Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-09-2012, n. 14999

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Svolgimento del processo
1. P.V., dipendente del comune di xxx (CO), conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Como il Comune chiedendo che fosse accertato il suo diritto al rispetto dell’orario fissato nel contratto 24/11/2004, modificato con comunicazione 7/12/2005 unilateralmente dal Comune, nonchè, la illegittimità di due sanzioni disciplinari di sospensione dal lavoro, una di cinque mesi irrogata in data 8 marzo 2006 e l’altra di 10 giorni irrogata in data 3 marzo 2006, ma riferita a fatti successivi a quelli che avevano determinato la sanzione di cinque mesi. Lamentava inoltre comportamenti vessatori tenuti nei suoi confronti; di conseguenza, chiedeva di essere risarcita dei danni per essere stata violata la sua riservatezza e per il mobbing. Pronunciandosi nel contraddittorio delle parti il Tribunale di Como con sentenza parziale n. 410 del 1 dicembre 2006 e sentenza definitiva n. 31 del 2 febbraio 2007 dichiarava la nullità della sanzione disciplinare di cinque mesi di sospensione e riduceva quella di 10 giorni ad un solo giorno; rigettava le altre domande di natura risarcitoria nonchè la declaratoria di illegittimità della modifica unilaterale dell’orario di lavoro part – time.
1.1. Con altro ricorso, P.V. conveniva in giudizio lo stesso Comune di xxx innanzi al Tribunale di Como chiedendo che fosse accertata la illegittimità della sospensione disciplinare del 21 luglio 2006 e del licenziamento con preavviso del 2 novembre 2006.
Pronunciandosi nel contraddittorio tra le parti il Tribunale di Como con sentenza n. 302 del 22 ottobre 2007 dichiarava illegittima la sanzione disciplinare di sei mesi di sospensione, ma rigettava l’impugnativa del licenziamento che riteneva legittimo.
2. Con ricorso del 20/12/2007 P.V. appellava la sentenza parziale n. 410/2006 e la definitiva 31/2007 del Tribunale di Como chiedendo che fosse accertato il suo diritto al rispetto dell’orario fissato nel contratto del 24/11/2004, modificato unilateralmente dal Comune con comunicazione del 7/12/2005, nonchè, la illegittimità della sospensione di dieci giorni disposta il 3/3/2006, già ridotta ad un giorno dal primo giudice e dei comportamenti vessatori tenuti nei suoi confronti.
Si costituiva il Comune chiedendo il rigetto dell’appello; appellava, in via incidentale, le sentenze chiedendo che fossero dichiarate legittime le sanzioni.
2.1. Con altro ricorso, depositato in data 10/3/2008 P. V. proponeva appello dinanzi alla Corte di Appello di Milano, nei confronti del Comune di xxx chiedendo che, in riforma parziale della sent. n. 302/07 del Tribunale di Como, fosse accertata la illegittimità della sospensione disciplinare e del licenziamento con preavviso del 2/11/2006.
Si costituiva il Comune resistendo all’appello.
3. La Corte d’appello di Milano riuniva i giudizi e li decideva con sentenza 11 novembre 2009 – 4 dicembre 2009.
Quanto al primo giudizio, relativo alla sanzione della sospensione per 10 giorni e al prospettato mobbing, la corte d’appello, in parziale riforma delle sentenze n. 31/07 e 410/06 del tribunale di Como, dichiarava illegittimo il mutamento dell’orario di lavoro disposto unilateralmente dal Comune in data 24/11/2004 e dichiarava parimenti illegittima la sanzione notificata il 29/3/2006 e, di conseguenza, condannava il Comune a corrispondere la retribuzione trattenuta per il periodo di sanzione annullata; confermava nel resto le sentenze impugnate.
Quanto al secondo giudizio, relativo alla sospensione dal servizio per sei mesi e all’intimato licenziamento, la Corte d’appello confermava la sentenza n. 302/2007, dando atto che la sanzione del 21/7/2006 era stata erroneamente indicata come irrogata il 6/6/2006.
Dichiarava compensate tra le parti le spese del grado.
4. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione l’originaria ricorrente. Resiste con controricorso la parte intimata che ha proposto anche ricorso incidentale.
La ricorrente principale ha proposto controricorso al ricorso incidentale.
All’odierna udienza la causa veniva decisa come da dispositivo infra trascritto.
Il collegio autorizzava la motivazione semplificata della sentenza.
Motivi della decisione
1. Con il ricorso principale, articolato in 12 motivi, la ricorrente censura sotto più profili la sentenza impugnata. Denuncia in particolare la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 3, comma 3, sostenendo che il rifiuto condizionato del dipendente con un contratto di lavoro part-time di svolgere un’attività supplementare estranea o straordinaria al di fuori del suo orario di lavoro non integra – come erroneamente ritenuto dalla corte d’appello – gli estremi del giustificato motivo di licenziamento.
Lamenta poi, sotto vari profili, la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, per avere il datore di lavoro utilizzato nella determinazione della sanzione disciplinare fatti e documenti formati successivamente alla contestazione di addebito e alla audizione della dipendente e di cui la medesimo nulla aveva mai conosciuto. Sostiene che il presunto fatto illecito rimane cristallizzato dalla contestazione dell’addebito e non può essere successivamente meglio definito nell’ambito del giudizio di impugnazione della sanzione.
2. Il ricorso incidentale del Comune è articolato in tre motivi con cui il Comune chiede annullarsi la sentenza impugnata nella parte in cui ha accertato la illegittimità della modifica dell’orario di lavoro ed ha annullato le sanzioni disciplinari del 29 marzo 2006, dell’8 marzo 2006 e del 21 luglio 2006.
3. I due giudizi, promossi con ricorso principale e con quello incidentale, vanno riuniti avendo ad oggetto la stessa pronuncia impugnata.
4. La controversia ha ad oggetto innanzi tutto la contestata modifica unilaterale, da parte del Comune, dell’orario di lavoro della ricorrente, assunta con orario part – time. Poi investe le tre sanzioni disciplinari intimate alla dipendente (dell’8 marzo 2006 per cinque mesi e del 3 marzo 2006 per 10 giorni, oggetto dei primo giudizio, e del 21 marzo 2006 per sei mesi, oggetto del secondo giudizio). In particolare la prima sanzione riguardava lo svolgimento di attività lavorativa senza autorizzazione ed in periodo di malattia; la seconda sanzione riguardava il mancato assenso alla modifica dell’orario di lavoro; la terza sanzione riguardava l’illegittimo accesso nell’ufficio di un dirigente. Inoltre la controversia concerne anche l'(asserito) mobbing dalla dipendente.
Infine la controversia ha ad oggetto il licenziamento disciplinare in data 1 dicembre 2006 che si fonda sulla contestazione di una serie di inadempienze nell’attività della ricorrente come bibliotecaria.
I motivi del ricorso principale e di quello incidentale si appuntano – hic et inde – su questi plurimi oggetti del contendere.
4.1. Quanto alla variazione di orario e alla connessa sanzione del 3 marzo 2006 (10 giorni di sospensione), l’impugnata sentenza, favorevole alla dipendente, è corretta stante l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte in ordine alle cosiddette clausole elastiche. Cfr. Cass. civ., sez. lav., 23 gennaio 2009, n. 1721, che ha affermato che le c.d. clausole elastiche, che consentono al datore di lavoro di richiedere "a comando" la prestazione lavorativa dedotta in un contratto part – time, sono illegittime, atteso che l’esigenza della previa pattuizione bilaterale della riduzione di orario comporta – stante la ratio della L. n. 863 del 1984, art. 5 – che, se le parti concordano per un orario giornaliero inferiore a quello ordinario, di tale orario debba essere determinata la collocazione nell’arco della giornata e che, se parimenti le parti convengono che l’attività lavorativa debba svolgersi solo in alcuni giorni della settimana o dei mese, anche la distribuzione di tali giornate lavorative sia previamente stabilita; dall’accertata illegittimità di tali clausole non consegue l’invalidità del contratto part – time, nè la trasformazione in contratto a tempo indeterminato, ma solo l’integrazione del trattamento economico (ex art. 36 Cost. e art. 2099 c.c., comma 2), atteso che la disponibilità alla chiamata del datore di lavoro, di fatto richiesta al lavoratore, pur non potendo essere equiparata a lavoro effettivo, deve comunque trovare adeguato compenso, tenendo conto della maggiore penosità ed onerosità che di fatto viene ad assumere la prestazione lavorativa per la messa a disposizione delle energie lavorative per un tempo maggiore di quello effettivamente lavorato. Da ciò si desume anche l’illegittimità – correttamente ritenuta dalla Corte d’appello – della modifica unilaterale dell’orario (part – time) di lavoro ad opera del datore di lavoro.
Ulteriore conseguenza è l’illegittimità della sanzione irrogata alla ricorrente in ragione del rifiuto nel nuovo orario di lavoro, come modificato unilateralmente dal Comune.
4.2. Anche con riferimento alla sospensione dell’8 marzo 2006 (cinque mesi di sospensione) l’impugnata sentenza, favorevole alla dipendente, è corretta. Con valutazione di merito, sufficientemente motivata ed immune da vizi di contraddittorietà, la Corte d’appello ha ritenuto sproporzionata la sanzione disciplinare in relazione alla addebito (mancata richiesta di autorizzazione alla prestazione di altra attività lavorativa al di fuori del rapporto di impiego con il Comune) che non risultava grave soprattutto sotto il profilo della accertata mancanza di intenzionalità.
4.3. Parimenti con riferimento alla sanzione del 21 luglio 2006 (sei mesi di sospensione) la sentenza, favorevole alla dipendente, è corretta. Anche in tal caso la Corte d’appello, con valutazione di merito, ha ritenuto sproporzionata la sanzione rispetto all’addebito contestato (essere entrata nell’ufficio del segretario comunale);
fatto questo di lieve entità anche perchè la dipendente era solito farlo abitualmente per cercare atti e provvedimenti in assenza del segretario comunale, così come facevano altri dipendenti.
4.4. Quanto al licenziamento la Corte d’appello individua plurimi profili di negligenza della lavoratrice pervenendo al convincimento, in sintonia con la valutazione del giudice di primo grado, della sussistenza del giustificato motivo soggettivo di recesso. La Corte d’appello ha ritenuto, con valutazione in fatto, che la dipendente, a fronte della delibera del Comune di aprire il servizio della biblioteca anche nella giornata del sabato, ha risposto con comportamenti negligenti, non collaborativi, ripetutamente inadempienti, idonei a far venir meno la fiducia del datore di lavoro nella corretta esecuzione degli obblighi di servizio.
In particolare, la Corte d’appello ha evidenziato che risultava provato che la P.: ha partecipato ai corsi di formazione solo per 3 ore il 25/5/2006, assentandosi per gli altri incontri; nel periodo di lavoro ha dato luogo ad una serie di disfunzioni del servizio; ha violato gli artt. 17 e 18 del regolamento di catalogazione dei documenti; non ha comunicato i dati statistici richiesti dalla responsabile del sistema bibliotecario; ha gestito in modo disordinato i locali, gli spazi e il patrimonio librario della biblioteca; non ha comunicato la seconda password inserita nel computer, impedendo durante la sua assenza l’uso del computer.
I comportamenti contestati – secondo la Corte d’appello – denotano evidente intenzionalità e costituiscono gravi inadempimenti per le responsabilità connesse alla posizione occupata, nonchè per il danno che il disservizio ha provocato alla funzionalità e all’immagine del Comune. Tali comportamenti della P. non erano giustificati dalla pretesa del Comune di variare l’orario in conseguenza della legittima decisione di aprire la biblioteca al pubblico anche nella giornata del sabato; la lavoratrice, infatti, avrebbe potuto rifiutare motivatamente la prestazione per quel giorno o accettandola, come ha fatto, chiedere l’accertamento della sua illegittimità, sempre continuando a rispettare gli essenziali obblighi relativi alla sua posizione di lavoro.
4.5. Corretta è la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha escluso la violazione della normativa sulla privacy essendosi il Comune limitato a rispondere ad un’esigenza di informazione ai cittadini sulla natura del disservizio della biblioteca in ragione dell’assenza per malattia della P..
4.6. Con valutazione di merito, non censurabile in sede di legittimità, la Corte d’appello ha anche escluso che risultassero provati i comportamenti di mobbing, non avendo avuto carattere vessatorio il necessario controllo da parte del Comune dell’osservanza degli obblighi nascenti dal rapporto d’impiego.
5. Nel complesso, essendo la sentenza impugnata sotto ogni aspetto corretta, il ricorso principale e quello incidentale vanno rigettati.
La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 13 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2012

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