Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-10-2013) 21-10-2013, n. 43108

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Potenza, in riforma della sentenza del Tribunale di Matera in data 28 marzo 2010, appellata dall’odierno imputato, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti del medesimo in ordine al reato ascrittogli al capo A (ricettazione) perchè estinto per prescrizione, eliminando per l’effetto la pena relativamente comminata; e ha confermato la condanna per il reato di cui al capo B (truffa) in anni 2 e mesi 2 di reclusione.

2. Ricorre il Procuratore generale della Repubblica di Potenza rilevando come, pur avendo il Tribunale motivato sulla prescrizione della truffa, ha poi dichiarato in dispositivo la prescrizione della ricettazione; omettendo peraltro di irrogare, come invece stabilito dalla legge, accanto alla pena detentiva anche la pena pecuniaria della multa.

Attesi pertanto tali violazioni di legge e vizi di motivazione, il ricorso si conclude chiedendosi dichiararsi di non luogo a provvedere per intervenuta prescrizione quanto al delitto di truffa e di irrogare, quanto al delitto di ricettazione, anche la pena pecuniaria della multa nella misura di Euro 1000.

3. Ricorre, assistito dal difensore, l’imputato lamentando violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di appello espresso la ricordata contraddizione tra motivazione e dispositivo; e inoltre per non aver motivato sulla responsabilità dell’imputato a titolo di ricettazione, benchè il compendio istruttorio si basi esclusivamente su testimonianze contraddittorie; per aver omesso motivazione sulla dosimetria della pena e sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; per non aver dichiarato la prescrizione di entrambi i reati contestati.

Motivi della decisione

1. Il ricorso del pubblico ministero è fondato, essendo evidente che la Corte territoriale sia incorsa in errore materiale, dichiarando la prescrizione del reato di ricettazione piuttosto che del reato di truffa: come dimostra il verbale del dispositivo, che ovviamente prevale sempre sulla sentenza. La Corte territoriale è invece incorsa in errore giuridico quanto alla determinazione della pena, richiedendo l’art. 648 c.p., che alla pena detentiva della reclusione si accompagni anche la pena pecuniaria della volontà da Euro 516 ad Euro 10.329. Tuttavia, il ricorso non può trovare accoglimento quanto alle specifiche conclusioni prospettate, non essendo nel potere del giudice di legittimità di determinare nel merito l’ammontare della pena pecuniaria.

2. Quando al ricorso presentato dell’imputato, deve osservarsi che la ricostruzione del fatto prospettata nelle sentenze di merito e il giudizio di responsabilità reso nella motivazione della sentenza impugnata alle pagine da 1 a 3 appaiono immuni da vizi logici, peraltro genericamente prospettati nel ricorso ma non anche effettivamente evidenziati nel corpo dello stesso, nel quale la difesa si limita ad offrire soltanto un diverso apprezzamento delle risultanze probatorie cercando di indurre anche questa Corte di legittimità a rendere un inammissibile giudizio sul merito della vicenda.

Giova comunque sottolineare che la Corte territoriale è giunta ad affermare la penale responsabilità dell’imputato per la ricezione di un assegno di provenienza illecita secondo il consolidato indirizzo di questa corte di legittimità per cui, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, allorchè siano tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Questa Corte ha più volte, del resto, affermato che la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Cass. sez. 2^, 11 giugno 2008 n. 25756, Nardino; sez. 2^, 27 febbraio 1997 n. 2436, Savie).

Nella sentenza impugnata l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla legittima acquisizione del titolo di credito si pone come coerente e necessaria conseguenza di un acquisto illecito (cfr. p. 3 della motivazione).

Il motivo sulla violazione di legge per omessa pronuncia della estinzione del reato di ricettazione invece prescritto è manifestamente infondata in quanto il reato di ricettazione non può ritenersi prescritto, giacchè la prescrizione massima decennale dello stesso – applicabile al caso di specie quale, disciplina più favorevole al reo rispetto alla prescrizione precedente alla riforma dell’art. 157 c.p., intervenuta nell’anno 2005, con termine massimo fino ad anni 15 – non potrebbe maturare prima del 6 marzo 2014.

Sul trattamento sanzionatorio, comunque ritenuto eccessivo, deve rilevarsi che il giudice d’appello, con motivazione congrua ed esaustiva, è giunto a una valutazioni di merito come tale insindacabile nel giudizio di legittimità, quando – come nel caso di specie – il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici (Cass. pen. sez. un., 24 novembre 1999, Spina, 214794), rilevando in particolare la prognosi negativa sulla personalità dell’imputato e la proporzione della pena inflitta alla gravità del fatto commesso;

e rilevando in ogni caso l’estrema genericità del ricorso sul punto.

3. Poichè l’annullamento non involge la statuizione sulla responsabilità, in tali limiti la sentenza ha autorità di cosa giudicata ai sensi dell’art. art. 624 c.p.p., comma 1.

4. Ne consegue l’accoglimento del ricorso del Procuratore generale, e dunque l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla omessa applicazione della multa con riferimento al reato di cui al capo A dell’imputazione (art. 648 c.p.), con rinvio alla Corte di appello di Salerno per la determinazione della suddetta multa; e la dichiarazione di inammissibilità del ricorso dell’imputato, che deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.

P.Q.M.

In accoglimento del ricorso del Procuratore generale, annulla la sentenza impugnata limitatamente alla omessa applicazione della multa con riferimento al reato di cui al capo A dell’imputazione (art. 648 c.p.) e rinvia alla Corte di appello di Salerno per la determinazione della suddetta multa. Dichiara inammissibile il ricorso dell’imputato che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende. La sentenza ha autorità di cosa giudicata nelle parti non annullate.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2013

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