Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-10-2013) 25-10-2013, n. 43904

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 7.1.2013 la corte d’appello di Venezia, in veste di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza formulata da C.H., di applicazione della disciplina del reato continuato, in relazione a tre condanne del Tribunale di Verona nelle date del (OMISSIS), riportate dal prevenuto per reato di furto aggravato, consumati il (OMISSIS), sul presupposto della mancanza di prova della riconducibilità delle tre azioni ad un’unica deliberazione, considerata la distanza temporale tra i fatti ed il carattere occasionale dei reati.

Veniva aggiunto che la prova di dipendenza da cannabinoide era stata fornita solo per il periodo a partire dal 19.10.2009, cosicchè nessuna certificazione era in grado di suffragare che anche in precedenti epoche egli avesse subito la dipendenza da stupefacenti.

2. Avverso detta decisione, interponeva ricorso per cassazione il prevenuto per dedurre violazione ed erronea applicazione dell’art. 671 c.p.p., nonchè contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dagli atti del processo. Veniva segnalato che le condanne erano riferite allo stesso tipo di reato, che il distacco temporale non era significativo e che il terzo reato non venne consumato dopo un periodo di carcerazione, poichè come risulta dal provvedimento di pene concorrenti, egli maturò un presofferto di soli due giorni.

3. Il Procuratore Generale ha chiesto di rigettare il ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile. I giudici dell’esecuzione hanno ancorato la decisione al dato incontestabile della notevole distanza tra i singoli reati.

E’ infatti principio più volte ripetuto da questa Corte che la dilatazione del parametro temporale rende difficile ipotizzare un iniziale piano criminoso unitario, per il semplice fatto che la proiezione in un lontano futuro non consente un adeguato controllo delle varie componenti della condotta criminosa e preclude di istituire un legame ideativo tra i reati, essendo di per sè il distacco temporale la prova dell’autonomia delle occasioni a delinquere. Il ricorrente del resto si è limitato a ripetere in modo assertivo che le manifestazioni di antisocialità erano accumunate dalla volontà di conseguire utilità in modo illecito, per finanziarsi la tossicodipendenza, sottovalutando l’estensione temporale dell’intervallo tra le condotte, anche se si deve convenire sul fatto che il prevenuto non abbia avuto a subire periodi di custodia cautelare come erroneamente sostenuto nell’ordinanza.

Inoltre deve essere sottolineato che correttamente non è stato valorizzato il dato della tossicodipendenza quale elemento di unificazione delle varie azioni delittuose, visto che la documentazione prodotta attestava una condizione di tossicodipendenza rilevata solo dall’ottobre 2009 e dunque non in grado di provare l’effetto stimolatorio della devianza nei periodi precedenti a cui risalgono i reati. L’ordinanza si pone in sintonia con quanto è stato chiarito in relazione al fatto che lo "status" di tossicomane può essere preso in esame per giustificare la unicità del disegno criminoso con riguardo ai reati che siano collegati e dipendenti dallo stato di tossicodipendenza, sempre che sussistano anche le altre condizioni individuate dalla giurisprudenza per la sussistenza della continuazione (Cass. pen., Sez. 1^, 14/02/2007, n. 7190 e Sez. 1^, 7.7.2010 , n. 33518 , Rv 248124).

Il giudice a quo infatti ha ben distinto la nozione di unità del disegno criminoso, propria della disciplina di cui all’art. 81 c.p., dalla generica inclinazione a commettere reati a ciò indotti da occasionalità, ovvero da una vera e propria scelta di vita, considerando l’arco temporale in cui le condotte vennero consumate come significativo dell’autonomia di ciascuna intrapresa delittuosa:

detta valutazione rientra nei limiti della opinabilità dell’apprezzamento, non censurabile in sede di legittimità.

Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in euro mille a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2013

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