Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 07-09-2012, n. 15040

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso alla Corte d’appello di Napoli, A.M. proponeva domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio instaurato dinanzi al TAR Campania nel novembre 1996, non ancora definito in primo grado al momento del deposito del ricorso nel maggio 2010.

La Corte d’appello, con il decreto in epigrafe indicato, ritenuta la procedibilità della domanda (stante la presentazione nel giudizio presupposto della istanza D.L. n. 112 del 2008, ex art. 54, conv. in L. n. 133 del 2008), la rigettava nel merito, ritenendo nella specie di poter escludere la presunzione di pregiudizio non patrimoniale normalmente conseguente al protrarsi del giudizio oltre la durata ragionevole, sulla scorta della circostanza particolare costituita dalla omessa presentazione dell’istanza prevista dalla L. n. 205 del 2000, art. 9, comma 2 (come modificato dalla L. n. 133 del 2008) a seguito del superamento del quinquiennio dalla instaurazione del giudizio presupposto, senza che la parte abbia specificato e dimostrato il proprio perdurante interesse alla decisione.

2. Avverso tale decreto, l’ A. ha proposto ricorso a questa Corte, cui resiste con controricorso l’Amministrazione intimata.

3. Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

4. I primi due motivi di ricorso hanno ad oggetto la statuizione relativa alla mancanza di pregiudizio non patrimoniale nella specie:

con il primo si denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 6.1 C.E.D.U. (la sofferenza ed il disagio sono presenti ove il processo si protragga oltre il limite di durata ragionevole, ed alla mancata attivazione di strumenti sollecitatori durante il suo corso – una volta che sia stata regolarmente depositata l’istanza di fissazione dell’udienza – può essere conferito rilievo non, a monte, ai fini della stessa configurabilità del diritto all’equa riparazione, bensì a valle in sede di determinazione della entità dell’indennizzo); con il secondo, si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., evidenziando che l’Amministrazione aveva solo eccepito l’improcedibilità del ricorso in difetto dell’istanza di prelievo L. n. 133 del 2008, ex art. 54, mentre la Corte ha rigettato nel merito. Il terzo ed il quarto motivo hanno ad oggetto la condanna al pagamento delle spese del giudizio, che viene censurata sotto il profilo sia della violazione dell’art. 112 c.p.c. (l’Amministrazione aveva chiesto la compensazione) sia della violazione della tariffa forense introdotta dal D.M. n. 127 del 2004, in relazione agli importi liquidati.

5. Le prime due doglianze, da esaminare congiuntamente attesa la stretta connessione, sono fondate, nei limiti delle considerazioni che seguono.

6. Fondata è invero la critica in ordine alla statuizione adottata dalla Corte d’appello relativamente alla insussistenza nella specie di un pregiudizio da indennizzare. La ulteriore istanza di fissazione di udienza, che a norma della L. n. 205 del 2000, art. 9, comma 2, il ricorrente in un giudizio amministrativo deve depositare entro sei mesi dall’avviso di perenzione che la cancelleria deve notificargli al decorso di dieci (ora cinque) anni dalla instaurazione del giudizio, assolve – al pari della prima istanza di fissazione, prevista dalla L. n. 1034 del 1971, art. 23 – ad una funzione distinta da quella della c.d. istanza sollecitatoria o di prelievo prevista dal R.D. n. 642 del 1907, art. 51, comma 2: quest’ultima ha infatti la finalità di accelerare il processo mediante il riscontro del persistente interesse del ricorrente, laddove la finalità della nuova istanza di fissazione è quella di impedire la perenzione del giudizio (cfr. Cass. n. 25572/2010). Ne deriva che la mancanza della nuova istanza di fissazione di udienza prevista dall’art. 9, richiamato può, ove ne ricorrano i presupposti indicati dalla norma, giustificare la dichiarazione di perenzione da parte del giudice amministrativo, non già costituire motivo per escludere il diritto della parte ad un’equa riparazione per la durata irragionevole del giudizio stesso. Il che, del resto, vale anche (relativamente ai giudizi amministrativi iniziati prima della entrata in vigore della L. n. 133 del 2008) per la mancanza della istanza di prelievo, che, per consolidato orientamento di questa Suprema Corte a seguito della nota S.U. n. 28507/05, può assumere rilevanza solo ai fini dell’apprezzamento della entità del lamentato pregiudizio non patrimoniale, non già per escluderlo, atteso che la presenza di strumenti sollecitatori non sospende nè differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda, nè trasferisce sul ricorrente la responsabilità per il superamento del termine ragionevole di definizione, (cfr. ex multis Cass. n. 3782/06; n. 28428/08; n. 25518/10). L’accoglimento del ricorso segue dunque di necessità, con la conseguente cassazione del provvedimento impugnato, restando assorbite le altre doglianze.

7. Sussistono le condizioni per decidere nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti.

Evidente essendo il superamento di ogni ragionevolezza in una durata di circa quattordici anni di un procedimento non risultante complesso, va osservato come la Corte E.D.U. (le cui pronunce costituiscono come noto un fondamentale punto di riferimento per il giudice nazionale nella interpretazione delle disposizioni della C.E.D.U.) in numerosi giudizi di lunga durata davanti alle giurisdizioni amministrative nei quali gli interessati – come nella specie – non risultavano aver sollecitato la trattazione e/o definizione del processo mostrando di avervi scarso interesse, ha liquidato un indennizzo forfetario per l’intera durata del giudizio che, suddiviso per il numero di anni, ha oscillato tra gli importi di Euro 350,00 e quello di Euro 550,00 per anno (cfr. prò cedimenti 675/03; 688/03 e 691/03; 11965/03), pur se in qualche caso non è mancata una liquidazione superiore. Alla luce di tali orientamenti della Corte di Strasburgo, dettati in casi analoghi, ritiene il collegio che l’importo complessivo dell’indennizzo debba essere fissato, in relazione ad un giudizio durato circa quattordici anni, in modo da non scendere al di sotto della soglia di Euro 7.000. Il rispetto dell’obiettivo di assicurare un serio ristoro alla violazione in esame, alla stregua dei principi elaborati in sede europea, impone dunque di liquidare in tale misura la riparazione dovuta alla ricorrente.

8. A tale somma debbono aggiungersi gli interessi legali dalla domanda e le spese del doppio grado, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Economia e Finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 7.000,00 oltre gli interessi legali dalla domanda e le spese, che liquida, quanto al grado di merito, in complessivi Euro 1140,00 – di cui Euro 490,00 per onorari e Euro 600,00 per diritti – e quanto al grado di legittimità in Euro 865,00 per onorari e Euro 100,00 per esborsi, oltre – per entrambi i gradi – alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta – 1, della Corte di Cassazione, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2012

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