Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-09-2012, n. 15003

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Rilevato che:
1. La Corte d’appello di Torino ha confermato la sentenza di prime cure che aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro – protrattosi dal 27 marzo 2000 al 30 giugno 2000 – stipulato da xxx s.p.a. con G.R..
2. Per la cassazione di tale sentenza xxx s.p.a. ha proposto ricorso illustrato da memoria; la lavoratrice è rimasta intimata.
3. Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.
4. Come si evince dalla sentenza impugnata la lavoratrice è stata assunta con contratto a termine (con la decorrenza sopra indicata) stipulato a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane.
5. La Corte di merito ha ritenuto l’illegittimità del termine apposto al suddetto contratto sul presupposto che, anche nelle ipotesi, come quella in esame, individuate dai contratti collettivi a norma della L. n. 56 del 1987, art. 23, sia necessario che l’apposizione del termine sia giustificata da eccezionali e specifiche esigenze, connesse al processo di ristrutturazione e concretamente riferibili alla singola assunzione e che tali presupposti siano allegati e provati; rilevato che nel caso di specie la società xxx non aveva provato la riconducibilità della singola assunzione a siffatte esigenze, ha concluso per l’illegittimità del termine.
6. La suddetta impostazione è stata censurata dalla società ricorrente con il primo motivo, col quale viene denunciata violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 cod. civ., e segg., in relazione all’interpretazione della disciplina collettiva applicabile alla fattispecie.
7. La censura è infondata e deve essere pertanto rigettata, anche se la motivazione della sentenza merita di essere parzialmente corretta ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., u.c.; ed infatti la decisione, nella parte in cui ha affermato l’illegittimità del termine apposto al suddetto contratto, deve ritenersi conforme a diritto anche se la motivazione della sentenza deve ritenersi parzialmente erronea.
8. In base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001), assume rilievo decisivo, ai fini della statuizione sull’illegittimità del termine, la circostanza, che ricorre, nel caso di specie, che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998. Ed infatti, sulla scia di Cass. SU. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962 discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063;
cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato" (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.
fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).
9. Col secondo motivo la società ricorrente censura (denunciando violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, art. 1362 c.c., comma 2, art. 2697 cod. civ., dell’art. 115 cod. proc. civ. e vizio di motivazione) l’omessa pronuncia, da parte della sentenza impugnata, in ordine all’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso.
10. Il motivo è inammissibile. Secondo l’insegnamento di questa Corte (Cass. 27 gennaio 2006 n. 1755) l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio – risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3 o del vizio di motivazione ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo errar in procedendo – ovvero della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 4 -la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello. La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro ex actis dell’assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo.
11. Il ricorso deve essere in definitiva rigettato.
12. Nulla deve essere disposto in materia di spese legali concernenti il giudizio di cassazione atteso il mancato svolgimento di attività processuale da parte della lavoratrice, rimasta intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2012

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