Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-10-2013) 28-10-2013, n. 43924

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 17/9/2012, la Corte di appello di Roma, confermava la sentenza del Tribunale di Roma, in data 30/11/2011, che aveva condannato B.A. e K.D., rispettivamente alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione ed Euro 8.000,00 di multa ( B.) ed alla pena di anni quattro e mesi due di reclusione ed Euro 10.000,00 di multa ( K.) per i reati di usura, estorsione e tentata estorsione.
2. La Corte territoriale respingeva le censure mosse da ciascun imputato con l’atto d’appello e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità degli imputati in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti, ed equa la pena inflitta.
3. Avverso tale sentenza propongono ricorso entrambi gli imputati per mezzo dei rispettivi difensori di fiducia.
4. B.A. propone due motivi di ricorso con i quali deduce manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge per mancata integrazione della fattispecie di cui all’art. 644 c.p..
Sotto il primo profilo si duole di omessa motivazione in ordine all’effettiva partecipazione del prevenuto al reato di usura commesso dal padre. Sotto il secondo profilo deduce la carenza dell’elemento soggettivo, difettando nell’imputato la coscienza di contribuire – con la propria – alla condotta del padre.
5. K.D. propone due separati ricorsi, l’uno a firma dell’avv. xxx, l’altro a firma dell’avv. xxx. 6. Con il ricorso a firma dell’avv. xxx, la difesa dell’imputato solleva tre motivi di gravame con i quali deduce:
6.1 Illogicità della motivazione con riferimento al delitto di usura, dolendosi che la Corte territoriale abbia ingiustificatamente rigettato la prospettazione difensiva in ordine ai lavori di rifacimento del bagno che il M. doveva eseguire nell’abitazione dell’imputato e abbia effettuato una lettura sbagliata del materiale probatorio in atti, ivi comprese le intercettazioni telefoniche, senza effettuare il doveroso vaglio di credibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa.
6.2 Illogicità della motivazione in ordine al reato di estorsione e tentata estorsione. Al riguardo si duole che la Corte territoriale abbia travisato il contenuto delle intercettazioni telefoniche attribuendo un significato alle espressioni pronunciate dal K. totalmente diverso da quello che esse effettivamente avevano.
6.3 Con il terzo motivo deduce l’illogicità della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, dolendosi della mancata concessione delle attenuanti generiche e della dosimetria della pena.
7. Con il ricorso a firma dell’avv. xxx la difesa deduce vizio della motivazione in relazione al reato di usura contestando la genuinità delle dichiarazioni del M. e la concludenza probatoria della scrittura contabile, con firma del prevenuto indicata nella sentenza come prova dell’avvenuta dazione di interessi usurari.
Motivi della decisione
1. Entrambi i ricorsi sono inammissibili in quanto basati su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità o comunque manifestamente infondati.
2. B.A.. Le censure sollevate dal ricorrente sono al limite della genericità. Esse ripropongono gli stessi argomenti di merito già sollevati con i motivi d’appello, in ordine alla contestata partecipazione dell’imputato all’azione usuraria attribuita al padre che la Corte territoriale ha ampiamente confutato, richiamando elementi fattuali, fra i quali la conversazione n. 4001 del 26/10/2010 nella quale il prevenuto si rivolge al M. con queste espressioni: "..tu te la devi vedere con me, non con mio padre, quelli che devi fà devi darlo a me, non ti devi preoccupare, non c’è problema de mio padre".
La motivazione della Corte territoriale da conto della partecipazione attiva di B.A. all’azione usuraria e quindi anche della sussistenza dell’elemento soggettivo con motivazione adeguata e priva di vizi logico giuridici, come tale incensurabile in questa sede.
3. K.D.. Per quanto riguarda le censure di pretesi vizi della motivazione in ordine al reato di usura, sollevate con il primo motivo del ricorso xxx e con il ricorso xxx, nella sostanza la difesa ha svolto ragioni che costituiscono una critica del logico apprezzamento delle prove fatto dal giudice di appello con la finalità di ottenere una nuova valutazione delle prove stesse; e ciò non è consentito in questa sede. In particolare la Corte ha fornito una ricostruzione dei significato dei fogli rinvenuti nell’abitazione della parte offesa nei quali compaiono alcune firme apposte dall’imputato (che il ricorrente contesta, senza essere in grado di dimostrare che si sia verificato un travisamento della prova) con una dettagliata e congrua motivazione (fol. 10) ed ha ricostruito l’azione usuraria sulla base della convergenza fra le dichiarazioni della persona offesa (ed il di lui fratello), le annotazioni emergenti dalle risultanze documentali e gli esiti delle intercettazioni telefoniche. E’ il caso di aggiungere che la sentenza impugnata va necessariamente integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, di primo grado, derivandone che i giudici di merito hanno spiegato in maniera adeguata e logica, le risultanze confluenti nella certezza della responsabilità dell’imputato per il reato contestato.
4. Ugualmente inammissibile è il secondo motivo del ricorso xxx con il quale il ricorrente si duole che la Corte abbia travisato il significato di alcune captazioni attribuendo alle espressioni pronunciate dall’imputato un significato intimidatorio che esse non hanno. E’ principio consolidato che in materia di intercettazioni telefoniche, l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 11794 del 11/02/2013 Ud. (dep. 12/03/2013) Rv. 254439; Sez. 6, Sentenza n. 15396 del 11/12/2007 Ud. (dep. 11/04/2008) Rv. 239636; Sez. 6, Sentenza n. 35680 del 10/06/2005 Cc. (dep. 04/10/2005) Rv. 232576;
Sez. 4, Sentenza n. 40172 del 16/06/2004 Ud. (dep. 13/10/2004) Rv.
229568). Nel caso di specie il contenuto minaccioso delle espressioni utilizzate da K. è stato esaminato dalla Corte che ha ritenuto intimidatorie diverse espressioni che ha specificamente richiamato ed analizzato con motivazione priva di vizi logici.
5. Infine sono inammissibili anche le censure relative al trattamento sanzionatorio ed alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
La Corte ha specificamente motivato sul punto, aderendo alle conclusioni del Gip, ed ha legittimamente rigettato la richiesta "in considerazione, sia dei gravi precedenti penali, anche specifici dell’imputato, sia e soprattutto avuto riguardo all’intensità del dolo, quale si evince dalle modalità della condotta criminosa, che restituiscono un profilo d’autore determinato, freddo, altamente pericoloso, perciò immeritevole delle chieste attenuanti".
6. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00) ciascuno, oltre alla rifusione delle spese del grado in favore della parte civile Roma Capitale, in persona del sindaco pro tempore, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione – in solido – delle spese del grado in favore della parte civile Roma Capitale, in persona del sindaco pro tempore, che si liquidai Euro 3.500,00 per compensi, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2013

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