Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-10-2013) 21-10-2013, n. 43106

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza emessa in data 26 aprile 2011 dal Gip del Tribunale di nei confronti di C.G. per il delitto di estorsione aggravata e continuata.

2. Ricorre, assistito dal difensore, l’imputato contestando l’erronea qualificazione giuridica del fatto. In premessa si ribadisce l’arresto di questa Corte di legittimità per cui l’estorsione si differenzia dalla truffa aggravata ai sensi dell’art. 640 c.p., comma 2, n. 2, prima ipotesi, perchè nell’estorsione rileva l’elemento di fattispecie della minaccia, laddove nella truffa rileva l’elemento dell’inganno. Sia la minaccia che l’inganno possono concernere un male ingiusto. Se prospettato in una minaccia, il male ingiusto integra il delitto di estorsione; se prospettato in un inganno, determina invece il reato di truffa. Perchè ricorra la prima ipotesi, occorre che il male ingiusto sia percepito dalla vittima come direttamente proveniente dal reo e come certamente conseguente a un eventuale rifiuto; nella truffa aggravata, invece, il male ingiusto è percepito dalla vittima come proveniente da terzi e come meramente possibile: dunque, non come oggetto di una minaccia (Cass. sez. 2^, 27.9.2011, n. 36906; Cass. sez. 2^, 6 maggio 2008, n. 21537).

Si afferma, conseguentemente, che poichè anche la parte offesa riferì che le minacce provenivano non dall’odierno imputato bensì da soggetti terzi, e poichè lo stesso male minacciato non dipendeva dall’imputato non è la persona offesa risultava effettivamente intimorita, non sarebbe integrato nel caso di specie il delitto di estorsione.

Circa la ricostruzione del fatto storico, si propone una dettagliata versione alternativa delle risultanze istruttorie contestando vizio di motivazione alla Corte di appello per non aver seguito tale percorso ricostruttivo accedendo invece a soluzioni opposte.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

Premesso che nel ricorso, laddove si contesta la logicità del percorso ricostruttivo del fatto alla luce della lettura delle emersioni istruttorie in realtà non si evidenzia nessuna carenza logica prospettandosi invece, in modo inammissibile, una diversa lettura del dato storico, cercando di così di introdurre ulteriori valutazioni di merito in sede di legittimità, con riguardo alla qualificazione giuridica del fatto, linearmente la Corte di appello ha ritenuto integrata la fattispecie di estorsione continuata, essendo comprovato in atti che l’odierno imputato ha più volte minacciato la persona offesa prospettando violenze e fatti ingiusti ai danni della persona offesa medesima e dei suoi familiari;

conseguenze perpetrabili da terzi qualora la persona offesa non si fosse risolta a consegnare ripetutamente somme di denaro all’imputato. Ha infatti correttamente rilevato la Corte che l’argomento difensivo oggi riproposto secondo cui l’imputato non avrebbe commesso il reato per non aver profferito direttamente minacce attribuendo le stesse a soggetti terzi sia argomento del tutto inconsistente: non soltanto perchè, effettivamente, le minacce venivano pronunciate dall’odierno imputato e semplicemente riferite dallo stesso a terzi; ma anche perchè è del tutto usuale che l’estorsore prospetti dietro di lui la presenza di terze persone al fine di aumentare la portata intimidatoria delle sue richieste. Le quali, osserva opportunamente la Corte di appello, furono peraltro per lungo tempo esaudite dalla parte offesa: che accettò di assecondare le richieste di pagamento di somme di denaro. Conclude linearmente la Corte territoriale che da questo inequivoco atteggiamento della persona offesa discende anche l’infondatezza sul rilievo della inidoneità delle minacce medesime a far presa sulla stessa.

In questa sede, il ricorrente si limita a prospettare nuovamente gli stessi argomenti presentati della Corte d’appello, senza nemmeno curarsi di stabilire una relazione critica con la motivazione della sentenza impugnata, dimostrando così rispetto alla stessa un evidente difetto di correlazione.

Nemmeno appare superfluo annotare come le dettagliaste critiche di fatto siano riferite a numerosi dati istruttori contrastanti con le affermazioni contenute nella sentenza impugnata e tuttavia nemmeno allegati nel ricorso, che perciò si mostra in violazione del principio della autosufficienza.

2. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2013
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