Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 10-09-2012, n. 15149

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Svolgimento del processo
che:
1. I ricorrenti indicati in epigrafe hanno chiesto alla Corte di appello di Perugia l’equa riparazione, ex L. n. 89 del 2001, del danno conseguente alla durata non ragionevole della procedura esecutivia promossa nei loro confronti dalla xxx su beni ipotecati acquistati dalla società debitrice xxx Immobiliare s.r.l.;
2. La Corte di appello ha rigettato la domanda con decreto del 9 febbraio 2009;
3. I ricorrenti hanno proposto quindi ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4. Secondo i ricorrenti la impugnata decisione di rigetto è stata fondata infatti sull’affermazione per cui, pur in mancanza di prove documentali, deve ritenersi che nel corso degli anni i vari creditori, dapprima quello procedente e poi gli altri intervenuti, hanno rinunciato all’esecuzione perchè pagati direttamente dal debitore o dai suoi acquirenti e quindi deve ritenersi che il protrarsi della procedura è stato voluto o accettato dagli stessi ricorrente, che ora se lamentano, dal momento che soltanto grazie al protrarsi della procedura esecutiva è stato possibile definire le posizioni debitorie senza pervenire alla vendita dei beni pignorati;
4. La Corte di appello di Perugia ha dichiarato la impugnazione inammissibile perchè in realtà nel decreto impugnato per revocazione si è affermato esclusivamente che la procedura è stata dichiarata estinta con provvedimento del G.E. e non a seguito dei pagamenti dei creditori intervenuti. L’affermazione relativa ai pagamenti intervenuti nel corso dell’esecuzione è frutto di una presunzione della Corte di appello basata sulla constatazione della progressiva rinuncia dei creditori all’esecuzione e come tale potrebbe semmai costituire un errore di giudizio ma non un errore di fatto e quindi sarebbe insuscettibile di essere fatto valere con una azione ex art. 395 c.p.c., n. 4.
3. Ricorrono per cassazione gli stessi soggetti affidandosi a tre motivi di ricorso: a) violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4; b) violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per motivazione apparente; c) violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per motivazione insufficiente.
4. Si difende con controricorso il Ministero.
5. La Corte ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.
Motivi della decisione
che:
6. Il ricorso è inammissibile dovendosi ribadire l’insussistenza dei presupposti per la proposizione dell’azione revocatoria ex art. 395 c.p.c., n. 4. Gli attori in revocazione non hanno infatti dedotto nessuna errata percezione dei fatti oggettivamente e immediatamente rilevabile ma hanno contestato una interpretazione di fatti pacifici come i pagamenti nel corso dell’esecuzione e le rinunce dei creditori. In realtà le contestazioni al decreto da parte degli attori in revocazione colpiscono la motivazione sul punto della valutazione di un’utilità indiretta della durata eccessiva della procedura esecutiva e ancor prima sulla rilevanza attribuita a tale utilità al fine di escludere il diritto al risarcimento ex L. n. 89 del 2001. Non investono invece con una chiara dimostrazione propria dell’azione di revocazione che tale indiretta utilità sia stata il frutto di un errore di percezione da parte della Corte di appello e tantomeno riconducono esclusivamente la decisione a tale errore di percezione perchè in realtà negano, fondatamente, che il diritto alla equa riparazione possa essere escluso dalla posizione di debitore esecutato o di acquirente del bene soggetto ad esecuzione se non in caso di abuso del processo esecutivo.
7. La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna dei ricorrenti alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi 1.000 Euro oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2012

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