Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-10-2013) 06-02-2014, n. 5780

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Svolgimento del processo

Con sentenza del 24.1.2012, la Corte d’Appello di Catanzaro confermava la decisione del Tribunale di Crotone del 1.12.2009 che aveva condannato T.D. alla pena di mesi quattro e quindici giorni di reclusione e Euro 450,00 di multa per i reati di ricettazione e detenzione per il commercio di capi contraffatti.

Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo: 1) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) e e), in riferimento agli artt. 178, 179 e 185 c.p. e art. 111 Cost., nullità del procedimento di primo grado per mancata traduzione, nella lingua italiana, del decreto che dispone il giudizio; 2) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), con riferimento all’art. 354 c.p.p., art. 111 Cost. e art. 474 c.p. per mancanza della prova della contraffazione della merce. La merce non riportava i marchi che si assumono contraffatti e non era tale da ingenerare confusione; 3) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e e) per errata interpretazione della legge penale, mancanza, illogicità e contraddittorietà delle motivazioni in relazione all’idoneità della merce a configurare il reato di cui all’art. 474 c.p. essendo il falso grossolano; 4) la violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) per inosservanza ed errata applicazione di norme della legge penale e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 474 c.p. e alla registrazione del marchio; 5) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per inosservanza ed errata applicazione di norme della legge penale e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’elemento psicologico del reato di contraffazione; 6) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per inosservanza ed errata applicazione di norme della legge penale e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’elemento psicologico del reato di ricettazione; 7) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per inosservanza ed errata applicazione di norme della legge penale e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 648 c.p. e alla non punibilità della condotta per errore su un elemento costitutivo del reato.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo è infondato.

La Corte territoriale ha adeguatamente motivato il rigetto dell’eccezione preliminare di nullità, rilevando che correttamente il giudice di primo grado aveva respinto l’eccezione, dal momento che la deduzione difensiva che il T. non parlasse la lingua italiana era smentita dalle stesse emergenze processuali dalle quali risultava che il T. non aveva mai dichiarato di non parlare la lingua italiana, anzi in sede di sequestro il (OMISSIS) aveva spontaneamente dichiarato – dando prova di comprendere e di farsi comprendere dai verbalizzanti – di non sapere che la merce era contraffatta. A ciò aggiungasi che lo stesso risiede e lavora in Italia dal 2000.

2.1 restanti motivi di ricorso ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici, non solo per la loro assoluta genericità, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, conducente, ai sensi dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), nell’inammissibilità (Cass. Sez. 4 n. 5191/2000 Rv. 216473).

3. Le motivazioni svolte dal giudice d’appello non risultano viziate da illogicità manifeste e sono infine esaustive, avendo risposto a tutte le doglianze contenute nell’appello, e ribadito – in conformità dell’insegnamento di questa Corte (v. da ultimo, Cass. Sez. 2, n. 12452/2008 Rv. 239745) – che integra il delitto di cui all’art. 474 c.p. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto, non rilevando – a tal fine – la configurabilità della cosiddetta contraffazione grossolana, in quanto la norma citata, in via principale e diretta tutela, non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno ed i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione. Ai fini della configurabilità del reato di commercio di prodotti con segni falsi, infatti, è sufficiente e necessaria l’idoneità della falsificazione a ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell’acquisto, bensì alla loro successiva utilizzazione, a nulla rilevando che il marchio, se notorio, risulti o non registrato, data l’illiceità dell’uso senza giusto motivo di un marchio identico o simile ad altro notorio anteriore utilizzato per prodotti o servizi sia omogenei o identici, sia diversi, allorchè al primo derivi un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del secondo. Trattasi, invero, di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno; nemmeno ricorre l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno (da ultimo, Cass. Sez. 2, n. 12452/2008 Rv. 239745; Sez. 5, n. 33543/2006 Riv. 235225; Sez. 5, n. 31451/2006 Rv. 235214; Sez. 2, n. 34652/2005 Riv. 232501). Nè può evocarsi in dubbio l’elemento soggettivo della ricettazione, posto che l’imputato effettivo possessore della merce in sequestro esposta al pubblico per la vendita non ha mai fornito la benchè minima giustificazione circa la sua provenienza, e che – in tal caso – la ricorrenza dell’elemento indicativo del dolo non viene affermata sulla base della stigmatizzazione negativa della legittima scelta dell’imputato di tacere, ma sulla base del fatto oggettivo che lo stesso non ha ritenuto di dare alcuna spiegazione in ordine alle circostanze e alle modalità nelle quali e con le quali ebbe ricevere la cosa provento di delitto (Cass. Sez. 2, n. 35176/07; Sez. 2, n. 15757/03; Sez. 2, n. 1176/03).

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2014

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