Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-10-2013) 15-01-2014, n. 1446

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza emessa in data 2 maggio 2012 la Corte d’Appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto, decidendo sull’appello proposto da B.F. avverso la decisione emessa in primo grado con rito abbreviato dal GUP del Tribunale di Taranto (in data 30 marzo 2011) confermava integralmente la prima decisione.

Conviene dunque illustrare, sia pure in sintesi, le valutazioni espresse dal primo giudice che hanno condotto alla affermazione di penale responsabilità di B.F. per i delitti di tentato omicidio – commesso in danno di C.C. e L.N.N. – rapina aggravata e porto di un’arma impropria, con condanna alla pena di anni nove e mesi otto di reclusione preceduta dal riconoscimento del vincolo della continuazione e della semi- infermità di cui all’art. 89 cod. pen. ritenuta equivalente alle contestate aggravanti e con applicazione di pene accessorie e di misura di sicurezza personale a pena espiata.

I fatti risultano avvenuti in Taranto il 5 dicembre del 2009.

Per quanto risulta dalla ricostruzione operata in sentenza, B. F., già dipendente della ditta di generi alimentari all’ingrosso " C.C." faceva ingresso – intorno alle ore 14.00 – nei locali aziendali, parzialmente travisato e brandendo con certezza un grosso coltello, si faceva consegnare da C. G. l’incasso della giornata pari a 9.000,00 Euro circa.

Immediatamente dopo costringeva i presenti a fare ingresso all’interno di una cella frigorifera ed a fronte delle rimostranze di C.C. lo colpiva più volte con il coltello al volto ed alle mani, fino ad essere contenuto dagli astanti che riuscivano a fermarlo ed a metterlo in fuga. Nel corso della concitata azione B.F. colpiva con il coltello anche L.N.N. e cercava di colpire C.G..

Nessun dubbio vi è sulla identificazione di B.F. quale autore materiale dei fatti, e ciò sia in virtù del riconoscimento posto in essere dalle vittime – precedenti datori di lavoro del B. – che in virtù delle successive verifiche tecniche di polizia giudiziaria, compiutamente illustrate in sentenza.

Quanto alle conseguenze lesive dell’azione, va ricordato che in sede di prima refertazione C.C. veniva riscontrato affetto da ferita lacero contusa regione orbitaria destra con lesione del bulbo oculare, altre ferite lacero contuse al volto, ai polsi e alla mano destra con lacerazioni tendinee, mentre a carico di L.N.N. si riscontrava la presenza di ferita da taglio regione dorsale distale avambraccio sx con lesione tendinea e del fascio nervoso, nonchè altra ferita da taglio.

Giova precisare che:

– dagli atti risulta che B.F. venne denunziato per furto nell’ottobre del 2009 proprio da C.G. per l’avvenuta sparizione di una consistente somma di denaro dalle casse aziendali;

– risulta altresì che subito dopo la consumazione della rapina B.F. si era disfatto dei capi di abbigliamento sporchi di sangue e si era poi recato all’interno di un centro commerciale ubicato nei pressi ove aveva acquistato del vestiario nuovo, prima di far rientro presso la sua abitazione.

Il principale tema affrontato nel corso dei giudizi di merito è stato, pertanto, quello della imputabilità.

Ciò perchè gli esiti peritali hanno orientato il giudizio verso la ritenuta incapacità parziale al momento del fatto, lì dove una consulenza tecnica di parte si è espressa per un vizio totale di mente.

Il dato di partenza è rappresentato dal fatto che nei mesi immediatamente precedenti all’azione delittuosa B.F. aveva mostrato evidenti segnali di squilibrio psico-fisico, ricollegabili agli esiti non favorevoli di un intervento chirurgico subito nell’anno 2007 (all’età di 46 anni).

In particolare, dopo il delicato intervento di stabilizzazione vertebrale erano insorte ulteriori patologie sia di tipo fisico che psichico tali da determinare un grave stato ansioso-depressivo trattato con farmaci influenti sul tono dell’umore.

Ulteriore aggravamento si era registrato dopo il licenziamento dalla ditta dei fratelli C., avvenuto per la citata denunzia di furto dell’ottobre 2009, tanto da determinare una assunzione di farmaci – in particolare l’Entact – in dosi sempre crescenti e, a comune giudizio degli esperti, elevate.

Ora, circa la incidenza di tale condizione sulla capacità di intendere e di volere al momento del fatto, il giudice di primo grado si riporta alle considerazioni peritali, per cui pur in presenza di un "disturbo dell’umore, con viraggio affettivo ipomaniacale e parziale bouffe delirante" e pur confermandosi che il dosaggio dei farmaci adoperati può determinare mania, confusione, agitazione, ansia e irritabilità, non poteva dirsi del tutto esclusa la capacità di intendere e di volere al momento del fatto, per una serie di considerazioni rappresentate da:

– l’analisi della condotta avuta nel pre e nel post delictum, tale da denotare capacità di progettazione e gestione delle immediate conseguenze;

– l’assenza nel referto medico di pronto soccorso del B. di qualsiasi riferimento a euforia morbosa dell’umore;

– l’assenza di riferimenti nella prima visita carceraria a stati maniacali conclamati;

– la valutazione delle successive insorgenze patologiche nel periodo detentivo in termini di umore delirante, cosa diversa dal disturbo delirante strutturato.

Tali considerazioni erano ritenute condivisibili in sede di decisione di primo grado, specie per la constatata lucidità nel gestire la fase immediatamente successiva al reato, con occultamento quantomeno del coltello utilizzato.

Quanto alla qualificazione giuridica, il GUP osservava che non poteva che confermarsi la ricorrenza del tentativo di omicidio.

Ciò in ragione, essenzialmente, delle modalità dell’azione, dell’uso di un lungo coltello (che determinava la perforazione corneo- sclerale e la perdita definitiva dell’occhio destro), delle zone attinte (al viso) e della reiterazione dei colpi rivolti al C., con azione interrotta solo dalla reazione degli altri soggetti presenti.

Il vizio parziale di mente, riconosciuto, in sede di quantificazione della pena veniva dichiarato equivalente alle contestate aggravanti e non veniva ritenuta possibile l’ulteriore attenuazione di pena con negazione delle circostanze attenuanti generiche. La pena-base per il tentato omicidio veniva determinata in anni dodici di reclusione.

La Corte territoriale, nel confermare la decisione testè descritta, così argomentava, in sintesi, circa l’infondatezza delle doglianze mosse con i motivi di appello:

– non vi era necessità di disporre nuova perizia sulle condizioni patologiche dell’imputato essendo completo ed esauriente l’accertamento disposto in primo grado nè è emersa alcuna incapacità di partecipare validamente al processo;

– non vi era spazio alcuno per rivalutare l’esatta qualificazione giuridica in termini di tentato omicidio, posto che la ricostruzione operata individuava precisi e concreti indici rivelatori della volontà omicidiaria, non scalfiti dal fatto che l’azione non ha determinato concreto pericolo di vita degli aggrediti;

– non poteva accogliersi la richiesta di riduzione del trattamento sanzionatorio essendo corretto il formulato giudizio di equivalenza tra la diminuente della semi infermità e le ritenute aggravanti, nè erano stati valorizzati decisivi elementi idonei alla concessione delle circostanze attenuanti generiche;

– non vi era prova delle effettiva insorgenza di una amnesia – prospettata dal B. – circa gli accadimenti che lo vedono imputato, tale da menomare le facoltà difensive, e non essendo provato il dato non può influire sulle determinazioni sanzionatorie.

La Corte, inoltre riteneva congruo l’importo della provvisionale liquidata dal giudice di primo grado a favore delle costituita parte civile C.C. nella misura di Euro 100.000,00 essendovi certezza del danno almeno nella misura così individuata.

2. Ha proposto ricorso per cassazione personalmente B. F., nonchè ulteriore ricorso a mezzo del difensore.

2.1 Nel ricorso proposto personalmente, B.F. sostanzialmente denunzia vizio di motivazione della decisione impugnata sia sul punto del mancato riconoscimento della totale incapacità di intendere e di volere che in relazione alla qualificazione giuridica di tentato omicidio e di rapina ravvisata nei fatti contestati. Rappresenta inoltre la erronea valutazione operata in tema di applicazione della misura di sicurezza personale.

A dire dell’imputato l’intera vicenda sarebbe stata erroneamente ricostruita, attribuendo eccessivo affidamento alla parola delle persone offese. In particolare non sarebbe stata correttamente valutata la sua condizione di soggetto affetto da totale incapacità dovuta alla assunzione di dosi eccessive del farmaco antidepressivo che gli era stato prescritto. La stessa vicenda del furto denunziato a suo carico nel 2009 dal C. sarebbe stata travisata, non essendosi mai verificato nessun furto. La denunzia sarebbe stata operata dai suoi datori di lavoro falsamente, allo scopo di creare il presupposto del licenziamento, dopo ventanni di onesto lavoro ed in virtù del diminuito rendimento correlato alle patologie fisiche da cui era affetto. L’imputato fa riferimento a vessazioni subite dai C., alla mancata corresponsione di alcune mensilità di stipendio ed ad una precisa volontà di fare. a meno di lui in azienda per la menomazione fisica da cui era diventato affetto".

Ciò avrebbe determinato l’aggravamento delle sue condizioni psichiche ed il ricorso a dosi massicce di farmaci che lo avrebbero trasformato in un automa inconsapevole.

Inoltre, contesta la versione delle vittime circa il fatto storico della rapina, non essendo mai stato rinvenuto il denaro, pur con indagini repentine, il che dimostrerebbe che nulla è stato in realtà sottratto. Evidenzia che, in ogni caso, i colpi infetti al C. non sarebbero frutto di alcuna volontà omicida e che nella valutazione dei fatti – specie per quanto riguarda l’omessa applicazione delle attenuanti generiche – non si è tenuto conto del suo percorso esistenziale e della totale assenza di pregiudizi penali.

2.2 Nel ricorso sottoscritto dal difensore si articolano distinti motivi.

Con il primo si deduce violazione di legge, vizio di motivazione e mancata assunzione di prova decisiva sul punto della ritenuta insussistenza del vizio totale di imputabilità, essendo stato riconosciuto il solo vizio parziale.

Ad avviso del difensore la sentenza impugnata non affronta – in realtà – il tema essendosi limitata a riprodurre le considerazioni espresse dal giudice di primo grado, senza rispondere alle critiche e alla richiesta di parziale rinnovazione formulata nell’atto introduttivo. In particolare, nel riprodurre il testo della consulenza tecnica di parte, che valorizza la documentazione esistente nella cartella clinica della casa di reclusione ed evidenzia la determinante incidenza del sovradosaggio del farmaco antidepressivo sull’atto delittuoso posto in essere dal B., con totale esclusione della capacità, il ricorrente si duole non solo del laconico rinvio ai contenuti della perizia operato dai giudice di secondo grado, ma altresì del mancato recepimento dell’istanza di rinnovazione parziale con esecuzione di nuova perizia. Ciò perchè il ragionamento elaborato dal perito – che valorizza al fine di ritenere soltanto "diminuita" ma non "esclusa" la capacità di intendere e di volere le condotte antecedenti e immediatamente successive alla consumazione del reato – sarebbe frutto di una sottovalutazione della interazione tra condizioni patologiche di base e sovradosaggio del farmaco antidepressivo. Tale sovradosaggio, infatti, può determinare condizioni di invalidità cognitiva e anomalie comportamentali non strutturali ma transitorie e questo aspetto doveva essere ulteriormente approfondito. Da ciò la doglianza di vizio motivazionale e mancata assunzione di prova decisiva.

2.3 Con il secondo motivo si deduce analoga violazione in riferimento alle doglianze sulla capacità processuale formulate nell’atto di appello. Anche in tal caso il rinvio alla motivazione espressa dal Gup, contenuto nella sentenza qui impugnata, viene ritenuto un omesso esame della doglianza. Il ricorrente evidenzia che l’amnesia del B. circa le condotte delittuose è dato che emerge non solo dalla consulenza di parte ma dalla stessa documentazione sanitaria del luogo di detenzione. Tale condizione – ingiustificatamente ritenuta falsa dai giudici di secondo grado – impedisce all’imputato il pieno esercizio dei diritti di difesa e rende obbligatoria la sospensione del procedimento.

2.4 Con il terzo motivo si denunzia violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla decisione applicativa di misura di sicurezza personale. Risulterebbe, infatti, meramente apparente la motivazione in tema di sussistenza della pericolosità sociale, contraddetta dalla ritenuta influenza del sovradosaggio del farmaco sull’azione compiuta. Anche in relazione alla considerazione della assenza di atti lesivi verso la persona – prima di quello per cui si procede – la pericolosità sociale andava ritenuta insussistente.

2.5 Con il quarto motivo si deduce erronea applicazione degli artt. 56 e 575 cod. pen. nonchè vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta responsabilità per il delitto di tentato omicidio. Anche in tal caso si contesta la modalità espressiva del convincimento adottata dalla Corte, con ampio rinvio ai motivi esposti dal giudice di primo grado. Si rappresenta inoltre che l’azione lesiva non era diretta ad organi vitali, non ha posto in pericolo il bene/vita e che gli indici rivelatori posti a fondamento della decisione non appaiono univoci.

Si contesta in particolare l’affermazione di responsabilità per tale delitto anche in rapporto all’azione commessa nei confronti del L. N., dato che la motivazione si concentra esclusivamente sulla condotta in danno del C. ed il L.N. venne colpito da due soli colpi – dovuti alla colluttazione – all’avambraccio ed alla mano.

2.6 Con il quinto motivo si deduce erronea applicazione delle norme regolatrici del trattamento sanzionatorio e vizio di motivazione di tale punto della decisione. Si ripropongono le censure rigettate in secondo grado, sia con riferimento all’omessa prevalenza della diminuente di cui all’art. 89 cod. pen. sulle ritenute aggravanti che in rapporto alla motivazione del rigetto delle attenuanti generiche.

In particolare sarebbe stata ingiustamente sottovalutata dai giudici di merito la condizione di alterazione dovuta al sovradosaggio del farmaco e sarebbe stato valorizzato come precedente tale da negare l’attenuazione ex art. 62 bis cod. pen. una condanna dovuta ad un decreto penale del lontano 1992.

2.7 Con il sesto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla concessione della provvisionale in favore della parte civile C.C.. Ad avviso del ricorrente non poteva essere quantificata (in Euro 100.000,00) la provvisionale in questione sulla base di una consulenza tecnica non eseguita in contraddittorio. Inoltre, non vi sarebbe motivazione circa il presupposto specifico della immediata esecutività.

Motivi della decisione

1. Il quarto motivo di ricorso, limitatamente alla qualificazione giuridica della condotta posta in essere nei confronti di L.N. N., è fondato, lì dove i restanti motivi risultano infondati e vanno pertanto rigettati.

1.1 Conviene premettere una considerazione di fondo, relativa al rapporto tra ampiezza dell’obbligo di motivazione della sentenza di secondo grado e possibilità di operare, in tal sede, rinvio ai contenuti della decisione di primo grado.

Numerose censure proposte, infatti, riguardano il tema dell’eccessivo "rinvio" da parte dei giudici d’appello ai contenuti della decisione di primo grado, specie in riferimento alla ritenuta parzialità del vizio di mente, e ne fanno derivare un vizio della decisione qui impugnata.

Tale prospettazione non è condivisibile.

Il dovere motivazionale del giudice di secondo grado concerne – essenzialmente – la necessità di fornire risposta adeguata alle censure formulate con i motivi di appello.

Nell’assolvere tale compito, la decisione di secondo grado può legittimamente servirsi dello sviluppo logico e ricostruttivo elaborato dal primo giudice – noto alle parti – purchè non si limiti a riprodurre la decisione confermata dichiarando – in termini stereotipati e apodittici – di aderirvi senza dare conto degli specifici motivi che censurino in modo puntuale dette argomentazioni, con elaborazione autonoma delle ragioni per cui tali doglianze non risultino accogligli (in tal senso, di recente, Sez. 6, n. 49754 del 21.11.2012, rv 254102).

Ove pertanto il giudice di appello condivida le valutazioni e le modalità ricostruttive contenute nella prima decisione può di certo richiamarle, spiegando le ragioni per cui dette valutazioni resistono alle critiche formulate.

Ragionare diversamente significherebbe imporre al giudice di appello – violando canoni logici e di razionalità espressiva, snaturando lo stesso giudizio di secondo grado nonchè determinando un inutile aggravio di tempi processuali – una ulteriore e autonoma attività di piena ricostruzione del fatto anche lì dove l’elaborazione già operata risulti a suo giudizio pienamente condivisibile, con la conseguenza di una sostanziale "riproduzione" dei contenuti espressivi della prima decisione.

Ciò posto, nel caso in esame, la Corte territoriale, pur rievocando in larga misura i contenuti motivazionali del primo giudice, ha correttamente e autonomamente argomentato circa l’incidenza e la rilevanza dei motivi proposti, non violando dunque l’esatta portata dell’obbligo di motivazione.

In particolare, va detto che gli esiti della verifica peritale circa la capacità di intendere e di volere al momento del fatto hanno determinato il convincimento dei giudici del merito circa la ricorrenza di una invalidità parziale (dovuta al sovradosaggio del farmaco antidepressivo) e tale approdo, in quanto derivante da accertamento ampio ed esauriente, ben può essere recepito nella decisione senza alcuna necessità di confutare in modo espresso tutte le opinioni contrarie del consulente di parte (si veda Sez. 4^ n. 23146 del 17.4.2012, nonchè, in termini analoghi, Sez. 4 n. 24573 del 13.5.2011).

Il giudice di merito, lì dove la perizia sulle condizioni patologiche non abbia trascurato elementi incidenti sulla qualificazione e sul grado della patologia, può pertanto ritenere esaustiva la verifica e affidarsi alle valutazioni espresse, senza incorrere in vizio motivazionale alcuno. Nel caso in esame la perizia risulta aver considerato ogni fattore produttivo di deficit cognitivo ed ha – in modo condivisibile – valorizzato la complessiva condotta tenuta dal B. in prossimità e immediatamente dopo la commissione del fatto/reato, giungendo all’apprezzamento di un vizio parziale, tale da ridurre la capacità di intendere e di volere al momento del fatto (ai sensi dell’art. 89 cod. pen.).

In presenza di tale verifica, già operata, non può dirsi illogica nè contraddittoria la scelta operata dalla Corte territoriale di respingere la richiesta di un nuovo accertamento, non essendo emerse circostanze tali da richiederlo ed essendo la condizione di sopravvenuta "amnesia" esclusivamente enunciata dall’imputato.

Ciò comporta il rigetto dei contenuti espressi nel ricorso personale e nel primo e secondo motivo di ricorso a firma del difensore.

1.2 Quanto alla ritenuta qualificazione delle condotte lesive, va affermato che la doglianza difensiva risulta fondata con esclusivo riferimento alla "frazione" di condotta posta in essere nei confronti di L.N.N., rubricata anch’essa come tentato omicidio.

In effetti, nel cumulativo capo di imputazione di cui alla lett. A risultano contestati due tentativi di omicidio, uno in danno di C.C., l’altro in danno di L.N.N..

Ciò ovviamente, pur nell’ambito della riconosciuta continuazione, ricade sulla complessiva entità del trattamento sanzionatorio – formulato ritenendo violazione più grave il duplice tentato omicidio, con quantificazione della pena base in anni 12 – e radica pienamente l’interesse alla riqualificazione, incidendo sull’entità della pena base.

Sul punto, va affermato che mentre l’analisi operata in sentenza della condotta tenuta nei confronti del C.C. – tentato omicidio – si sottrae ad ogni censura in sede di legittimità essendo stati correttamente applicati i criteri tutti cui la giurisprudenza di questa Corte ricollega la punibilità del delitto tentato (idoneità del mezzo usato, ricorrenza dell’elemento psicologico quantomeno in termini di dolo alternativo in ragione delle modalità della condotta, direzione e profondità dei colpi inferti) non altrettanto può dirsi per l’azione diretta a ledere il L.N..

L’obiettivo dell’azione delittuosa risulta essere – senza dubbio alcuno – la persona del C.C. (anche in ragione degli accadimenti che avevano determinato, in precedenza, il licenziamento del B.) e pertanto non risponde a un criterio di logicità e aderenza alle risultanze processuali la "traslazione" operata in sentenza dell’elemento volitivo su persona diversa. Il L.N., infatti, viene colpito, in quanto unitamente al C.G. si attiva per soccorrere C.C. e per cercare di contenere l’aggressività del B.. Dunque il frammento di condotta, anche alla luce della concitata situazione – e in virtù della non univoca direzione dei colpi in danno del L.N. verso zone vitali – non può dirsi caratterizzato dai medesimi indici rivelatori che hanno caratterizzato l’azione iniziale, in ciò imponendosi una nuova valutazione di merito in sede di giudizio di rinvio.

1.3 Infondato risulta il quinto motivo in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche, risultando dotata di logicità e coerenza la motivazione espressa dalla Corte territoriale.

L’incidenza della condizione patologica, sia pure parziale, risulta infatti "assorbita" dalla avvenuta applicazione dell’art. 89 cod. pen. e non può essere duplicata nei suoi contenuti di attenuazione.

Piuttosto è da ritenersi che in sede di giudizio di rinvio, ove si addivenga alla esclusione del tentato omicidio in danno del L. N., possa essere oggetto di rivalutazione – incidendo sulla dosimetria complessiva della pena – l’espresso giudizio di comparazione tra l’attenuante di cui all’art. 89 cod. pen. e le ritenute aggravanti, in ciò assorbendosi le ulteriori doglianze.

1.4 Infondate sono le questioni poste con gli ulteriori motivi di ricorso.

Quanto alla affermazione di responsabilità per il delitto di rapina (contestata nel ricorso personale) va detto che la motivazione espressa si fonda sulla ritenuta attendibilità dei diversi testimoni, non scalfita da alcun reale elemento di contrasto, non potendo dirsi tale il mancato rinvenimento della refurtiva che ben potrebbe essere stata occultata dal B. prima del suo rientro presso l’abitazione.

Quanto alla applicazione della misura di sicurezza va affermato che il giudizio di pericolosità risulta espresso in ragione della complessiva gravità del fatto – in modo non illogico – e dovrà, peraltro, essere oggetto di ulteriore verifica in sede applicativa secondo la vigente disciplina.

Quanto alla concessione della provvisionale – concessa al solo C.C. – e alla sua entità va precisato che, in tale parte, il ricorso è inammissibile non essendovi dubbio circa l’esistenza del danno e non essendo impugnabile con ricorso per cassazione la determinazione dell’ammontare, rimessa alla discrezionalità del giudice del merito e per sua natura destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 5 n. 40410 del 18.3.2004, rv 230105).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al tentativo di omicidio in danno di L.N.N. e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Lecce. Rigetta nel resto il ricorso.

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado dalle parti civili C.C. e C. G. che liquida nella somma di Euro 3.600,00 oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2014.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2014

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