Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-10-2013) 06-02-2014, n. 5784

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza del 19.9.2011, il GUP presso il Tribunale di Torino dichiarò C.L. responsabile dei reati di cui agli artt. 81, 572 e 629 c.p., e unificati i reati sotto il vincolo della continuazione – concesse le attenuanti generiche equivalenti e la diminuente del vizio parziale di mente – ridotta la pena per la scelta del rito lo condannò alla pena di anni due mesi quattro di reclusione ed Euro 300,00 di multa, e alla misura di sicurezza della libertà vigilata di anni uno e mesi sei.

Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e la Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 30.11.2012, in parziale riforma della decisione di primo grado riduceva la pena ad anni uno e mesi otto di reclusione ed Euro 300,00 di multa.

Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), per manifesta illogicità della motivazione, in relazione all’attendibilità della persona offesa, peraltro ben consapevole della malattia ingravescente del figlio, ai rapporti dell’imputato con la nonna, ai riscontri esterni alle dichiarazioni della persona offesa circa le condotte violente dell’imputato, allo stato di salute del medesimo.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza, e allega copia degli atti indicati in ricorso.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo di cui al ricorso, il ricorrente ha edotto vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per i reati di estorsione e maltrattamenti in famiglia, attesa la illogicità di alcune argomentazioni al riguardo sviluppate, ed il travisamento della prova da parte della Corte. La censura è del tutto inammissibile posto che, con il motivo in questione, si muovono non già precise contestazioni di illogicità argomentativa, ma solo doglianze di merito, non condividendosi dal ricorrente le conclusioni attinte ed anzi proponendosi versioni più persuasive di quelle dispiegate nella sentenza impugnata.

Alla Corte di Cassazione è normativamente precluso la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativi che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno; ed invero avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema logico in sè compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sè e per sè considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è geneticamente informata, ancorchè questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (Cass. S.U., n. 12/31.5.2000 Rv. 216260).

La nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), che – in ragione delle modifiche apportate dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 – consente il riferimento agli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" per la deduzione dei vizi di motivazione, riguarda anche gli atti a contenuto probatorio ed introduce un nuovo vizio definibile come "travisamento della prova", consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate però dalla necessità che il dato probatorio, travisato o omesso, abbia il carattere di decisi vita nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica (Cass. Sez. 2, 13994/2006; Sez. 2, 45256/2007 Rv. 238515).

Resta fermo che è a carico del ricorrente l’onere di specifica indicazione di tali atti e di illustrazione della necessità del loro esame ai fini della decisione, ovvero, per il caso in cui l’esame sia stato compiuto, della manifesta illogicità o contraddittorietà del risultato raggiunto.

Nel caso di specie, va poi ricordato che ci si trova dinanzi ad una "doppia conforme" e cioè ad una doppia pronuncia di eguale segno, e pertanto il vizio di "travisamento della prova", di cui alla lett. e) come modificato dalla L. n. 46 del 2006, può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado, "non potendo, nel caso di cd. doppia conforme, superarsi il limite del "devolutimi" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice" (v. Cass. 4, sez. 4, sent. n. 19710/2009 Rv. 243636; Cass., n. 5223/07, Rv. 236130).

Così definite le coordinate del controllo sulla motivazione, rileva il Collegio che il ricorrente, pur avendo formalmente denunciato il vizio di motivazione facendo riferimento anche a tutti i numerosi atti allegati in copia al ricorso, assumendo implicitamente il travisamento della prova da parte della Corte territoriale, ha, tuttavia, nella sostanza, svolto ragioni che costituiscono una critica del logico apprezzamento delle prove fatto dal giudice di appello con la finalità di ottenere una nuova valutazione delle prove stesse; e ciò non è consentito in questa sede.

E’ il caso di aggiungere che la sentenza impugnata va necessariamente integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, di primo grado, derivandone che i giudici di merito hanno spiegato in maniera adeguata e logica, le risultanze confluenti nella certezza della responsabilità dell’imputato per i reati ascrittigli. La Corte territoriale, circa l’attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa, ha quindi evidenziato che la stessa ha sopportato le vessazioni del figlio per lunghissimo tempo prima di determinarsi a denunciarlo nell’evidente, quanto inutile, sforzo di salvaguardare il rapporto e che le circostanze riferite dalla parte offesa in modo coerente hanno trovato oggettivo riscontro nelle testimonianze delle persone escusse. Contrariamente a quanto dedotto in ricorso, la Corte ha quindi preso in considerazione anche la situazione sanitaria del C., e valutato il grave disturbo "borderline e schizotipico" di personalità riscontrato dal perito nominato del Gup, tant’è che, in parziale accoglimento delle doglianze dell’appellante in ordine al trattamento sanzionatorio, ha ridotto la pena ad anni uno e mesi otto di reclusione ed Euro 300,00 di multa, proprio al fine di adeguarla alla condizione soggettiva e all’incensuratezza dell’imputato, e ciò nonostante che la gravità della condotta reiteratamente tenuta giustificassero la determinazione della pena nella misura superiore al minimo.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa (v. Corte Cost. sent. n. 186/2000), nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2014

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