Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-10-2013) 09-12-2013, n. 49354

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Svolgimento del processo
1. Con ordinanza in data 12.11.2012 il Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, per quanto qui interessa, revocava, ai sensi dell’art. 673 c.p.p., la sentenza di condanna emessa nei confronti di T.R. dal Tribunale di Velletri il 4.4.2011 relativamente al reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, rilevando che, a seguito della direttiva 2008/115/CE, il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della repubblica presso il Tribunale di Roma denunciando la violazione di legge, atteso che direttiva 2008/115/CE non ha determinato la inapplicabilità della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, ed il rientro ingiustificato nel territorio dello stato entro cinque anni dall’espulsione configura il predetto reato.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato.
A norma dell’art. 673 c.p.p., comma 1, nel caso di abrogazione o dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice il giudice revoca la sentenza di condanna dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato ed adotta i provvedimenti conseguenti.
Tuttavia – come è stato già affermato da questa Corte – devono escludersi possibili ricadute sulla fattispecie in esame della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE e della sopravvenuta decisione della Corte di giustizia U.E., 28/04/2011, El Dridi, laddove ha affermato che ai giudici penali degli Stati della Unione spetta "disapplicare ogni disposizione del D.Lgs. n. 286 del 1998, contraria al risultato della direttiva 2008/115", tenendo anche "debito conto del principio della applicazione della retroattiva della legge più mite il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri".
Infatti, l’unico profilo di contrasto della fattispecie cui si riferisce la condanna con le disposizioni della direttiva rimpatri in astratto ipotizzabile è quello relativo alla durata del divieto di reingresso alla luce dell’art. 11 paragrafo 2 della direttiva stessa, laddove prevede che "la durata del divieto d’ingresso è determinata tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non supera di norma i cinque anni; può comunque superare i cinque anni se il cittadino di un paese terzo costituisce una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale".
Così che, la durata del divieto superiore a cinque anni previsto dalla normativa interna è in via generale incompatibile con siffatta disposizione, tanto che tra le modifiche introdotte dalla L. n. 129 del 2011, al fine di adeguare la disciplina interna alla direttiva europea, è stato previsto dell’art. 13, comma 14, T.U. imm. che il divieto di reingresso di cui al precedente comma 13 opera per un periodo non inferiore a tre anni e non superiore a cinque anni, fatti salvi casi specificamente indicati.
Nel caso di specie, come risulta in atti, il condannato ha fatto rientro in Italia prima dei cinque anni.
Conseguentemente, non è intervenuto alcun mutamento del quadro normativo a seguito dell’entrata in vigore, il 24.12.2010, della direttiva comunitaria 2008/115/CE sul rimpatrio degli immigrati irregolari di paesi terzi che comporti abolitio criminis.
L’ordinanza impugnata deve, quindi, essere annullata senza rinvio limitatamente alla revoca della sentenza di condanna del Tribunale di Velletri in data 4.4.2011 nei confronti di T.R..
Va disposta la comunicazione al Procuratore della repubblica presso il Tribunale di Roma.
P.Q.M.
Annullata senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente alla revoca della sentenza di condanna del 4.4.2011 emessa dal Tribunale di Velletri a carico di T.R..
Si comunichi al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma.
Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2013

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