino alla definizione del giudizio di cassazione, ed, in tale eventualità, il rigetto o l’inammissibilità del ricorso sarebbero stati rilevanti per la riassunzione, non certo di un giudizio di rinvio, ma dello stesso giudizio sul quantum, ai sensi del comma 2 dell’articolo citato;
l’accoglimento del ricorso, invece, avrebbe potuto comportare un giudizio di rinvio e quindi il permanere della sospensione, ovvero una cassazione senza rinvio e quindi la cessazione della materia del contendere del giudizio (sospeso) sul quantum debeatur. Ma l’art. 133 bis disp. att. cod. proc. civ., impropriamente citato nel quinto motivo di ricorso, non trova applicazione del caso di specie.
Nel caso di specie, infatti, il giudizio sul quantum debeatur non è stato sospeso ed è proseguito con l’ulteriore istruzione della causa, secondo le disposizioni date con l’ordinanza collegiale.
In tale situazione processuale, come peraltro rilevato con lo stesso quinto motivo, soltanto se la sentenza n. 15904/09 avesse accolto il ricorso di xxx xxx e avesse cassato con rinvio la sentenza sull’an debeatur, si sarebbe posta la questione della riassunzione del giudizio di rinvio e della sorte del giudizio sul quantum debeatur nelle more della definizione di quello di rinvio – ove tempestivamente riassunto – ovvero in caso di sua estinzione – ove non riassunto od altrimenti estinto; ed, in caso di intervenuta pronuncia sul quantum, si sarebbe posta la questione della sorte di questa sentenza definitiva (a tale questione si riferiscono i precedenti di legittimità che applicano l’art. 336 cod. proc. civ., comma 2, erroneamente richiamati in sentenza, di cui a Cass. S.U. n. 4751/79, Cass. n. 5644/88 e n. 28727/08).
La questione è stata affrontata a sproposito dalla Corte territoriale alle pagg. 6-7 della sentenza, senza considerare che essa non si pone affatto nel caso di specie, atteso che il ricorso avverso la sentenza sull’an debeatur non è stato accolto, ma rigettato, e che il rigetto ha comportato la formazione del giudicato interno, di cui si è detto sopra.
6.- In conclusione, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2012

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