Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-10-2013) 25-10-2013, n. 43903

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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 17.12.2012 la corte d’appello di Venezia, in veste di giudice dell’esecuzione rigettava l’istanza formulata da L.I. di applicazione della disciplina del reato continuato, in relazione alle due condanne Corte d’appello Venezia 16.6.2011 e 16.11.2010, riportate per violazione D.P.R. n. 309 del 1990, sul presupposto della distanza temporale tra i reati (dal marzo/maggio 2006 al settembre 2007) e in ragione della mancanza di ancoraggio per provare la identità di risoluzione.

2. Avverso detta decisione interponeva ricorso per cassazione la difesa del prevenuto per dedurre violazione ed erronea applicazione dell’art. 81 c.p., art. 671 c.p.p.. Veniva segnalato che le due condanne erano riferite allo stesso tipo di reato, che il distacco temporale non era significativo e che il locus commissi delicti fu sempre il territorio veronese, in cui l’attività una volta interrotta nel maggio 2006, riprese, per concludersi il 26.9.2007.

3. Il Procuratore Generale ha chiesto di rigettare il ricorso.

Motivi della decisione

Il motivo di ricorso è generico e non correlato alla ratio decidendi, avendo ricollegato il dedotto vizio di contraddittorietà e di illogicità della decisione al solo fatto che si aveva riguardo a fatti della stessa specie. Invero nell’ordinanza era stato dato conto che ad ostare ad una visione unitaria ricorreva il dato temporale che rendeva a dir poco improbabile che il prevenuto fin dal maggio 2006 avesse in mente di reiterare la condotta delittuosa nel settembre dell’anno successivo.

Tale valutazione è in linea con quanto ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui la dilatazione del parametro temporale rende difficile ipotizzare un iniziale piano criminoso unitario, per il semplice fatto che la proiezione in un lontano futuro non consente un adeguato controllo delle varie componenti della condotta criminosa e preclude di istituire un legame ideativo tra i reati, essendo di per sè il distacco temporale la prova dell’autonomia delle occasioni a delinquere.

La valutazione operata è stata adeguatamente sorretta con un discorso giustificativo che rientra nei limiti dell’opinabilità di apprezzamento e non può essere censurata in detta sede.

Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in euro mille a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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