Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-10-2013) 28-10-2013, n. 43923

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 6/4/2011 il Gup presso il Tribunale di Milano, applicò, ex art. 444 c.p.p. a M.J.P. la pena di anni uno, mesi otto di reclusione ed Euro 600,00 di multa per i reati di rapina impropria aggravata, lesioni personali aggravate e furto aggravato in concorso; fatti avvenuti in (OMISSIS).

Passata in giudicato la sentenza, il difensore della prevenuta, munito di procura speciale, ne chiedeva la revisione proponendo quali nuovi elementi di prova le risultanze di due perizie psichiatriche esperite in separati procedimenti conclusisi con sentenze emesse dal Tribunale di Milano in data 15/7/2011 e 17/7/2012, nell’ambito delle quali M.J.P. era stata dichiarata non imputabile per incapacità di intendere e volere al momento del fatto, essendo affetta da un disturbo della personalità noto come cleptomania.

2. La Corte di appello di Milano, risolto positivamente il problema della ammissibilità della revisione, respingeva l’istanza ritenendo che gli accertamenti e le conclusioni delle due perizie, redatte dal Dr. B., non giustificassero un giudizio di non imputabilità del soggetto per incapacità di intendere e volere al momento del fatto.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso l’interessata per mezzo del suo difensore di fiducia e procuratore speciale, sollevando due motivi di gravame.

3.1 Con il primo motivo deduce violazione di legge per inosservanza dell’art. 220 c.p.p. e artt. 85 e 88 c.p..

Al riguardo si duole che la Corte d’appello abbia disatteso il percorso argomentativo e le conclusioni assunte dal Perito nella due perizie in atti, con argomentazioni prive di valore scientifico.

3.2 Con il secondo motivo deduce la contraddittorietà della motivazione rispetto ai motivi posti a fondamento dell’istanza di revisione. Al riguardo eccepisce che la Corte avrebbe effettuato una lettura non corretta di alcuni passaggi delle perizie e si duole che la motivazione sia contraddittoria anche rispetto alle due sentenze passate in giudicato che avevano assolto la M. per episodi di furto commessi in concorso con altri soggetti per l’incapacità di intendere e di volere derivante dal suo disturbo di cleptomania.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. Per quanto riguarda il primo motivo, la doglianza è infondata nella parte in cui contesta la possibilità, per il giudice, di valutare una prova tecnica in modo difforme da quello suggerito dal perito: invero, è appena il caso di ricordare che il principio di libera valutazione della prova concerne pure la prova tecnica, sicchè ben può il giudice, quale peritus peritorum, esprimere il proprio giudizio in motivato contrario avviso rispetto a quello dei periti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12991 del 19/02/2013 Ud. (dep. 21/03/2013 ) Rv. 255196). In particolare, secondo l’insegnamento di questa Corte, in tema di valutazione dei dati della perizia psichiatrica, al giudice è attribuita la facoltà di discostarsi dalle conclusioni del perito, ma gli compete l’obbligo di motivare il proprio convincimento con criteri che rispondano ai principi scientifici oltrechè logici. In particolare, dato che l"’iter" diagnostico dei periti si sviluppa attraverso due operazioni successive, connesse ed interdipendenti in relazione al risultato finale, cioè percezione dei dati storici e successivo giudizio diagnostico fondato sulla prima, è su questa percezione che il giudice deve portare la sua indagine, discostandosi dalle conclusioni raggiunte quando queste si basano su dati fattuali dimostratisi erronei, errore che viziando l’iter logico dei periti rende inattendibili le loro conclusioni (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2268 del 18/12/1991 Ud. (dep. 02/03/1992) Rv. 191116).

3. Nè può essere accolta la tesi della difesa secondo cui l’art. 220 nuovo codice, innovando significativamente rispetto alla analoga norma contenuta nell’art. 314 del codice del 1930, abbia limitato o cancellato la facoltà del giudice di discostarsi dalle conclusioni del perito, poichè i criteri che governano la valutazione della prova sono quelli fissati dall’art. 192 c.p.c., comma 1, che ribadiscono il principio del libero convincimento del giudice nella valutazione delle prove.

4. Nel caso di specie la Corte territoriale ha argomentato il proprio convincimento in dissenso rispetto alle conclusioni del perito, prendendo in considerazione una serie di dati fattuali (il fatto che alla prevenuta siano state ascritte condotte di appropriazione di documenti di identità e carte di credito altrui, seguite dalla commissione di truffe in danno di esercizi commerciali, attuate presentendo le carte di credito rubate e simulando di esserne la titolare grazie a documenti pure essi proventi di furto) che denotano comportamenti caratterizzati da astuzia, incompatibili con la tesi dell’impulso irrefrenabile a commettere furti (cleptopmania) e quindi contraddittori con gli assunti su cui si sono fondate le conclusioni del perito. Il percorso argomentativo del giudice della revisione giustifica le conclusioni assunte, in dissenso rispetto alle conclusioni delle perizie effettuate nell’ambito di altri procedimenti penali, e non fa emergere vizi di manifesta illogicità della sentenza impugnata.

5- Devono essere ugualmente respinte le censure avanzate con il secondo motivo di ricorso in punto di contraddittorietà della sentenza rispetto alle perizie psichiatrie e rispetto alle due sentenze di proscioglimento dell’imputata per incapacità di intendere e volere. Quanto al primo aspetto, la questione attiene al principio della libera valutazione del giudice della prova tecnica di cui si è detto. Quanto al secondo aspetto il fatto che in alcune sentenze passate in giudicato l’imputata sia stata dichiarata non imputabile per vizio totale di mente, non preclude la possibilità che in separati giudizi venga riconosciuta imputabile in quanto in tema di revisione, il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all’art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a), non deve essere inteso in termini di contraddittorietà logica tra le valutazioni effettuate nelle due decisioni, ma con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui sì fondano le diverse sentenze (Cass. Sez. 2, Sentenza n 12809 del 11/03/2011 Cc. (dep. 29/03/2011) Rv. 250061).

6 – Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2013

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