Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 07-09-2012, n. 15035

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso alla Corte d’appello di Napoli, M.C. M. proponeva domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, per violazione dell’arto della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio in materia pensionistica dinanzi alla Corte dei Conti instaurato nel gennaio 1999 e definito in primo grado con sentenza di rigetto del giugno 2008. La Corte d’appello, con il decreto indicato in epigrafe, ha rigettato la domanda, ritenendo di poter escludere nella specie il pregiudizio non patrimoniale normalmente conseguente al protrarsi del giudizio oltre la durata ragionevole, in presenza di un’originaria consapevolezza, nella parte, della infondatezza delle proprie pretese, emergente dalla motivazione della sentenza di rigetto.

2. Avverso tale decreto M.C.M. ha proposto ricorso a questa Corte, con atto notificato il 25 novembre 2010.

L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

3. Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

4. Il ricorso è basato su due motivi, con i quali viene censurata, sotto i profili della violazione e falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 6.1 C.E.D.U.) e del vizio di motivazione, la statuizione in ordine alla esclusione nella specie di ogni sofferenza per la durata irragionevole del giudizio, basata su una presunzione immotivata.

5. Tali doglianze, da esaminare congiuntamente attesa la stretta connessione, sono fondate. Inidonei, di per sè stessi, a giustificare il rigetto della domanda di equa riparazione del pregiudizio non patrimoniale devono ritenersi, alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. ex multis Cass. n. 12494/11; 9938/10; 9337/08; n. 15064/06; n. 19204/05; n. 3410/03), gli elementi indicati nel provvedimento in esame. La sofferenza morale per l’eccessivo protrarsi del processo, quale conseguenza normale di tale irragionevole durata, non può, senza incorrere in contraddizione, essere disconosciuta alla parte la cui pretesa giudiziale viene respinta (o in generale che subisce un esito sfavorevole del giudizio), salvi i casi nei quali questa abbia posto in essere un vero e proprio abuso del processo, configurabile allorquando risulti che abbia promosso una lite temeraria o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire, con tattiche processuali di varia natura, il perfezionamento della fattispecie di cui alla L. n. 89 del 2001. La ricorrenza nel caso in esame di una siffatta fattispecie di abuso non risulta neppure specificamente evidenziata nel decreto impugnato, nè tantomeno ne risultano indicati gli elementi di riscontro, che non possono consistere nella mera infondatezza della domanda. L’accoglimento del ricorso segue dunque di necessità.

6. Il provvedimento impugnato è pertanto cassato, e, non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito a norma dell’art. 384 c.p.c..

7. A tal fine, deve farsi applicazione della giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840), a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere di Euro 750,00 per anno per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole, in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento, mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere richiamato il parametro di Euro 1.000,00 per ciascun anno di ritardo.

Pertanto, l’Amministrazione intimata deve essere condannata al pagamento di Euro 5.700,00 a titolo di equo indennizzo per il periodo di circa sei anni e mezzo di irragionevole durata, quale risulta sottraendo dalla durata complessiva di anni nove e mezzo quella, da ritenersi ragionevole, di anni tre. Su tale somma sono dovuti gli interessi legali dalla data della domanda, in conformità ai parametri ormai consolidati ai quali questa Corte si attiene nell’operare siffatte liquidazioni.

8. Le spese di entrambi i gradi – liquidate come da dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Economia e Finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 5.700,00 oltre gli interessi legali dalla domanda e le spese, che liquida, quanto al grado di merito, in complessivi Euro 1140,00 – di cui Euro 490,00 per onorari e Euro 600,00 per diritti – e quanto al grado di legittimità in Euro 865,00 per onorari e Euro 100,00 per esborsi, oltre – per entrambi i gradi – spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta – 1, della Corte di Cassazione, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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