T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 31-01-2011, n. 296

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorrente impugnava il rigetto di domanda di rilascio di permesso di soggiorno per lavoro subordinato fondato sull’esistenza di una precedente espulsione dall’epoca della quale non erano trascorsi dieci anni.

Egli aveva ottenuto il visto di ingresso in relazione alla disciplina "Flussi di ingresso 2008" e solo al momento della presentazione in Questura dall’accertamento dattiloscopico emergeva la circostanza dell’avvenuta espulsione con decreto del 22.10.2002 del Prefetto di Como, che determinava il rigetto della richiesta di permesso.

Il primo dei due motivi di ricorso contesta la nullità ed illegittimità del provvedimento impugnato per violazione dell’art. 7 L. 241\90 e l’eccesso di potere per motivazione contraddittoria, illogica ed erronea.

Il ricorrente non ha ricevuto l’atto di avvio del procedimento e non ha potuto partecipare al procedimento presentando memorie, tenuto conto che nella traduzione francese del decreto di espulsione era scritto che lo straniero non avrebbe potuto far rientro in Italia prima di cinque anni successivi all’allontanamento dall’Italia.

La sua condotta non poteva, pertanto, integrare il reato di cui all’art. 13,comma 13, T.U. Imm. essendo rientrato dopo la scadenza dei cinque anni.

La mancanza dell’avviso non ha consentito al ricorrente di evidenziare tutti gli elementi da cui trarre la conclusione che si trattava di persona ben inserita nel contesto italiano e non pericolosa socialmente, tenuto conto dell’estinzione avvenuta del lontano precedente penale

per violazione della legge sul diritto di autore.

Il secondo motivo lamenta la la nullità ed illegittimità del provvedimento impugnato per violazione dell’art. 13,comma 3, DPR 394\99 e l’eccesso di potere per carenza e contraddizione di motivazione.

Viene contestata la natura ostativa della condanna per i reati di cui agli artt. 171 ter,comma 2, L. 633\1941 e 648 c.p. sia perché la loro ostatività è prevista solo per le richieste di permesso per lavoro autonomo, sia perché si tratta di reati estinti ex art. 445 c.p.p. essendo trascorsi cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti senza che sia stato commesso altro reato.

Relativamente all’errore in cui è incorsa la traduzione del decreto di espulsione che ha indicato in cinque anni il termine di divieto di rientro in Italia e tenuto conto del termine più breve che può essere previsto del decreto a mente del comma 14 dell’art. 13 D.lgs. 286\98, la conclusione doveva essere a favore del ricorrente cui non può essere addebitato il comportamento contraddittorio della pubblica amministrazione.

Il Ministero dell’Interno si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.

Il ricorso non è fondato.

L’esistenza di un provvedimento di espulsione, che vietava un nuovo ingresso in Italia prima del decorso di un decennio dalla data di uscita dal territorio dello Stato, costituisce elemento ostativo al rilascio del nulla osta e del conseguente permesso di soggiorno che soli consentono una regolare permanenza in Italia.

Infatti il divieto di nuovo ingresso in Italia può essere derogato solo in virtù di un’autorizzazione del Ministro dell’Interno.

Si tratta di provvedimento vincolato che fa sì che non rilevino i vizi procedimentali ex art. 21 octies che sono stati contestati nel primo motivo di ricorso.

Non rileva la circostanza che a causa di un’errata traduzione in francese del termine di durata del divieto il ricorrente abbia maturato la convinzione che il termine stesso fosse decorso.

L’erronea indicazione dell’amministrazione può comportare l’irrilevanza penale della condotta ex art. 13,comma 13, D.lgs. 286\98 per mancanza di dolo, ma non può incidere sulla disciplina della fattispecie ai fini del rilascio del permesso di soggiorno.

Neanche può invocarsi il comma 14 del citato art. 13, poiché la deroga al termine di durata ordinario del divieto di rientro deve essere espressamente motivata e non frutto di una tralaticia cattiva traduzione, frutto probabilmente del perpetuarsi di modelli prestampati che facevano riferimento alla precedente normativa.

Infondato appare, pertanto, anche il secondo motivo nella parte in cui si riferisce al decreto di espulsione come presupposto del diniego.

Deve concordarsi, invece, con le considerazioni svolte circa l’irrilevanza ai fini del rigetto dell’esistenza della condanna riportata nel provvedimento; la stessa non solo aveva cessato di produrre effetti penali dopo i cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna, ma non costituiva neanche reato ostativo dal momento che la richiesta di permesso di soggiorno era per lavoro subordinato e non autonomo.

Ma la fondatezza del primo motivo posto a base del provvedimento è sufficiente a garantirne la legittimità.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Stante la particolarità del caso, appare equo compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione IV, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 17 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Adriano Leo, Presidente

Elena Quadri, Primo Referendario

Ugo De Carlo, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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