Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-10-2013) 06-02-2014, n. 5782

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza del 15.10.2012, la Corte d’Appello di Catania confermava la decisione del Tribunale di Ragusa che aveva condannato B. R. alla pena di mesi sei di reclusione e Euro 100,00 di multa per il reato di ricettazione.

Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo: 1) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e e), per errata interpretazione della legge penale e mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in punto di mancata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, essendo il reato consumato in data successiva e prossima a quella del (OMISSIS) e la prescrizione massima di anni sette e mesi sei; 2) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e e), per errata interpretazione della legge penale, e mancanza, illogicità e contraddittorietà delle motivazioni sia in relazione alla prova del reato presupposto che in ordine all’elemento psicologico del reato; 3) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per inosservanza ed errata applicazione di norme della legge penale e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla qualificazione giuridica del fatto; 4) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per inosservanza ed errata applicazione di norme della legge penale e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla determinazione della pena e sulla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 per il modesto valore del bene, e alla mancata concessione dell’indulto.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Considerato che il giudizio pendeva in grado d’appello all’atto della entrata in vigore della legge 251/2005, essendo stata emessa la sentenza di primo grado il 16.2.2005, e che deve trovare applicazione la previgente disciplina dell’istituto della prescrizione, il reato si prescrive nel termine massimo di anni quindici, anche nell’ipotesi attenuata di cui all’art. 648 c.p., comma 2 Alla data della pronuncia della sentenza della Corte territoriale (15.10.2012) non era ancora decorso il termine massimo di anni quindici dal fatto ((OMISSIS)), nè tra la commissione del fatto e il decreto di citazione a giudizio, o tra la sentenza di primo grado e quella d’appello, quali atti interruttivi del termine, risulta decorso il termine ordinario di anni dieci.

Il secondo e il terzo motivo di ricorso sono privi della specificità prescritta dall’art. 581, lett. c) in relazione all’art. 591 c.p.p., in quanto ripropongono in modo generico le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame.

Questa Corte nel suo più alto consesso (v. Sez. U, Sent. n. 12433/2009 Rv. 246324) ha affermato che l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio. Ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo ben può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la qual cosa è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con l’acquisto in mala fede. In tal caso la ricorrenza dell’elemento indicativo del dolo non viene poi affermata sulla base della stigmatizzazione negativa della legittima scelta dell’imputato di tacere, ma sulla base del fatto oggettivo che lo stesso non ha ritenuto di dare alcuna spiegazione in ordine alle circostanze e alle modalità nelle quali e con le quali ebbe ricevere la cosa provento di delitto (Cass. Sez. 2, n. 35176/07;

Sez. 2, n. 15757/03; Sez. 2, n. 1176/03).

Tanto premesso, e rilevato che la sentenza impugnata va, poi, necessariamente integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, di primo grado, osserva il Collegio che, nelle sentenze di merito, i giudici hanno illustrato, con motivazione congrua ed esente da evidenti vizi logici, le ragioni per le quali, sulla scorta delle risultanze processuali, sono pervenuti all’affermazione di responsabilità logicamente rilevando, sia il dato fattuale della certa disponibilità da parte dell’imputato del telefonino proveniente da reato, sia quello processuale della non indicazione da parte del medesimo della provenienza di esso. Nè difetta la prova circa la provenienza da reato del cellulare in questione, risultando lo stesso provento del reato di furto aggravato in abitazione, per il quale si procede tra l’altro d’ufficio e non a querela di parte.

Il quarto motivo è infondato.

In primo grado è stata concessa l’attenuante speciale di cui all’art. 648 cpv. c.p., comma 2 implicitamente sul valore esiguo del bene; non essendo ammessa la duplice valutazione dell’entità del danno ai fini della concessione sia dell’attenuante comune (art. 62 c.p., n. 4) che di quella speciale della ricettazione (Cass. S.U. sent. n. 35535/2007 Rv. 236914), l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 non poteva essere concessa.

Anche il quinto motivo di ricorso relativo alla mancata concessione dell’indulto è infondato.

La sede propria per l’applicazione del richiesto beneficio è quella dell’esecuzione; e pertanto il ricorso per cassazione avverso la mancata applicazione dell’indulto è ammissibile solo qualora il giudice di merito abbia esplicitamente escluso detta applicazione, mentre nel caso in cui – come nella fattispecie – abbia omesso di pronunciarsi nessun pregiudizio per il ricorrente in quanto l’indulto, ove ne sussistano le condizioni, può essere applicato dal giudice dell’esecuzione (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 43262 del 22/10/2009 Rv. 245106: Sez. 3, sent. n. 25135/ 2009 Rv. 243907).

Il ricorso va pertanto rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2014
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