Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-09-2012, n. 14997

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Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata depositata in data 27-3-2009, la Corte d’Appello di Cagliari, sez. dist. di Sassari, riformando la sentenza del Tribunale di Tempio Pausania n. 172/2008, dichiarava la intercorrenza tra I.R. e xxx s.p.a. di un rapporto a tempo indeterminato fin dal 1-8-1992 e per l’effetto condannava la società al pagamento della somma di Euro 10.730,00 pari al valore delle azioni della società cedute gratuitamente agli assistenti di volo in servizio nell’anno 1999 (comprensiva di accessori fino alla data della sentenza) oltre rivalutazione e interessi per il periodo successivo fino al pagamento; dichiarava, inoltre, che lo I. aveva diritto agli scatti di anzianità, da conteggiarsi tenendosi esclusivamente conto dei periodi di prestazione lavorativa effettuata, e condannava la società al pagamento degli scatti successivamente al 30-5-2000, con rivalutazione ed interessi; il tutto oltre alla rifusione delle spese di entrambi i gradi.
In sintesi la Corte territoriale riteneva la ammissibilità dell’appello e, contrariamente al primo giudice, la validità del ricorso introduttivo di primo grado.
Nel merito, la Corte, atteso che lo I. aveva lamentato sia il mancato rispetto del vincolo di forma sia l’illegittimità del termine e considerato che la serie di contratti a termine allegata non era stata contestata dalla società, rilevava che incombeva su quest’ultima la prova che i contratti erano stati conclusi per iscritto e che il termine era stato legittimamente apposto, con conseguente onere innanzitutto di produrre tutti i contratti susseguitisi nel tempo.
Non avendo la xxx assolto a tale onere, per la mancata dimostrazione della forma scritta il rapporto di lavoro era da reputare a tempo indeterminato fin dal primo contratto a termine.
La Corte d’Appello, inoltre, escludeva il diritto alla retribuzione negli intervalli non lavorati, in mancanza un atto di messa in mora ovvero di offerta della prestazione, non essendo all’uopo sufficiente la mera disponibilità di fatto del lavoratore e negava altresì il diritto al risarcimento del danno esistenziale, non configurabile nella fattispecie.
Circa, poi, la richiesta relativa all’assegnazione di azioni della società, in virtù del verbale del C.d.a. di xxx del 1999, la Corte rilevava che, trattandosi di elargizione una tantum, soggetta alla prescrizione ordinaria decennale, la società andava condannata al risarcimento del danno, corrispondente al valore delle azioni, come determinato sulla scorta dell’accordo tra le parti.
Quanto alla ricostruzione della carriera la Corte di merito affermava che andava computata l’anzianità lavorativa e retributiva, connessa all’accertamento del rapporto a tempo indeterminato, limitatamente a tutti i periodi lavorati, da sommarsi a quelli successivi alla formale assunzione a tempo indeterminato, con il riconoscimento dei conseguenti scatti di anzianità, tenuto conto della prescrizione delle pretese tutte anteriori al 30-5-2000, e con la relativa condanna generica della società.
Per la cassazione di tale sentenza lo I. ha proposto ricorso con sedici motivi.
La xxx s.p.a. ha resistito con controricorso.
La causa, quindi, è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione della Corte Costituzionale sull’ordinanza di rimessione di questa Corte n. 2112/2011, relativa allo ius superveniens, costituito della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7.
Infine la xxx s.p.a. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Con i primi sei motivi lo I. censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha rigettato le domande ("retribuzioni, anzianità e scatti") relative agli intervalli tra i vari rapporti a termine, deducendo in specie:
con il primo motivo la contraddittorietà tra l’accertamento della mancanza di una messa in mora e la successiva affermazione secondo cui la lavoratrice si era in sostanza tenuta a disposizione della compagnia, il tutto senza nemmeno dar luogo alle prove richieste in ordine ai ripetuti inviti e solleciti rivolti alla società al fine di proseguire comunque, anche a termine, l’attività lavorativa;
con il secondo motivo la effettività e sufficienza nella fattispecie dell’offerta informale delle prestazioni lavorative nelle circostanze di fatto allegate e non specificamente contestate dalla società, sulle quali peraltro non sono state ammesse le prove richieste e neppure sono stati esercitati i poteri istruttori d’ufficio;
con il terzo motivo, in particolare la omessa motivazione sulle specifiche circostanze della conservazione del libretto di lavoro da parte della società anche durante gli intervalli non lavorati, del fatto che gli assistenti di volo a tempo determinato restavano a disposizione della società e della esistenza di una lista che la compagnia utilizzava per decidere il "turn over" dei detti assistenti di voto, elementi tutti rilevanti al fine di ritenere la compagnia stessa in sostanza costituita in mora;
con il quarto motivo, comunque, la non necessità di un atto di messa in mora, essendo i vari termini apposti ai contratti "in frode alla legge", e non potendo, perciò, ravvisarsi una sospensione concordata del rapporto;
con il quinto motivo la illegittimità della mancata ammissione dei mezzi di prova e la mancata valutazione in relazione alle citate circostanze della trattenuta da parte della compagnia del libretto di lavoro e della utilizzazione della lista del "turn over", nonchè a quelle della conservazione da parte degli assistenti di volo a termine delle divise, dei tesserini identificativi e dei manuali operativi, anche duranti gli intervalli dei vari contratti a termine succedutisi per lungo tempo;
con il sesto motivo la omessa motivazione per non aver la sentenza impugnata considerato "che nessuna costituzione in mora era necessaria perlomeno dal 1995 dal momento che la ricorrente aveva dedotto che la xxx aveva stipulato un accordo con le 00 SS che prevedeva la sua assunzione a tempo indeterminato tra il mese di giugno ed il mese di ottobre 1995 e che l’azienda non aveva adempiuto tale accordo;
Con i successivi motivi, dal settimo al quattordicesimo, lo I. censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto coperte da prescrizione (quinquennale) tutte le differenze retributive dovute in virtù dell’anzianità e degli scatti come riconosciuti dalla stessa sentenza, antecedentemente al 30-5-2000, deducendo in specie:
con il settimo motivo la inesistenza dell’eccezione di prescrizione per la nullità delle procure di primo e secondo grado, rilasciate da soggetto in capo al quale non è stato dimostrato il potere di rappresentanza sostanziale della società;
con l’ottavo motivo, comunque, la genericità e inammissibilità della formulazione dell’eccezione di prescrizione, senza specificazione alcuna da parte della società;
con il nono motivo la imprescrittibilità dell’azione di nullità dei rapporti a termine e dei crediti conseguenti in esame e, in subordine, la natura comunque risarcitoria dei detti crediti;
con il decimo motivo la non decorrenza di alcuna prescrizione, riguardo ai crediti conoscibili, nemmeno negli intervalli tra un rapporto e l’altro, almeno finchè il lavoratore non sia più soggetto al metus di non essere più chiamato per un ulteriore rapporto a termine, e riguardo ai crediti non conoscibili, perchè conseguenti alla declaratoria di nullità dei rapporti a termine, almeno fino alla sentenza che dichiara tale nullità o, al più, finchè il lavoratore non deduca tale nullità dimostrandone la consapevolezza;
con l’undicesimo motivo la omessa motivazione sullo stesso punto in specie con riferimento alla distinzione tra crediti conoscibili e non conoscibili;
con il dodicesimo motivo la contraddittorietà della motivazione riguardo alla (erronea) applicazione di un criterio di decorrenza e sospensione della prescrizione, previsto per la diversa ipotesi della successione di contratti a termine "ciascuno dei quali legittimo ed efficace" (v. Cass. 16-1-2003 n. 575);
con il tredicesimo motivo la mancata prova dell’elemento dimensionale per l’applicabilità della tutela reale, ai fini della decorrenza della prescrizione;
con il quattordicesimo motivo, in subordine, la erroneità della sentenza impugnata nei capi in cui "ha identificato la data di interruzione della prescrizione nel maggio 2006 e non ne febbraio 2006" ed ha determinato conseguentemente nel maggio 2000 il limite di prescrizione dei crediti.
I due ultimi motivi si riferiscono alle domande relative alla ricostruzione della carriera anche previdenziale, in base all’anzianità come riconosciuta.
In particolare con il quindicesimo motivo lo I. lamenta omessa pronuncia in merito, avendo la Corte territoriale provveduto espressamente soltanto con riferimento agli scatti di anzianità, e con il sedicesimo motivo si duole della mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dell’INPS e, comunque, della mancata condanna della xxx al pagamento del risarcimento del danno da omissione contributiva.
Preliminarmente, con riguardo al settimo motivo, relativo all’eccezione (avanzata in questa sede) di nullità delle rispettive procure, di primo e secondo grado, rilasciate ai difensori della società in asserita carenza del potere di rappresentanza sostanziale, va rilevato che "in tema di rappresentanza delle persone giuridiche, solo in presenza di contestazioni circa la qualità di rappresentante sostanziale in capo al procuratore speciale che abbia sottoscritto la procura alle liti incombe, sulla parte rappresentata, l’onere della prova dei poteri rappresentativi spesi in ordine al rapporto dedotto in giudizio; ne consegue che, in difetto di tale contestazione, l’allegazione dei suddetti poteri è sufficiente ai fini della valida nomina dei difensori" (v. Cass. 28-9-2011 n. 19824.
cfr. Cass. S.U. 1-10-2007 n. 20596). Del resto, come pure è stato precisato, "in sede di legittimità non è consentita la proposizione di nuove questioni di diritto ancorchè rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio quando esse presuppongano o comunque richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto (esame di documenti che non risultano già acquisiti al processo) preclusi alla Corte di cassazione, salvo che nelle particolari ipotesi previste dall’art. 372 cod. proc. civ., tra le quali quella relativa alla nullità della sentenza deve essere riferita esclusivamente alla nullità che inficia direttamente il provvedimento in sè e non già anche quella che sia effetto di altra nullità che riguardi il procedimento" (come la nullità della procura rilasciata in sede di merito) (v. Cass. 23-12-1998 n. 12843, Cass. 22-3-2001 n. 4163. Cass. 20-11-2002 n. 16331, Cass. 8-5-2006 n. 10437).
Con riferimento, poi, agli altri motivi, osserva innanzitutto il Collegio che sulle conseguenze economiche derivanti dalla nullità del termine apposto ai contratti di lavoro e sul risarcimento dei danni in questione è intervenuto, lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 i quali dispongono che: "5. Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra uni minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8.
6. In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupali con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà.
7. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l’eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell’art. 421 c.p.c.".
Tale disciplina, applicabile a tutti i giudizi pendenti, anche in grado di legittimità (sul punto v, già Cass. Ord. 28-1-2011 n. 2112), come è stato affermato da questa Corte (v. Cass. 31-1-2012 n. 1409, Cass. 31-1-2012 n. 1411), alla luce della sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 303 del 2011, è fondata sulla ratio legis diretta ad "introdurre un criterio di liquidazione del danno di più agevole, certa ed omogenea applicazione", rispetto alle "obiettive incertezze verificatesi nell’esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo la legislazione previgente". La norma, che "non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto, assicura a quest’ultimo l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato", in base ad una "interpretazione costituzionalmente orientata" va intesa nel senso che "il danno forfetizzato dall’indennità in esame copre soltanto il periodo cosiddetto "intermedio", quello, cioè, che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara la conversione del rapporto", con la conseguenza che a partire da tale sentenza "è da ritenere che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva" (altrimenti risultando "completamente svuotata" la "tutela fondamentale della conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato").
Nel contempo, sempre alla luce della citata pronuncia della Corte Costituzionale, "il nuovo regime risarcitorio non ammette la detrazione dell’aliunde perceptum. Sicchè l’indennità onnicomprensiva assume una chiara valenza sanzionatoria. Essa è dovuta in ogni caso, al limite anche in mancanza di danno, per il avere il lavoratore prontamente reperito un’altra occupazione".
In definitiva la norma in oggetto, come affermato dal Giudice delle leggi, risulta "adeguata a realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi". Infatti "al lavoratore garantisce la conversione del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, unitamente ad un’indennità che gli è dovuta sempre e comunque, senza necessità nè dell’offerta della prestazione, nè di oneri probatori di sorta. Al datore di lavoro, per altro verso, assicura la predeterminazione del risarcimento del danno dovuto per il periodo che intercorre dalla data d’interruzione del rapporto fino a quella dell’accertamento giudiziale del diritto del lavoratore al riconoscimento della durata indeterminata di esso.
Ma non oltre, pena la vanificazione della statuizione giudiziale impositiva di un rapporto di lavoro sine die".
Peraltro la Corte Costituzionale (richiamando le proprie pronunce – sent. n. 298/2009, 86/2008, 282/2007, 354/2006, ord. n. 102/2011, 109/2010, e 125/208 -) ha escluso "che inconvenienti solo eventuali e di mero fatto, che non dipendono da una sperequazione voluta dalla legge, ma da situazioni occasionali e talora patologiche (come l’eccessiva durata dei processi in alcuni uffici giudiziari)" possano rilevare ai fini del giudizio di legittimità costituzionale. Del resto circa le "presunte disparità di trattamento ricollegabili al momento del riconoscimento in giudizio del diritto del lavoratore illegittimamente assunto a termine" la Corte Costituzionale ha rilevato non solo che "il processo è neutro rispetto alla tutela offerta", ma anche che "l’ordinamento predispone particolari rimedi, come quello cautelare, intesi ad evitare che il protrarsi del giudizio vada a scapito delle ragioni del lavoratore (sentenza n. 144 del 1998), nonchè gli specifici meccanismi riparatori contro la durata irragionevole delle controversie di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89".
Inoltre, la stessa Corte ha evidenziato che "la garanzia economica in questione non è nè rigida, nè uniforme" e, "anche attraverso il ricorso ai criteri indicati dalla L. n. 604 del 1966, art. 8 consente di calibrare l’importo dell’indennità da liquidare in relazione alle peculiarità delle singole vicende, come la durata del contratto a tempo determinato (evocata dal criterio dell’anzianità lavorativa), la gravità della violazione e la tempestività della reazione del lavoratore (sussumibili sotto l’indicatore del comportamento delle parti), lo sfruttamento di occasioni di lavoro (e di guadagno) altrimenti inattingibili in caso di prosecuzione del rapporto (riconducibile al parametro delle condizioni delle parti), nonchè le stesse dimensioni dell’impresa (immediatamente misurabili attraverso il numero dei dipendenti".
A tale interpretazione adeguatrice, indicata (con sentenza interpretativa di rigetto) dal Giudice delle leggi come conforme a Costituzione, con riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102, 111 Cost. e art. 117 Cost. comma 1 della stessa, questa Corte, condividendo le argomentazioni sulla rado della norma e sullo sviluppo dell’operazione ermeneutica, ha aderito, non ravvisando nel contempo una diversa interpretazione che sia parimenti non solo rispettosa della Costituzione ma anche del tutto conforme alla lettera e alla ratio della norma stessa (cfr. Cass. 9-1-2004 n. 166, Cass. 26-1-2010 n. 1581).
Così intesa, infatti, in sostanza, come una sorta di penale stabilita dalla legge – in stretta connessione funzionale con la declaratoria di conversione del rapporto di lavoro – a carico del datore di lavoro per la nullità del termine apposto al contratto di lavoro e determinata dal giudice nei limiti e con i criteri dettati dalla legge, a prescindere sia dall’esistenza del danno effettivamente subito dal lavoratore (e da ogni onere probatorio al riguardo) sia dalla messa in mora del datore di lavoro, con carattere "forfetizzato", "onnicomprensivo" di ogni danno subito per effetto della nullità del termine, nel periodo che va dalla scadenza dello stesso fino alla sentenza che ne accerta la nullità e dichiara la conversione del rapporto, la indennità in esame appare non solo conforme alla Costituzione (ai sensi di C. Cost. 303/2011), bensì anche pienamente rispondente alla lettera e allo spirito della legge.
In tali sensi (v. Cass. 29-2-2012 n. 3056) è stato quindi affermato il seguente principio che va qui ribadito: "in tema di risarcimento del danno per i casi di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato, lo "ius superveniens" L. n. 183 del 2010, ex art. 32, commi 5, 6 e 7, (applicabile nel giudizio pendente in grado di legittimità qualora pertinente alle questioni dedotte nel ricorso per cassazione) configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale "ex lege" a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo; pertanto, l’importo dell’indennità è liquidato dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dalla novella, a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore (senza riguardo, quindi, per l’eventuale "aliunde perceptum"), trattandosi di indennità "forfetizzata" e "onnicomprensiva" per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto "intermedio" (dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione)".
Tale ius superveniens va applicato nel caso in esame, essendo questa Corte investita da validi e pertinenti motivi di ricorso concernenti l’entità del risarcimento dei danni.
In via di principio, infatti, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 1 0547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).
In tale quadro, infine, deve rilevarsi che, nelle more dei deposito della presente sentenza, è entrata in vigore la legge n. 92 del 28-6- 2012 (in G.U. n. 153 del 3-7-2012), che all’art. 1, comma 13, con chiara norma di interpretazione autentica (in senso conforme a quanto già affermato dalla Corte Costituzionale e da questa Corte di legittimità), ha così disposto: "La disposizione di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5 si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro".
Alla luce, pertanto, della nuova normativa, che va applicata nella fattispecie il ricorso va accolto, in parte e nei limiti del citato ius superveniens, fatta salva la verifica, da parte del giudice di rinvio dell’osservanza del principio del divieto di reformatio in peius, in quanto, nella fattispecie concreta, in assenza di un ricorso incidentale da parte della società, non può comunque scaturire a seguito della applicazione dello ius superveniens, una decisione più sfavorevole all’impugnante I. rispetto alla sentenza impugnata, con riguardo al risarcimento di tutti i danni conseguenti alla nullità del termine verificatisi nel periodo "intermedio" citato.
In particolare, sui primi sei motivi del ricorso principale osserva il Collegio che le relative censure risultano tutte ormai irrilevanti in base alla semplice considerazione che la nuova indennità "forfetizzata" e "onnicomprensiva" prescinde dalla costituzione in mora del datore di lavoro.
Lo stesso dicasi per tutte le censure di cui ai motivi dal settimo al quattordicesimo dello stesso ricorso principale riguardanti la prescrizione delle differenze retributive dovute per "anzianità e scatti", incentrate tutte sul regime risarcitorio pregresso, ormai sostituito dalla detta indennità "forfetizzata" e "onnicomprensiva", che "copre" tutti i danni causati dalla nullità del termine nel periodo che va dalla scadenza dello stesso alla sentenza (nella specie di appello) di conversione del rapporto a tempo indeterminato ab origine.
Del resto, la detta indennità costituisce un nuovo e diverso diritto che, seppure collegato alla nullità del termine di per sè imprescrittibile, è sì soggetto a prescrizione, ma per la sua natura "forfetizzata" e "onnicomprensiva" non è di certo assoggettabile alla prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948 c.c., n. 4, e neppure a quelle di cui all’art. 2955 c.c., n. 2 e art. 2956 c.c., n. 1.
D’altra parte, in considerazione del "metus" del lavoratore nei confronti del datore di lavoro tipico dei rapporti senza stabilità, che non può essere valutato in base alla successiva declaratoria, pur retroattiva, di nullità del termine e di conversione del rapporto a tempo indeterminato, se durante la successione dei contratti a termine non è configurarle un decorso della prescrizione dei diritti derivanti dalla detta conversione (v. Cass. 13-8-1997 n. 7565, Cass. 3-10-2000 n. 13122, Cass. 17-3-2001 n. 3869), tanto più ciò va affermato con riferimento alla nuova indennità "forfetizzata" e "onnicomprensiva" (fatto salvo l’accertamento della cessazione di tale situazione, nella specie avvenuta con l’assunzione a tempo indeterminato).
Con riguardo, poi, al quindicesimo motivo va rilevato che il M. non ha specificato in alcun modo quali siano le differenze retributive conseguenti all’anzianità, ulteriori rispetto agli scatti, che sarebbero state trascurate dalla Corte di merito.
Peraltro legittimamente la sentenza impugnata ha considerato nella anzianità lavorativa e retributiva "tutti i periodi effettivamente lavorati, da sommarsi a quelli successivi alla formale assunzione a tempo indeterminato", in ragione del principio ripetutamente affermato da questa Corte (v. Cass. S.U. 5-3-19991 n. 2334 e succ), secondo cui "nel caso di trasformazione, in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, di più contratti a termine succedutisi fra le stesse parti, per effetto dell’illegittimità dell’apposizione del termine, o comunque dell’elusione delle disposizioni imperative della L. 18 aprile 1962, n. 230, gli "intervalli non lavorati" fra l’uno e l’altro rapporto, in difetto di un obbligo del lavoratore di continuare ad effettuare la propria prestazione o di tenersi disponibile per effettuarla, non implicano diritto alla retribuzione, in carenza di una deroga al principio generale secondo cui tale retribuzione postula la prestazione lavorativa, e nemmeno sono computabili come periodi di servizio, al fine del calcolo dell’indennità di anzianità, considerato che la suddetta riunificazione in un solo rapporto, operando "ex post", non tocca la mancanza di un effettivo servizio negli spazi temporali fra contratti a tempo determinato".
Tale principio, del resto, va tutt’ora affermato, non essendo stato scalfito minimamente dallo ius superveniens.
Per quanto riguarda, poi, in particolare gli scatti di anzianità va osservato che quelli maturati fino alla sentenza che ha dichiarato il rapporto a tempo indeterminato ab origine devono ritenersi compresi nella nuova indennità "onnicomprensiva".
Parimenti, attesa la natura "onnicomprensiva" della detta indennità, che costituisce un nuovo "unicum", previsto dal legislatore con effetto retroattivo, nell’ambito della verifica dell’osservanza del principio del divieto di reformatio in peius, demandata al giudice di rinvio, deve ritenersi che la stessa indennità, comprendendo tutti i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto "intermedio", non può che comprendere anche il risarcimento del danno conseguente alla mancata assegnazione delle azioni, come aziendalmente prevista per gli assistenti di volo dipendenti a tempo indeterminato nel 1999, trattandosi di danno comunque direttamente derivante dalla nullità del termine.
Ne consegue quindi che, allo I., nell’ambito della detta verifica, non potrà comunque essere riconosciuta, in base al nuovo regime, una somma inferiore a quanto complessivamente riconosciuto nel l’impugnata sentenza (pari ad Euro 10.730,00 per il valore delle azioni, oltre gli scatti di anzianità per i periodi di prestazione effettiva dal 30-5-2000 alla data della sentenza di appello).
Infine, con riferimento al sedicesimo motivo, va affermata la insussistenza, nella fattispecie, di un litisconsorzio necessario con il soggetto titolare del rapporto previdenziale, inerendo la causa al rapporto di lavoro, seppure anche come presupposto che condiziona il rapporto previdenziale (v. fra le altre Cass. 23-1-2003 n. 1013, Cass. 26-2-2004 n. 3941, Cass. 3-7-2004 n. 12213).
Circa, poi, il risarcimento del danno contributivo nei confronti del datore di lavoro, va rilevato che, per il citato periodo "intermedio", anch’esso è compreso nella indennità "forfetizzata" e "onnicomprensiva", che ristora anche le conseguenze "contributive" relative al detto periodo (in tal senso v. espressamente la norma interpretativa di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 13).
Pertanto il ricorso va accolto in parte e nei limiti di cui in motivazione in base allo ius superveniens, e l’impugnata sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla Corte di Appello di Cagliari in diversa composizione, la quale provvederà, come sopra indicato, ai sensi di quanto disposto dal citato L. n. 183 del 2010, art. 32.
P.Q.M.
La Corte accoglie in parte il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Cagliari in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 31 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2012

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