Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-10-2013) 10-01-2014, n. 756

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con ordinanza deliberata il 6 giugno 2012 e non impugnata dall’interessato, il Tribunale di sorveglianza di Venezia revocava la misura alternativa della detenzione domiciliare concessa a Z.A. – condannato in via definitiva per i reati di associazione per delinquere (finalizzata a commettere truffe ai danni dello Stato e della CEE) e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche commessa anche mediante costituzione ed utilizzazione di società di comodo – per avere il predetto tenuto un comportamento contrario alla legge ed alle prescrizioni dettate, risultando sporta una querela nei suoi confronti, in data (OMISSIS), da parte di tale F. V., per il delitto di minacce, come da comunicazione dei carabinieri di (OMISSIS).

2. Con istanza del 10 dicembre 2012 lo Z., deducendo che il Giudice di pace di Verona, con provvedimento dell’8 ottobre 2012 aveva accolto la richiesta del PM di archiviazione della notizia di reato esistente nei suoi confronti, proponeva istanza di revoca della revoca della misura alternativa, con conseguente ripristino della stessa.

3. L’adito Tribunale di sorveglianza di Venezia, con provvedimento del 19 febbraio 2013, rigettava l’istanza dello Z., avendo ritenuto che l’avvenuta archiviazione del procedimento originato dalla querela sporta nei confronti del condannato, anche in considerazione delle ragioni addotte in quel provvedimento (genericità delle minacce formulate telefonicamente; inidoneità del male prospettato a menomare la sfera della libertà morale del soggetto passivo), non ridimensionava la portata del fatto storico così come apprezzata dal Tribunale in sede di revoca e la sua negativa incidenza relativamente alla valutazione circa l’affidabilità del condannato e l’effettiva idoneità di un trattamento alternativo al carcere, rimarcando, al riguardo, che lo stesso condannato aveva riconosciuto, nel corso dell’udienza, il contenuto ingiurioso del colloquio telefonico avuto con il F.V. e comunque che il suddetto colloquio afferiva a questioni relative all’amministrazione di imprese societarie, profilo questo non secondario, tenuto conto che i fatti per cui lo Z. è ristretto attengono a condotte consumate attraverso l’impiego delittuoso di strutture aziendali e di compagini societarie, e che in un’imprescindibile ottica socialpreventiva si richiedeva al condannato, durante l’esecuzione della pena, come suo minimo impegno individuale, il completo disinteresse verso problematiche, di qualsiasi sorta, legate all’amministrazione di imprese commerciali.

4. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione Z.A., personalmente, che dopo avere illustrato le circostanze fattuali che avevano portato alla revoca della misura alternativa concessagli, ne chiede l’annullamento.

4.1 Nel ricorso lo Z., denunzia:

– inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione alla decisione di confermare la revoca della misura alternativa, deducendo sul punto: (a) che illegittimamente il tribunale aveva basato la propria decisione sul contenuto asseritamente ingiurioso della telefonata avuta dal condannato con il querelante F., non avendo adeguatamente considerato che il provvedimento di archiviazione del procedimento penale promosso a carico dello Z., aveva escluso che il comportamento dello stesso integrasse l’illecito penale di cui all’art. 594 cod. pen., così indiscutibilmente "ridimensionando" il fatto storico originariamente posto a fondamento del provvedimento di revoca; (b) che incongruamente il tribunale aveva ricollegato il proprio giudizio in merito al carattere ingiurioso della telefonata a delle pretese ammissioni del ricorrente, in quanto lo Z. non aveva mai ammesso l’addebito contestato, avendo riconosciuto, soltanto, di aver avuto un colloquio telefonico concitato con persona legata da antica amicizia che aveva sfogato il proprio rancore con la querela; (c) che il provvedimento impugnato integrava una violazione del principio di colpevolezza di cui all’art. 27 Cost., comma 1, vigente anche in materia penitenziaria, posto che la revoca dei benefici penitenziari deve essere sempre ancorata ad una condotta addebitabile al condannato, insussistente nel caso di specie;

– inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione, per avere il Tribunale illegittimamente confermato la revoca della misura alternativa, trattandosi di un provvedimento – preclusivo ex art. 58 Ord. Pen. assolutamente "spropozionato" rispetto alla modesta gravità dell’unica violazione concretamente addebitabile al condannato (comunicazione telefonica non autorizzata) così violando il principio di proporzionalità di cui all’art. 27 Cost., che anche in materia di revoca dei benefici penitenziari deve trovare puntuale e corretta attuazione.

5. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta ed ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, per avere il Tribunale congruamente valutato la condotta del condannato e ritenuto, in modo logico e coerente, che la stessa fosse incompatibile con la prosecuzione della misura e sintomatica di un effettivo fallimento del processo educativo.

Motivi della decisione

1. L’impugnazione proposta dallo Z. è basata su motivi infondati e va quindi rigettata.

Anche volendo ritenere, infatti, che la mancata impugnazione da parte del ricorrente dell’originario provvedimento di revoca della misura alternativa, non esplichi alcuna efficacia preclusiva ad una rivalutazione della fattispecie in considerazione di fatti nuovi sopravvenuti quali l’archiviazione del procedimento per minacce promosso nei suoi confronti, sta di fatto che nessun effettivo profilo di illegittimità è comunque ravvisabile nella decisione impugnata.

1.1 Privo di pregio deve ritenersi, in primo luogo, l’argomento difensivo secondo cui il Tribunale ha deciso di confermare la revoca della detenzione domiciliare in quanto ha ritenuto che lo Z., durante la esecuzione della misura, avrebbe commesso un nuovo fatto illecito (il reato di ingiurie in danno del F.).

Tale assunto, invero, travisa l’effettivo contenuto dell’articolato percorso motivazionale sviluppato dal giudice di merito, il quale – preso atto del sopravvenuto provvedimento di archiviazione – ne ha in primo luogo approfonditamente esaminato il contenuto, evidenziando come nello stesso, non si escludeva, intanto, il fatto storico dell’intervenuto colloquio telefonico intercorso tra lo Z. ed un terzo, il F., ma si riconosceva, piuttosto, che gli elementi raccolti a carico del ricorrente in relazione al reato di minacce, non consentivano di sostenere con serie possibilità di successo l’accusa in giudizio, "per la mancanza di terze persone estranee alla vicenda che potessero riferire in merito ai fatti di cui alla querela, avvenuti telefonicamente".

1.2 Il provvedimento impugnato, in altri termini, più che valorizzare il carattere asseritamente ingiurioso delle frasi pronunciate dallo Z. in occasione di tale colloquio – che lo stesso ricorrente, per altro, riconosce essere stato "particolarmente concitato" (espressione, questa, la cui utilizzazione in ricorso è indicativa di come sia infondata anche la censura di travisamento del fatto, mossa dal ricorrente ai giudici di merito) – ha ricollegato la conferma della revoca della misura, non già alla commissione di un fatto penalmente rilevante (ingiuria) quanto, piuttosto, ad una grave violazione delle prescrizioni imposte al condannato, e segnatamente di quella che inibiva allo Z. di avere comunicazioni telefoniche con terze persone.

1.3 Nè hanno pregio le ulteriori censure prospettate in ricorso relativamente alla ritenuta inadeguatezza ed eccessiva severità della decisione di revoca della misura rispetto alla gravità del comportamento addebitato al condannato.

Ed invero, il Tribunale, (ri)valutando autonomamente il comportamento del condannato anche in base al contenuto della querela e prescindendo dall’esito del procedimento penale promosso nei confronti del predetto (in ciò conformandosi ai principi da tempo affermati da questa Corte regolatrice – da ultimo Sez. 1, n. 25640 del 21/05/2013 – dep. 11/06/2013, A.i, Rv. 256066 – secondo cui, ai fini della valutazione della compatibilità o meno dei comportamenti posti in essere dal condannato con la prosecuzione della misura, quando tali comportamenti possano dar luogo all’instaurazione di procedimenti penali, non è necessario che il giudice tenga conto dell’esito di questi ultimi, non essendo configurabile alcuna pregiudizialità, neppure logica, fra l’esito anzidetto e la valutazione in questione) – è pervenuto alla conclusione – adeguatamente e logicamente motivata, e per ciò incensurabile in questa sede, secondo cui la violazione di una prescrizione che, in un’ottica specialpreventiva, richiedeva al condannato il completo disinteresse verso problematiche, di qualsiasi sorta, legate all’amministrazione di imprese commerciali, costituiva indice significativo di un carente senso di responsabilità e di un’immaturità del condannato, che giustificava una regressione sul piano trattamentale.

2. Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc. pen. in ordine alla spese del presente procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2014

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