Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-09-2012, n. 15009

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Svolgimento del processo
1.- Con sentenza del Tribunale di Firenze era accolta la domanda di L.P. intesa a dichiarare nullo il termine apposto all’assunzione alle dipendenze xxx s.p.a. a decorrere dal 22.10.98 per far fronte ad "esigenze eccezionali" di servizio, ai sensi dell’art 8 del ccnl 26.11.94, come integrato dall’accordo sindacale 25.09.97.
2.- Accolta la domanda e proposto appello da xxx s.p.a., la Corte d’appello di Firenze con sentenza del 23.01.07 rigettava l’impugnazione rilevando che – nell’ambito del sistema della L. n. 56 del 1987, art. 23, che aveva delegato le oo.ss. a individuare nuove ipotesi di assunzione a termine con la contrattazione collettiva – le assunzioni a termine motivate dalla necessiti di far fronte ad esigenze eccezionali erano ammesse fino al 30.5.98, data fissata dalle parti collettive con gli accordi 16.1.98 e 27.4.98, per cui il termine apposto al contratto de quo, decorrente dal 22.10.98, era da ritenere illegittimo.
3.- Avverso queste sentenza xxx s.p.a. proponeva ricorso per cassazione, cui L. rispondeva con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio ha disposto la stesura di motivazione semplificata.
Motivi della decisione
4.- I motivi del ricorso possono essere riassunti come segue.
4.1.- Con i primi due motivi la soc. xxx deduce violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 c.c., e segg., nonchè carenza di motivazione, sotto un duplice profilo: in quanto detto art. 23, non ha posto alcun vincolo oggettivo alle causali di fonte collettiva e, in particolare, consente di individuare in astratto le condizioni per il ricorso alle assunzioni a termine, senza prefigurazione di alcuna limitazione temporale.
4.2.- Con il terzo motivo è dedotto error in procedendo e violazione degli artt. 421 e 437 c.p.c., in quanto il giudice di appello, pur riconoscendo che la ristrutturazione aziendale era in atto, ha considerato la prova richiesta insufficiente a provare il nesso causale tra esigenza concreta ed assunzione, omettendo di attivare i suoi poteri officiosi.
4.3.- Con il quarto motivo xxx censura le statuizioni in tema economico che assume adottate dal giudice, contestando l’accoglimento della richiesta di risarcimento in quanto controparte non avrebbe dato prova del danno subito. In ogni caso, lo stesso giudice avrebbe errato a rapportare il risarcimento all’importo delle retribuzioni non percepite e a non sottrarre dallo stesso l’aliunde perceptum.
5.- Procedendo a trattazione congiunta del primo, secondo e terzo motivo, va rilevato che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva l’individuazione di nuove ipotesi di apposizione del termine al rapporto di lavoro, configura una delega in bianco a favore dei sindacati, i quali non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine omologhe a quelle previste per legge (S.u. 2.3.06 n. 4588). Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento agli accordi attuativi sottoscritti lo stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano voluto riconoscere la sussistenza – dapprima fino al 31.1.98 e poi (in base al secondo accordo) fino al 30.4.98 – della situazione di fatto integrante le esigente eccezionali menzionate da detto accordo integrativo. Per far fronte a tali esigenze l’impresa poteva dunque procedere ad assunzione di personale con contratto tempo determinato fino al 30.4.98, di modo che debbono ritenersi privi di presupposto normativo i contratti a termine stipulati successivamente.
In altre parole, le parti collettive avevano raggiunto un’intesa priva di limite temporale ed avevano poi stipulato accordi attuativi che tale limite avevano posto, fissandolo inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98, per cui l’indicazione di quella causale nel contratto a termine avrebbe legittimato l’assunzione solo ove il contratto fosse scaduto in data non successiva al 30.4.98 (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378). I contratti scaduti (o comunque stipulati) al di fuori di tale limite temporale sono, dunque, illegittimi in quanto non rientranti nel complesso legislativo- negoziale costituito dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla normativa collettiva, che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962.
La giurisprudenza, nel ricostruire la volontà delle parti ha ritenuto altresì correttamente negata la rilevanza dell’accordo 18.1.01, essendo questo stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto all’accertamento della nullità si era già perfezionato.
Quando anche con quell’accordo le parti avessero voluto interpretare autenticamente i precedenti accordi, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (ormai scaduto in forza degli accordi attuativi), sarebbe stato violato il principio dell’indisponibilità del diritto dei lavoratori, dovendosi escludere che le parti collettive con lo strumento dell’interpretazione autentica avessero il potere di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi perchè adottati in violazione della durata in precedenza stabilita (v., per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).
6.- La sussistenza delle esigente eccezionali è stata dunque riconosciuta negozialmente dalle parti stipulanti nel periodo temporale fino al 30.4.98 e, conseguentemente, la legittimità dei contratti a termine stipulati entro tale data è basata su una ricognizione di fatto derivante direttamente dal sistema normativo nato dall’attuazione dell’art. 23, che esclude l’onere di xxx di dare prova di una specifica e concreta esigenza. Essendo stato il contratto a termine di L., oggetto della pronunzia impugnata, stipulato a decorrere dal giorno 22.10.98, i primi tre motivi sono infondati.
7.- E’ invece inammissibile il quarto motivo.
La sentenza della Corte di appello sostiene, a proposito delle richieste economiche della lavoratrice, che: a) il danno è conseguenza diretta della cessazione del contratto per lo spirare del termine (indebitamente) apposto (pag. 12); b) la determinazione operata dal primo giudice in punto di decorrenza dell’obbligo risarcitorio non è stata impugnata da xxx, di modo che al riguardo si è formato giudicato interno (pag. 13); c) la questione dell’aliunde perceptum sarà oggetto del futuro giudizio sul quantum delle spettanze retributive, avendo l’interessata proposto al riguardo solo una domanda generica (pag. 11).
Nessuna di tali affermazioni è impugnata, essendosi la ricorrente dilungata nella trattazione di generiche questioni in materia di risarcimento del danno, senza nulla dedurre sui punti specifici trattati dal giudice. Il motivo per tale carente formulazione non è in grado di colpire il decisum del giudice di appello e, pertanto, va ritenuto inammissibile.
8.- xxx s.p.a. con la memoria sopra indicata, preso atto dell’intervento della L. 4 novembre 2010, n. 183 (c.d. collegato lavoro), ha chiesto alla Corte l’applicazione della disposizione dell’art. 32, comma 5, di detta legge, che fissa i criteri di quantificazione del risarcimento del danno nei casi di conversione del contratto a tempo determinato.
Non sussistendo un valido motivo di impugnazione in punto di liquidazione del risarcimento, non sussistono le condizioni processuali per l’ingresso nel presente giudizio di legittimità dell’invocato ius superventens e non si pone alcun problema di procedere a nuova liquidazione del risarcimento, che è questione ormai non più sub iudice.
9.- Il ricorso è, dunque, infondato e deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna xxx s.p.a. alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 50,00 (cinquanta) per esborsi ed in Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2012

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