Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-10-2013) 15-01-2014, n. 1447

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza emessa in data 30.4.2012 il Tribunale di Perugia, Sez. Distaccata di Foligno, in composizione monocratica, dichiarava N.A. e N.G. responsabili del reato di cui all’art. 659 cod. pen. – commesso in (OMISSIS) – e li condannava alla pena di Euro 200,00 di ammenda ciascuno nonchè al risarcimento del danno nei confronti delle costituite parti civili, con sospensione condizionale della pena subordinata all’avvenuto risarcimento.

La decisione concerne l’attività – svolta dagli imputati – di gestione di un bar nel corso della quale i rumori provocati dall’uso di impianti televisivi, giochi e schiamazzi dei clienti disturbavano – secondo la formulazione della imputazione – il riposo delle persone residenti nei pressi del locale ed in particolare quattro persone che abitavano nello stabile ove è ubicato il bar.

Ad avviso del giudice di merito, la responsabilità emerge fondamentalmente dalla "documentazione confluita nel fascicolo processuale" essendo le testimonianze acquisite definite come "contrastanti".

In particolare in motivazione si compie riferimento ai contenuti di due ordinanze sindacali (del 16.6.2008 e del 16.10.2008, dunque successive alla data di contestazione) emesse in riferimento alla necessità di ridurre l’orario di apertura del bar al pubblico e ed adottare misure idonee a ridurre il rumore, ordinanze il cui contenuto – secondo la deposizione resa dal teste di p.g. D. sarebbe stato disatteso dagli attuali imputati.

Inoltre viene citata una relazione redatta da tecnici dell’ARPA del 29.4.2008 in cui viene rilevato il livello di immissioni rumorose, in ora notturna, all’interno delle abitazioni dei soggetti costituitisi parte civile nonchè si compie riferimento all’esistenza di referti medici redatti dal Pronto Soccorso di Perugia in data 21.7.2008 che riguardano i soggetti medesimi.

Sempre quale elemento a carico, viene citata la deposizione del teste Do., tecnico incaricato dal Comune di Valtopina, che avrebbe attestato il superamento dei decibel previsti per legge all’interno degli appartamenti delle parti civili.

Tutto ciò ad avviso del giudicante consente di ritenere provato l’assunto accusatorio, non essendo persuasivi gli elementi a discarico, consistenti in deposizioni rese da soggetti – avventori del bar – che descriverebbero esclusivamente in modo sommario l’attività svolta nel locale (dunque non pertinenti al tema) e negli esiti di una consulenza di parte, definiti sostanzialmente irrilevanti.

Ciò perchè le rilevazioni risultano operate in orari diversi da quelli notturni ed in luoghi diversi dalle abitazioni delle persone offese (all’interno del bar ed in un locale sottostante). Da ciò l’irrilevanza ai fini del decidere della tesi difensiva per cui la propagazione del rumore, effettivamente superiore alla norma, nei piani sovrastanti dell’edificio dipendeva da un vizio di costruzione dell’immobile, non sufficientemente insonorizzato.

2. Hanno proposto ricorso per cassazione – a mezzo del difensore – N.A. e N.G., articolando distinti e comuni motivi.

Con il primo motivo si impugna una ordinanza – emessa in dibattimento – di revoca di testimoni della difesa precedentemente ammessi, invocandone la nullità e si eccepisce il vizio di mancata assunzione di prova decisiva.

A tal proposito i ricorrenti rappresentano che:

– in sede di deposito delle liste testimoniali venivano indicati ventitre testi a discarico e la lista veniva ritenuta ammissibile per intero;

– nel corso dell’istruttoria il giudice formulava "invito" teso ad ottenere una riduzione dei testi ammessi al numero di nove;

– dei nove testi citati dalla difesa per l’udienza del 16 aprile 2009 si presentavano in cinque e dopo la loro escussione il giudice revocava l’ammissione dei testi residui con la sola eccezione del consulente tecnico di parte.

L’ordinanza di revoca dei testi già ammessi viene dunque impugnata per difetto assoluto di motivazione. Si rappresenta inoltre che i testi rimasti non escussi erano portatori di conoscenze di sicura incidenza sull’esito del processo, trattandosi di avventori del bar e di soggetti abitanti nelle vicinanze del locale. Da ciò deriverebbe il vizio di mancata assunzione di prova decisiva ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d.

Con il secondo motivo si deduce erronea applicazione della norma incriminatrice e vizio di motivazione della sentenza impugnata.

I ricorrenti evidenziano, sul punto, la assoluta carenza di sviluppo logico dell’iter motivazionale e l’assenza di analisi dei profili giuridici della fattispecie contestata che risulterebbe – per quanto si comprende – quella prevista dall’art. 659, comma 1. Tale tipologia di contestazione avrebbe reso necessaria una analisi – richiesta dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità – della concreta idoneità del rumore provocato dal pubblico esercizio a porre in pericolo la pubblica tranquillità e dunque a ledere il riposo e la quiete di un numero indeterminato di persone. L’intera istruttoria – invece – si sarebbe incentrata sulla diffusività dei rumori all’interno delle abitazioni delle parti civili, poste al di sopra del locale, nel medesimo stabile, al primo ed al secondo piano (come risulta dai contenuti delle loro deposizioni, puntualmente indicate).

Dunque l’erronea interpretazione in diritto della norma incriminatrice – presupposta ma nemmeno sviluppata in sentenza – avrebbe sostanzialmente falsato sia l’andamento dell’istruttoria che la conseguente decisione di condanna. Ne è conferma la totale sottovalutazione degli apporti dimostrativi introdotti dai testi della difesa, indicati in sentenza come "irrilevanti", ma sempre dopo aver dato atto – in modo logicamente contraddittorio – della esistenza di un contrasto nell’ambito delle prove dichiarative.

I contenuti testimoniali a discarico, peraltro, sarebbero stati erroneamente ritenuti ininfluenti, travisandone la reale efficacia (si compie specifico riferimento, con allegazione degli atti, alle dichiarazioni rese da E.F., F.F. e T.E. circa l’assenza di percezione di rumori molesti all’interno di abitazioni poste a poca distanza dall’esercizio) e ciò in rapporto alla corretta ricostruzione dei profili caratterizzanti l’illecito in questione. Gli stessi elementi di prova a carico – pur sommariamente indicati nella motivazione del provvedimento impugnato – sarebbero idonei a dimostrare esclusivamente la diffusione del rumore all’interno degli appartamenti posti nello stesso stabile e al di sopra del bar.

Tale dato, peraltro, non appare nemmeno contestato dai ricorrenti che imputano la diffusione – effettivamente al di sopra delle soglie consentite – di rumori all’interno dello stabile ad un difetto di costruzione dell’immobile (colpito da un evento sismico e ricostruito con pannelli prefabbricati) e tale prospettazione – asseverata dal consulente di parte – non sarebbe neanche stata compresa, nè correttamente valutata dal giudicante.

Si tratterebbe, in tal senso, di un dato non influente a fini penalistici nei confronti degli attuali ricorrenti, posto che l’effetto di propagazione del rumore – tale da infastidire solo gli abitanti dei piani superiori e dunque inidoneo a creare turbativa penalmente rilevante – non deriverebbe da negligenza dei gestori del bar quanto dalla cattiva insonorizzazione dell’immobile. Da qui la ricorrenza dei vizi segnalati.

Con il terzo motivo si deduce erronea applicazione dell’art. 40 c.p., comma 2 e dell’art. 43 cod. pen. in riferimento alla ritenuta posizione di garanzia in capo ai gestori dell’esercizio, nonchè vizio di motivazione della decisione impugnata in tale parte.

Ciò perchè dall’espletata istruttoria risulta che i gestori dell’esercizio possiedono il locale in virtù di contratto di locazione intercorso con il proprietario dell’immobile P. F. (padre e genero delle parti civili) ed avrebbero chiesto – una volta constatata l’inadeguata insonorizzazione derivante da vizi costruttivi – alla proprietà di eseguire in proprio le opere di adeguamento, ricevendo un rifiuto.

Ora, posto che il rumore – per quanto detto in precedenza – si propaga in modo eccessivo in virtù del vizio costruttivo, ne deriverebbe in ogni caso l’assenza di rimproverabilità in capo agli attuali ricorrenti.

Con il quarto motivo si denunzia violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche.

La motivazione adottata nella gravata sentenza risulta una mera formula di stile e non viene valorizzata l’assoluta incensuratezza degli attuali ricorrenti.

Con il quinto motivo si deduce erronea applicazione dell’art. 185 cod. pen. e delle norme in tema di responsabilità civile.

La determinazione del danno risarcibile sarebbe erronea sia perchè operata in forma cumulativa sia per assenza di prova circa le componenti determinative del medesimo. In particolare non vi sarebbe possibilità di ritenere componente del danno il disagio che avrebbero subito le parti civili nell’attivarsi presso gli uffici comunali, sia perchè non oggetto di prova che in virtù degli orientamenti giurisprudenziali di questa Corte in materia.

Motivi della decisione

1. Il secondo motivo di ricorso è fondato e va accolto.

Ed invero la decisione impugnata risulta affetta da vizio motivazionale per assenza di un effettivo percorso argomentativo ed incompletezza, vizi derivanti da un erroneo inquadramento in diritto della fattispecie contestata.

La motivazione della decisione è infatti basata sulla mera constatazione – per lo più attraverso rinvio a documentazione acquisita agli atti – del superamento, in talune occasioni, della ordinaria tollerabilità dei rumori percepiti all’interno delle abitazioni delle persone offese, poste al di sopra del locale adibito a bar.

Tale constatazione, peraltro operata senza descrizione alcuna del contenuto della relativa documentazione e pertanto in modo tale da non consentire un effettivo controllo della corrispondenza tra gli elementi obiettivi e la considerazione degli stessi, non è sufficiente – in ogni caso – ad integrare la rilevanza penale della condotta oggetto di contestazione.

La condotta in esame (art. 659 c.p., comma 1), infatti, assume rilevo penale – anche in riferimento alla collocazione della norma nel capo relativo alle contravvenzioni concernenti la polizia di sicurezza con particolare riguardo all’ordine e alla tranquillità pubblica – se ed in quanto gli eccessivi rumori ricollegati, nel caso di specie, all’esercizio di una attività commerciale, siano idonei ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone, a causa della loro obiettiva diffusività (tra le altre, Sez. 1^ n. 20207 del 21.3.2013).

L’oggetto dell’accertamento, pertanto, non può essere limitato alla percezione del rumore – pur se in taluni casi eccessivo – da parte delle sole persone che vivono immediatamente al di sopra del locale, pur se tale condizione può determinare l’esistenza di un dovere – civilistico – di adottare misure idonee ad impedire la diffusione del suono molesto.

La percezione di rumori eccessivi da parte di tali specifici soggetti – nel caso di specie peraltro incontestata – può essere considerata un elemento indiziante a carico del gestore dell’esercizio, ma non esaurisce l’ambito dell’accertamento penalistico, correlato – come si è detto – alla messa in pericolo della pubblica tranquillità.

Risulta, in altre parole, doverosa una verifica più ampia, tesa a far emergere l’idoneità della condotta a determinare disturbo ad una più consistente fascia di soggetti, le cui abitazioni siano ubicate nelle vicinanze dell’esercizio medesimo.

Tale verifica nel caso in esame era resa ancor più necessaria dalle particolari caratteristiche dell’edificio ove risulta ubicato il bar, per come emergenti dalla consulenza tecnica depositata dalla difesa.

Se, infatti, la propagazione del rumore nel medesimo stabile era almeno in parte dovuta a difetto "ab origine" di insonorizzazione – per i materiali e le tecniche costruttive utilizzate – da ciò deriva la considerazione della possibile diffusione all’interno del fabbricato anche di rumori di non elevata entità obiettiva e tali, pertanto, da non "diffondersi" verso altri soggetti abitanti nelle costruzioni limitrofe.

Tale rilevante dubbio, non compreso dal giudice del merito per evidente difetto di inquadramento della fattispecie in diritto, non risulta minimamente sciolto nel percorso argomentativo della decisione.

Anzi, viene indicata l’esistenza, in merito al tema della percezione "esterna" dei rumori (per lo più procurati dagli avventori del bar) di un "contrasto dichiarativo" (senza meglio descrivere le fonti di riferimento) che il giudicante tuttavia ritiene superato, in modo non adeguato, dai contenuti delle verifiche operate all’interno del medesimo edificio e nelle abitazioni delle persone offese.

Ciò realizza una tecnica argomentativa non rispettosa del dovere di completezza della motivazione (su cui si veda Sez. 4, n. 14732 del 1.3.2011, M., Rv 250133 nonchè Sez. 1, n. 25117 del 14.7.2006, Stojanovic, Rv 234167) oltre ad eludere, sostanzialmente, il confronto con la valenza dimostrativa degli elementi a discarico acquisiti (con violazione dello stesso "modello normativo" di cui all’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e) ed evidenziati in modo ampio nell’intero ricorso.

La contraddittorietà circa la "percezione esterna" dei rumori è infatti un dato che, lungi dall’essere superato dai documenti in atti, acuisce il dubbio circa la ricorrenza – in concreto – di quella idoneità del rumore a diffondersi oltre il suo luogo di stretta "produzione" e doveva essere pertanto sciolta attraverso l’approfondimento delle verifiche o dare luogo all’applicazione della regola decisoria di cui all’art. 533 c.p.p., comma 1 (affermazione della penale responsabilità solo ove gli elementi raccolti risultino tali da superare ogni ragionevole dubbio).

I rilevati vizi della decisione, sia motivazionali che di inquadramento in diritto, conducono all’annullamento senza rinvio della decisione medesima perchè il fatto non sussiste. Gli altri motivi restano assorbiti.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perchè il fatto non sussiste.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2014

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