Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-10-2013) 05-02-2014, n. 5716

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. A.D. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Cagliari, che riformando quella di proscioglimento deliberata dal Tribunale della sede – sezione distaccata di Sanluri ed impugnata dal Procuratore della Repubblica di Cagliari, lo ha condannato alla pena di Euro 20 di ammenda, siccome colpevole del reato di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 20, contestatogli per non aver assicurato con ogni diligenza nell’interesse della sicurezza pubblica, la custodia del fucile calibro 16 marca Salvinelli Remo, matr. (OMISSIS), avendolo conservato in luogo (un vecchio pagliaio annesso ad una casa disabitata, accessibile a tutti) privo di difese idonee ad impedire l’agevole accesso da parte di terzi, di talchè ignoti se ne erano impossessati. In (OMISSIS), in data anteriore e prossima al (OMISSIS).

1.1 Nel ricorso si deduce:

1) inosservanza delle norme processuali (art. 63 c.p.p.) in quanto la condanna dell’ A. risulta fondarsi su due elementi probatori inutilizzabili, la deposizione del maresciallo capo P., nella quale si faceva esclusivamente riferimento alle dichiarazioni rese dall’imputato in data 1 dicembre 2008 presso la Caserma di (OMISSIS) nonchè dalla denuncia presentata dal prevenuto ai Carabinieri, e ciò in quanto ai sensi dell’art. 63 c.p.p., le dichiarazioni autoindizianti rese da soggetto non sottoposto ad indagini non possono essere utilizzate contro di lui e non possono venire "recuperate" attraverso la deposizione di colui che le ha raccolte;

2) erronea applicazione della legge penale (L. n. 110 del 1975, art. 20), in quanto la Corte territoriale è pervenuta all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, in base al semplice rilievo che il fucile di cui al capo d’imputazione non si trovasse più nella disponibilità dell’imputato, senza svolgere alcun concreto accertamento sulle concrete modalità di custodia dell’arma, e senza considerare che l’efficacia delle misure applicate per la custodia va valutata anche con riferimento della pericolosità della stessa, che nel caso di specie era nulla, trattandosi di un vecchio fucile da caccia, che costituiva ormai un rottame.

Motivi della decisione

1. L’impugnazione proposta nell’interesse di A. è inammissibile perchè basata su motivi non specifici e comunque manifestamente infondati.

1.1 Con riferimento al primo dei motivi d’impugnazione dedotti, va infatti osservato che la Corte territoriale è pervenuta alla conclusione che il ricorrente non avesse assicurato con ogni diligenza la custodia del fucile calibro 16 da lui detenuto, ciò desumendo, in primo luogo, dal rilievo obiettivo che l’ A. in sede di denuncia dell’arma aveva dichiarato di detenerla in (OMISSIS), nella sua casa sita in via (OMISSIS) e che in occasione di un normale controllo amministrativo era emerso, quanto al luogo di detenzione denunciato, che si trattava di una casa "ormai disabitata munita di un pagliaio dove chiunque aveva accesso" e dall’ulteriore dato fattuale, indiscutibile, che il ricorrente aveva perso la disponibilità del fucile, avendone denunciato il furto – per iscritto e non oralmente – all’autorità di polizia il 1 dicembre 2008, e cioè alcuni giorni dopo il riferito controllo (eseguito il 29 novembre 2008).

L’assunto difensivo secondo cui la condanna dell’ A. si sarebbe fondata su elementi di prova inutilizzabili si rivela dunque manifestamente infondato, travisando esso l’effettivo percorso motivazionale sviluppato dai giudici di appello.

Anche volendo ritenere fondato, infatti, il rilievo difensivo in diritto, secondo cui, poichè ai sensi dell’art. 63 c.p.p., comma 1, le dichiarazioni auto indizianti rese da un soggetto non imputato e sottoposto a indagini non possono essere utilizzate contro di lui, deve allora escludersi che dette dichiarazioni possano essere surrettiziamente recuperate come elemento di prova a carico del loro autore mediante esame testimoniale dell’ufficiale di polizia giudiziaria che le ha raccolte (in tal senso, Sez. 6^, n. 11443 del 17/10/1995 – dep. 25/11/1995, Aiello, Rv. 204113) e fermo restando, in ogni caso, che tale divieto non è assoluto e che esso non riguarda, così come precisato dai giudici di appello, il contenuto delle dichiarazioni rese spontaneamente da soggetto non ancora indagato ad un agente di polizia al di fuori del contesto procedimentale (così Sez. 6^, n. 2231 del 16/12/2010 – dep. 22/01/2011, Bordi, Rv. 249198), le quali, per altro, risultavano cristallizzate nel caso in esame in una denuncia di furto acquisita in atti senza opposizione della difesa, tali argomenti difensivi si rivelano, in ogni caso, del tutto inconferenti rispetto alla fattispecie concreta ed inidonei a giustificare l’annullamento della sentenza impugnata, fondandosi la condanna dell’ A. su dati fattuali liberamente valutabili da parte dei giudici di merito, in quanto ricavati aliunde e non invece da dichiarazioni dell’indagato che si assumono inutilizzabili.

1.2 Quanto poi al secondo motivo d’impugnazione, premesso che la giurisprudenza di questa Corte è univoca nell’affermare che l’obbligo di diligenza nella custodia delle armi previsto dalla L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 20, quando non si tratti di soggetti che esercitino professionalmente attività in materia di armi ed esplosivi, deve ritenersi adempiuto alla sola condizione che risultino adottate le cautele che, nelle specifiche situazioni di fatto, possono esigersi da una persona di normale prudenza, secondo il criterio dell’ "l’id quod plerumque accidit" (in tal senso, ex multis, Sez. 1^, n. 16609 del 11/02/2013 – dep. 12/04/2013, Quaranta, Rv. 255682), nessuna erronea applicazione della legge penale è fondatamente ravvisabile nella decisione impugnata, con riferimento all’affermata responsabilità dell’ A. per la contravvenzione a lui contestata. Una volta emerso, infatti, all’esito dell’istruttoria dibattimentale espletata, che il fucile calibro 16 era detenuto in un pagliaio annesso ad una casa ormai disabitata "da cui poi è stato sottratto senza che neppure il proprietario se ne accorgesse, se non quando i carabinieri gli avevano chiesto contezza dell’arma", non è dato comprendere quale ulteriore accertamento sulle modalità della custodia andava svolto per poter legittimamente affermare la penale responsabilità del ricorrente, il quale, da parte sua, nulla ha dedotto sulla cautele adottate onde impedire l’impossessamento dell’arma da parte di soggetti non legittimati a detenerla.

1.2.1 Nè ha pregio l’ulteriore assunto difensivo secondo cui il fucile da caccia detenuto dall’ A. era ormai "vecchio" e non più funzionante (un rottame), trattandosi di deduzioni in fatto, del tutto sfornite di prova.

2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, congruamente determinabile in Euro 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2014

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