Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-10-2013) 11-12-2013, n. 49826

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza in data 12 gennaio 2012 la Corte d’Appello di Ancona confermava la sentenza del locale il Tribunale del 18.5.2005 che aveva condannato I.R. per concorso in rapina aggravata.
Ricorre personalmente per cassazione l’imputato deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in:
1. violazione della legge processuale in relazione alla dichiarazione di irreperibilità emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ancona in data 6 aprile 2005 con conseguente nullità di tutti gli atti successivi. Lamenta che il decreto di irreperibilità sarebbe stato emesso senza che le ricerche anagrafiche disposte fossero state correttamente compiute, risultando solo l’annotazione di polizia giudiziaria effettuata dai carabinieri di xxx in data 9 marzo 2005, da cui si evince che da accertamenti esperiti presso l’ufficio anagrafe del capoluogo si era acclarato che lo J. non risultava essere mai stato censito. Lamenta il mancato concreto espletamento di ricerche anagrafiche. Sostiene che da tali ricerche sarebbero potuti emergere elementi utili;
2. Vizio della motivazione in relazione alle specifiche doglianze avanzate in sede di appello in punto inattendibilità della parte offesa C.G. e del teste S.R. con conseguente mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale richiesta.
Sostiene che attraverso la rinnovazione del dibattimento la Corte d’Appello avrebbe potuto procedere all’interrogatorio dell’imputato anche al fine di valutare la credibilità della parte offesa e di un confronto tra gli stessi.
Il 25 settembre 2013 depositava motivi nuovi con i quali insisteva per il secondo motivo dolendosi della mancata assunzione di prove decisive richieste, in particolare l’interrogatorio dell’imputato e il confronto con la parte offesa C.G.. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, giacchè i motivi in esso dedotti sono manifestamente infondati e ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare, per di più, non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, conducente a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. e), all’inammissibilità.
Sulla manifesta infondatezza, in particolare, del primo motivo deve rilevarsi che il ricorrente è stato citato in giudizio in primo grado con le forme degli irreperibili a seguito di decreto di irreperibilità emessa dal GIP a seguito di ricerche delegate ai Carabinieri della Stazione di xxx xxx. Dal verbali di vane ricerche, allegato agli atti, risulta che lo I., nato a xxx, è stato ricercato nel luogo dell’ultima residenza anagrafica da lui indicata, seppure in diverso procedimento, e cioè (OMISSIS), luogo che risultava come sua abitazione anche dalla disposta verifica anagrafica e che in tale luogo non è stato rinvenuto perchè si era allontanato da circa quattro anni senza fornire notizia utile al rintraccio e che nessun altro luogo era a conoscenza delle forze dell’ordine dove poterlo reperire.
Le ricerche sono state svolte utilizzando nei modi più efficaci notizie ed informazioni in possesso dell’autorità procedente al fine di acquisire notizie utili per poter procedere alla notifica nelle forme previste dall’art. 157 c.p.p..
Sono manifestamente insussistenti anche i vizi di motivazione relativi all’affermazione di responsabilità perchè la Corte territoriale ha compiutamente esaminato le doglianze difensive ed ha dato conto del proprio convincimento sulla base di tutti gli elementi a sua disposizione, esaurientemente argomentando circa la pronuncia di responsabilità. Nell’esame operato dai giudici del merito le acquisizioni probatorie risultano interpretate nel pieno rispetto dei canoni legali di valutazione e risultano applicate con esattezza le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la conferma delle conclusioni di colpevolezza e comunque non risulta che sia stata avanzata in grado d’appello istanza di rinnovazione dell’istruttoria dall’imputato che ha presentato anche personalmente motivi d’appello.
Deve comunque aggiungersi che la decisione istruttoria del giudice di appello è censurabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), sotto il solo profilo della mancanza o manifesta illogicità della motivazione, come risultante dal testo (Cass., sez. 6^, 30 Aprile 2003, n. 26713). Sotto questo profilo, occorre peraltro che la prova negata, confrontata con le ragioni addotte a sostegno della decisione, sia di natura tale da poter determinare una diversa conclusione del processo (Cass., sez. 2^, 17 maggio 2001, n. 49587).
La corte territoriale ha dato conto dell’esaustività delle prove e dunque della superfluità della riapertura del dibattimento, che è istituto eccezionale;legato al presupposto rigoroso dell’impossibilità di decidere allo stato degli atti (art. 603 c.p.p., comma 1) (cfr. N. 34643/08 N. 10858 del 1996 Rv. 207067, N. 6924 del 2001 Rv. 218279, N. 26713 del 2003 Rv. 227706, N. 44313 del 2005 Rv. 232772, N. 4675 del 2006 Rv. 235654).
Tale valutazione è di merito e la motivazione può essere implicita (v. Cass. Sez. 5^ sent. n. 6379 del 17.3.1999 dep. 21.5.1999 rv 213403; Cass. n. 8891/2000 Rv 217209: "In tema di rinnovazione, in appello, della istruzione dibattimentale, il giudice, pur investito – con i motivi di impugnazione- di specifica richiesta, è tenuto a motivare solo nel caso in cui a detta rinnovazione acceda; invero, in considerazione del principio di presunzione di completezza della istruttoria compiuta in primo grado, egli deve dare conto dell’uso che va a fare del suo potere discrezionale, conseguente alla convinzione maturata di non poter decidere allo stato degli atti.
Non così, viceversa, nella ipotesi di rigetto, in quanto, in tal caso, la motivazione potrà anche essere implicita e desumibile dalla stessa struttura argomentativa della sentenza di appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti alla affermazione, o negazione, di responsabilità. Il ricorso è pertanto inammissibile.
A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità – determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso (v. Corte Cost.
sent. 186/2000) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di 1.000,00 (mille) Euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2013

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